Novelle (Bandello)/Seconda parte/Novella XX

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Seconda parte
Novella XX

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Uno truova la moglie con un prete e quella ammazza


e fa che il prete da se medesimo si castra.


Non è persona di voi, valorosi compagni, che non abbia sentito per fama ricordar Bartolomeo Coleone da Bergamo che fu general capitano dei signori veneziani; e chi è stato a Vinegia lo deve aver veduto di bronzo a cavallo, armato, sul campo di San Giovanni e San Paolo, che in memoria de le sue prodezze vi fu da quei signori posto. Egli ebbe molte terre e castella in dono per i benemeriti da quel senato, tra i quali vi fu Martinengo, castello assai di gente pieno, ma, come il piú de le terre di quella contrada sono, poco civile. Tuttavia il capitano vi dimorava assai e sforzava pur di ridurre quei rozzi uomini a qualche piú costumato e politico vivere che di prima non costumavano. Aveva lá intorno ed altrove di molte belle e grandi possessioni, sovra le quali era astretto a tener gran numero di massari e lavoratori. E con ciò fosse cosa che il giorno de la santa domenica e de l’altre feste fosse troppo sconcio a gli uomini e donne che le possessioni lavoravano d’andar al castello a messa, il capitano in luogo conveniente e commodo fece edificar una chiesetta, con tanta abitazione quanta fosse capace per un sacerdote col suo chierico, per comoditá ed anco utile del quale vi fece fare un grande orto a canto. E perché il prete che vi aveva a dimorare, avesse il modo di viver onestamente, gli statuí, del suo, condecente salario, ed oltra questo volle che tutti i contadini de le possessioni, per comoditá dei quali la chiesa era stata fatta, li dessero al tempo dei ricolti certa quantitá di grano e non so che misure di vino. Del che tutti essi lavoratori rimasero ben sodisfatti e si contentarono di tutto ciò che il capitano aveva ordinato. Il quale vi pose per vicario un prete da Bergamo, con questo che fosse ubligato tutte le feste comandate e la domenica dir la messa. E per piú comoditá de’ lavoratori, con il mezzo del vescovo di Bergamo ottenne a Roma dal papa che quella chiesa fosse parrocchia e iuspatronato di esso capitano, a ciò che i poveri uomini avessero, senza andar troppo lontano, chi udisse le lor confessioni e gli ministrasse i santi sacramenti de la Chiesa quando fosse il bisogno. Ora avvenne che essendo morto il primo prete, il capitano vi pose un giovine di ventotto in trenta anni ch’era da Gandino, uomo di qualche dottrina, di pel rosso e tutto ardito. Era prete Giacomo, – ché cosí aveva nome, – secondo il paese gran parlatore, audace, pronto e che in vista mostrava esser un santificetur. Egli era stato in Bergamo in casa d’un gentiluomo, pedante o sia pedagogo dei figliuoli di quello, e lá s’era alquanto incivilito e apparate di cose assai. Il perché desiderando d’acquistar la benevoglienza dei suoi popolani, cominciò tutte le domeniche nel mezzo de la messa a far loro brevemente un sermone, comandargli le feste, essortargli a viver catolicamente, non dar molestia l’uno a l’altro, non rubar i pali de le vigne, non far pascer le bestie negli altrui campi e simili altre cosette, e talora esponendo loro il Vangelo. Di modo che appo quei contadini crebbe in grandissima riputazione, e lo credevano un gran maestro in sacra teologia, e non v’era persona che non lo tenesse per un prete di quei santi del tempo antico. Come egli si vide esser in credito appo i suoi parrochiani e che gli parve aver la grazia loro, cominciò a pensar di procacciarsi qualche donna con la quale talora egli potesse cacciar il diavolo ne l’inferno, che stranamente lo molestava. Cosí su questi pensieri, dando de l’occhio a dosso ad una giovane chiamata Bertolina, brunotta e grassa, che aveva un poco di gavocciolo, come generalmente tutte le donne de la contrada hanno, ed era stata maritata quell’anno in Nicolino da Solza, cominciò piú destramente che poteva a guardarla sott’occhio, e quando l’incontrava dirle qualche paroletta di scherzo, e a poco a poco tentar d’aprirsi la via e potersele liberamente scoprire, perciò ch’ella piú d’ogn’altra gli era piacciuta, parendogli terreno da la sua vanga. La Bertolina che aveva anzi che no un pochetto de la scempia, cominciò con il prete a domesticarsi, parendole che le fosse di gran favore che egli cosí scherzevolmente la proverbiasse, il che veggendo il sere, s’avvisò d’andar piú avanti con qualche motto. Ma ella che oltra l’esser semplicetta teneva assai de la grossolana, non intendeva gli arguti e coperti motti del messere, di modo che egli stava molto in dubio se deveva apertamente dirle il suo bisogno o no. In questo scorseno qualche dí fin che venne la quadragesima, non si sapendo il buon prete risolvere a tacere o dire. Venuta la quadragesima, egli ai suoi popolani fece un grandissimo romor in capo: che non tardassero fin a la settimana santa a confessarsi ma cominciassero a buon’ora. E ciò che pensato aveva gli venne fatto, perché la Bertolina sul principio de la quadragesima si venne a confessare. Il buon domine, secondo che deveva attender ad udir la confessione di lei e far l’ufficio di santo sacerdote, poi che ella gli ebbe detti i suoi peccati, cominciò ad entrar sul suo amore ed apertamente a domandarle ciò che tanto gli amanti mostrano desiderare. La giovane, la quale non era perciò la piú accorta del mondo, mostrandosi alquanto ritrosetta, gli diceva: – Oimè, messere, voi mi devereste garrire se io attendessi a queste pratiche, e voi volete peccar con esso meco? Io intendo che gli è troppo gran male, e che le femine che son amorose dei frati e preti, quando sono poi a l’altro mondo, diventano cavalle del diavolo. – Tu sei una pazzerella, – disse il buon prete; – coteste sono favole che sogliono narrar le vecchie sul fuocolare e non sanno punto ciò che si dicano. Pensi tu ch’io non sia cosí uomo di carne e d’ossa come tuo marito? Io ho tutto ciò che tuo marito ha, eccetto che mi mancano alquanti capelli sul capo. Non metter mente a le ciance altrui. Fa pur quello che io ti dico, ché faremo le cose nostre sí celatamente che non si risaperá giá mai ed averemo il meglior tempo del mondo. – Insomma egli seppe sí ben cicalare che ella gli promise dopo pasqua far tutto ciò che a lui piacesse. Mentre che durò la quadragesima, egli ogni festa faceva ne la messa una predichetta, e due e tre volte la settimana andava spargendo l’acqua benedetta per le case, per le stalle e per i fenili, benedicendo per tutto. E quando gli veniva a proposito, diceva qualche buona parola a la sua Bertolina, la quale essendo di poca levatura si teneva molto buona che il messere l’amasse e desiderava far parentado con la Chiesa a suon di campane. Passata pasqua, il prete non mancando a se stesso trovò il modo d’esser con la Bertolina e due e tre volte amorosamente seco si giacque. E parendo a lei che il sere lavorasse molto meglio la possessione e piú gagliardamente adacquasse il suo giardino che non faceva il marito, non averebbe mai voluto far altro che macinare. Ora a lungo andare, praticando essi insieme meno discretamente che non era il bisogno, molti de la contrada se n’accorsero e lo dissero al marito di lei, il quale aprendo gli occhi e fingendo non vedergli, vide chiaramente che altri gli levava la fatica di lavorar il suo giardino. Il perché avendo tra sé deliberato ciò che era da fare, disse un dí a la moglie che voleva andar in valle Seriana e che starebbe ivi tre o quattro dí. Il prete che desiderava poter a suo bell’agio trastullarsi con la Bertolina, saputo questo, si trovò molto contento e diede ordine con lei di trovarsi quelle tre notti seco. Fece vista il marito di partirsi, e come fu notte se ne tornò e per il tetto, sapendo da le spie il prete esser in casa, entrò suso un solaro chetamente e poi scese ed entrò dentro in camera, ove trovò il sere che cacciava il diavolo ne l’inferno. Era il prete nudo e Nicolino armato con la spada nuda in mano, e seco aveva un suo amico altresí armato, il quale prese per le braccia il sere, che tutto di paura tremava ed era divenuto mutolo. La donna piangendo chiedeva mercé, a la quale il marito senza far motto cacciò la spada nel petto e nei fianchi tre o quattro volte, ed ella subito morí. Rivolto poi al prete che diceva i paternostri de la bertuccia, gli disse: – Prete gaglioffo, io non mi vo’ bruttar le mani nel tuo sangue, ma tu averai quel castigo che meriti. – Fece adunque che il prete mise il diavolo con i testimoni su l’orlo d’un cassone, e poi lo chiuse e disse: – Tagliati via quel tuo disonesto membro con i tuoi testimonii od io t’ammazzerò. – Il prete a cui giá Nicolino aveva dato un tagliente coltello, prima che esser ucciso, con un taglio, di gallo si fece cappone. E senza linea e perpendicoli, pien d’angoscia a casa se n’andò, ove in breve senza testimonii se ne morí.


Il Bandello a la molto illustre signora


la signora Lucrezia Gonzaga di Gazuolo salute


Quando nel principio ad instanzia de la vertuosissima e molto onorata signora Ippolita Sforza e Bentivoglia io mi disposi a scriver le mie novelle, l’animo mio era quegli accidenti di metter insieme che ai giorni nostri sono accaduti o che avvennero nel tempo dei nostri avi, a ciò che, potendo aver narratore che le cose avesse viste o da persona degna di credenza udite, le mie novelle fossero istorie riputate. Ma l’essermi trovato ove casi ai tempi antichi occorsi, od a l’etá dei nostri bisavoli stati, si son detti, ed essendo io pregato talora di scrivergli, m’hanno fatto cangiar openione, come potrá veder chi le mie novelle leggerá. Per questo essendo io a Diporto con madama di Mantova, la signora Isabella sorella de l’ava vostra materna, ella mi comandò che io prendendo le Decadi liviane, dinanzi a lei leggessi lo stupramento di Tarquinio in Lucrezia, con la morte di lei; il che per ubidirle feci. Ella, come sapete, intende benissimo tutte le istorie latine. Letto che io ebbi il tutto, desinammo. Dopo il desinare si parlò assai su questa istoria da messer Benedetto Capilupo e da Mario Equicola, perciò che messer Benedetto molto lodava Lucrezia, e Mario diceva che ella era stata pazza ad ammazzarsi. Questionando questi dui sovravenne il nobile e dotto cavaliero il conte Baldassar Castiglione, al quale madama disse quello che io aveva letto e quanto tra i dui s’era tenzionato, soggiungendogli: – Io vedeva, quando voi sète entrato, che il Bandello voleva entrar in sacrestia e dir sovra questa disputa ciò che ne dice santo Agostino nel suo dotto libro de la Cittá di Dio, di modo che si faceva un fatto d’arme. Ma voi avete col venir vostro levato via ogni romore. Vi piacerá adunque, poi che qui sète, dirne il parer vostro. Il che credo io che narrando tutta l’istoria come fu, ma ornandola con quelle cose verisimili che vi pareranno a proposito, piú di leggero e con piú sodisfacimento di noi altri farete. – Si voleva il Castiglione scusare, ma non gli essendo da lei ammessa cosa che per fuggir questo carco dicesse, a dir si dispose e narrò quanto in questa mia novella leggerete. La quale avendo alora scritta e adesso volendola por nel numero de l’altre mie novelle, ho pensato non ci esser persona a cui meglio donar la potessi che a voi. Al vostro adunque onorato nome quella intitolo e consacro, rendendomi certo che vi debbia esser cara, come sempre aver care le cose mie avete dimostrato, ben che del mio nulla ci sia, essendo io semplice recitatore di quanto il gentile, dotto e facondo Castiglione disse. Spero ben tosto darvi del mio: il libro de le mie stanze, tutto composto in vostra lode, ove vederete come io mi sforzo a farvi immortale. Ma se al mio volere mancano le forze, averò almeno fatta al mondo nota la volontá che ho, che le vostre divine doti siano celebrate. State sana.