Novelle (Bandello, 1853, III)/Parte II/Novella XXXV

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Novella XXXV - Un gentiluomo navarrese sposa una, che era sua sorella e figliuola, non lo sapendo

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Novella XXXV - Un gentiluomo navarrese sposa una, che era sua sorella e figliuola, non lo sapendo
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[p. 59 modifica]mercante lucchese


Spesse fiate sogliono avvenire casi così strani che, quando poi sono narrati, par che più tosto favole si dicano che istorie, e nondimeno son pur avvenuti e son veri. Per questo io credo che nascesse quel volgato proverbio: che «il vero che ha faccia di menzogna non si deverebbe dire». Ma dicasi ciò che si vuole, ch’io sono di parer contrario, e parmi che chiunque prende piacer a scriver i varii accidenti che talora accader si veggiono, quando alcuno gliene vien detto da persona degna di fede, ancor che paia una favola, che per questo non deve restar di scriverlo, perciò che, secondo la regola aristotelica, ogni volta che il caso è possibile deve esser ammesso. Per questo io che per preghiere di chi comandar mi poteva mi son messo a scriver tutti quegli accidenti e casi che mi paiono degni di memoria e dai quali si può cavar utile o piacere, non resto d’affaticar la penna, ancora che le cose che mi vengono dette paion difficili ad esser credute. Onde al presente una novella ho deliberato annotare, la quale parrà a chi la leggerà molto strana. Era madama Gostanza Rangona e Fregosa mia padrona a Bassens, ove già da molto tempo se ne sta, invitata da l’amenità de l’aria. Questo luglio prossimamente passato ci venne madama Maria di Navarra, la quale sovente ci suol venire e diportarvisi; onde un dì, parlandosi di varie cose, ella narrò a madama nostra alora e a tutti noi altri che di brigata eravamo, come un gentiluomo ignorantemente prese per moglie una sua figliuola e sorella: il che parve a tutti stupendissimo e miserabil accidente. Avendo adunque io descritta questa istoria secondo che essa madama Maria narrò, quella al nome vostro ho intitolata, a ciò che essendo poco che una mia novella mandai al signor Marco Antonio Giglio, tanto nostro, voi anco ne abbiate un’altra. State sano. [p. 60 modifica]

Un gentiluomo navarrese sposa una che era sua sorella e figliuola non lo sapendo.


Nel tempo de la felice memoria del re Giovanni di Alebret, mio padre e signore e re di Navarra, fu una vedova nobile la quale aveva un figliuolo, senza più. Questo suo figliuolo essendo de l’età di quindeci anni s’innamorò d’una donzella de la madre, e sì fieramente n’era innamorato che senza lei non sapeva vivere, di modo che giorno e notte l’era sempre a canto e (per la costuma del paese nostro è che tutti gli uomini sono molto familiari e domestici con le donne), la basciava e scherzava con lei quanto voleva, non vi mettendo fantasia nè la madre nè altri. Ma egli dei basci punto non si contentava, ed averebbe voluto venire a l’ultimo fine che communemente in amor si ricerca. La giovane, che altro aveva in capo e sapeva che costui per la diseguaglianza che ci era non l’averebbe presa per moglie, se gli mostrava molto ritrosa e non voleva oltra i basci di cosa alcuna meno che onesta compiacergli. Di che il giovine viveva in pessima contentezza e la sua innamorata molto più che prima molestava, sforzandosi con ogni ingegno ed industria d’indurla a far i suoi voleri. Ma il tutto era indarno, perciò che ella non era disposta a modo alcuno a fargli di sè copia. Onde veggendo ch’egli più s’accendeva e si mostrava più bramoso di pervenir a l’ultimo piacer de l’amore, non potendo nè volendo sofferir più cotanta seccaggine, si dispose di far a la madre di lui la cosa manifesta. E così un giorno, pigliata l’oportunità, in questo modo le disse: – Padrona mia, se voi non rimediate a la importunità del vostro figliuolo, che non mi lascia vivere e vorrebbe levarmi il mio onore, io sarò astretta a partirmi da voi, perciò che egli non mi lascia mai star un’ora che non mi sia a torno e che non mi richieda del mio amore con atti che non mi piaceno. Comandategli che non mi dia fastidio e che mi lasci far i fatti miei e attendere come debbo a servirvi; altrimenti io me ne ritornerò a casa mia. – La vedova, udendo questo amor del figliuolo, disse a la giovane che se egli più le diceva nulla, che gli desse buone parole e tenesse con speranza, e che ultimamente gli promettesse compiacergli e gli assegnasse la notte, ne la quale ella si metterebbe in vece di lei nel letto suo e farebbe tal scorno al figliuolo che lo farebbe distorre da questa [p. 61 modifica]impresa. La giovane più oltra non pensando fece quanto la padrona l’aveva comandato. La vedova, o ch’ella fosse disonestamente del vietato amor del figliuolo accesa, o che' 'pure in effetto gli volesse far un gran romore in capo per fargliene una gran vergogna, o che che se ne fosse cagione, fece dar la posta al figliuolo da la donzella e in luogo suo andò e si corcò nel letto. Il giovine, avuta questa promessa, si trovò il più allegro e contento uomo del mondo, e a l’ora deputata andò e appresso a la madre, dispogliatosi, in letto si mise. Era la vedova assai giovane ancora, di trentuno in trentadui anni, e sentendosi il figliuolo appresso, e in lei destatosi il concupiscibile appetito, quello non come figliuolo ma come caro amante ne le braccia ricevendo, del suo corpo impiamente gli compiacque. Egli che mai più non era con donna carnalmente giaciuto, non sapendo discerner l’esser d’una vergine da una corrotta, fece valentemente il poter suo ed impregnò la madre quella notte istessa. La quale per levar l’occasione di più tornarvi, essendo pentita de la commessa sceleratezza, mandò il dì seguente la donzella a casa d’un suo vicino parente, trovando certe sue scuse; e poi si mise ad essortare il figliuolo che volesse andar a la corte del re Lodovico duodecimo e non perder più tempo a casa, essendo già in età di poter travagliare. Fu cosa facile il persuadere al giovine l’andare in corte; il perchè messo da la madre ad ordine di ciò che era bisogno, andò in corte e si mise a servir il re Lodovico. La vedova, come si sentì di certo esser gravida, si trovò la più disperata donna del mondo, avendo prima innanzi agli occhi l’enormissimo peccato che commesso aveva, e poi non sapendo come far a partorire che non restasse svergognata. E pensando bene sovra i casi suoi, deliberò di scoprirsi ad un suo cugino che stava in un suo castello non molto lungi da lei. A costui dunque ella manifestò il tutto, pregandolo caramente che di lei a un tratto avendo pietà pigliasse cura de la vita e de l’onor di lei. Il parente, uomo da bene, considerando l’errore esser già fatto e che rimedio non ci era a fare che fatto non fosse, si dispose a salvezza de l’onor de la parente e le disse: – Cugina mia, qual sia l’errore in che sei cascata, tu stessa lo sai. Egli è fatto ed altro rimedio non ci è se non che tu l’acconci con Dio, confessandoti del tuo peccato e facendone la penitenza che data ti sarà. Al rimanente io metterò bene con l’aiuto di Dio tal rimedio che niente se ne saperà. Tu verrai a starti meco e là partorirai. Io provederò di nutrice per la creatura che nascerà e la farò nodrire come cosa mia, e la cosa anderà di modo che nessuno risaperà [p. 62 modifica]i casi nostri. – Andò la donna al castello del cugino, e così come egli detto aveva, con effetto fece, perchè, appostata al tempo del partorire una nutrice, sì ben seppe fare che egli levò il parto de la cugina senza aita di persona; ed avendo ella partorito una bellissima figliuola, come sua e d’una donna che diceva aver ingravidata, la diede ad esser allattata e nodrita e la fece battezzare. E sì bene andò la bisogna che nè uomo nè donna del mondo di cosa alcuna s’accorse. La vedova poi, mostrando alquanto esser stata indisposta, se ne tornò al suo castello. Fu nodrita la figliuola nasciuta e diligentemente allevata, la quale diveniva ogni dì più bella; ed avendo circa tre anni, la donna la prese in casa, dicendo che voleva allevarla per l’amor di Dio. Cresceva la fanciulla e mirabilmente ogni dì più bella si faceva, di modo che essendo di nove o dieci anni era tanto formosa ed aggraziata che la reina di Navarra, udita la fama de la bellezza di quella, la volle vedere e, trovatala molto più bella che non credeva, la domandò in dono a la gentildonna ed ebbela. La fece la reina star con le sue damigelle ed insegnarle lavorar quei lavori che le damigelle fanno. La fanciulla il tutto benissimo apparò e divenuta molto grande, avendo di già passati i quattordici anni, era tenuta la più leggiadra e formosa damigella che in tutto il reame di Navarra fosse. Il giovine figliuolo de la vedova e padre di questa damigella era continovamente stato in corte del re Lodovico, chè mai non era venuto a casa; onde volendo venir a veder la madre e riconoscer' 'le cose sue, con buona grazia del re se ne venne. Essendo stato otto o dieci dì con la madre, le disse una matina: – Madre mia, egli mi pare che il debito mio sia d’andar a far riverenza a madama la reina di Navarra nostra padrona. – Tu farai bene, figliuol mio, ad andarvi, – rispose la madre. – Raccomandami bene a la sua buona grazia. – Andò il gentiluomo, che già era vicino ai trent’anni, e fece riverenza a la reina, da la quale fu graziosamente accolto. Essendo tutto il dì in corte e praticando con le damigelle, s’innamorò molto fieramente di sua figliuola e cominciò assiduamente a farle la corte e servirla. La reina, che cordialmente amava la damigella, n’aveva piacere, parendole se il gentiluomo l’avesse pigliata per moglie, che sarebbe stata bene ed onoratamente maritata. Ora la cosa andò tanto innanzi che con buona grazia de la reina il giovine senza saper altro sposò la propria figliuola e consumò seco l’atto matrimoniale, e poi a la madre ne diede avviso, come per compiacer a la reina aveva sposata la tal damigella. La povera donna, sentendo questa orribil nuova, tutta stordì e gravissimamente [p. 63 modifica]infermò. E conoscendosi vicina al morire, si confessò con il vescovo de la sua diocesi e a lui il fatto come stava del tutto aperse, e dolente e pentita del suo peccato se ne morì. Era già morto il suo cugino che era del fatto consapevole. Poi che ella fu morta, il vescovo secretamente il tutto manifestò a la reina, la quale, intendendo che nessuno ci era vivo che il fatto sapesse se non il vescovo che ne l’ultima confessione de la donna inteso l’aveva, non volle che altrimenti se ne parlasse, ma che il marito e moglie, padre e figliuola, fratello e sorella, in buona fede si lasciassero, i quali forse oggidì sono ancor vivi.


Il Bandello a l’illustre e vertuoso signore il conte Niccolò d’Arco


Eravamo questi anni passati a Pinaruolo molti in compagnia fuor de la terra a seder in un praticello pieno di verde e minutissima erbetta, per la quale in un canaletto correva una limpidissima a molto fresca fontana, la quale col suo dolce e piacevol mormorio rendeva un soave e dilettevol suono. Quivi ragionando noi di molte cose, sovravvenne la buona memoria del signor conte Guido Rangone, alora general luogotenente in Italia del re cristianissimo, che accompagnato da molti signori e capitani ed altri soldati andava d’ogn’intorno a le mura de la terra, disegnando là un baloardo, colà una piattaforma ed altrove un bastione ed altri ripari, secondo che la diversità del sito ricercava, perchè Pinaruolo parte è in colle, parte al declivo del monte e parte in terra piana. Erano seco alcuni ingegneri con i quali conferiva il tutto, e voleva di ciascuno il parere; poi quello che pareva il più ragionevole e più a profitto de la sicurezza del luogo si metteva in opera, di modo che in assai breve tempo rese quella terra fortissima. Come noi il vedemmo, tutti levammo in piedi a fargli riverenza, ed egli che era umanissimo e cortese signore, ci salutò molto graziosamente e andò al suo camino. Era seco Vespasiano da Esi, strenuo e gentilissimo soldato, il quale oltra l’esser prode de la persona, aveva molte buone parti di gentiluomo, essendo cortese, costumato, uomo di giudizio e di buone lettere ornato e