Novelle (Bandello, 1910)/Parte III/Novella LXI

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Novella LXI - Fra Filippo dell’ordine dei Minori, non potendo goder la sua innamorata, si castra, e le presenta il membro tagliato via

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Novella LXI - Fra Filippo dell’ordine dei Minori, non potendo goder la sua innamorata, si castra, e le presenta il membro tagliato via
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IL BANDELLO

a l'illustre signore

ridolfo gonzaga

marchese e signor di Povino


Crederete voi forse, perché siate in Italia ed io qui ne l’Aquitania, che qui si chiama Guienna, che di voi mi sia scordato, o vero che le mie lettere non saperanno passar l’Alpi e trovarvi? Da questo, oltra agli infiniti commodi e grandissima utilitá e piaceri che le lettere dánno a’ mortali, si conosce di quanti beni elle siano cagione. E perciò non si può se non dire che bellissimo trovato sia quello de le lettere, le cui lodi e benefici chi volesse raccontare non ne verrebbe cosí tosto a capo. Ma questo sapete voi meglio di me, e desiderate che io vi scriva di quelle cose che non sapete. Il che farò io volentieri; e prima vi darò nuova di madonna la signora Gostanza Rangona e Fregosa, mia onorata padrona e vostra amorevolissima zia, e dei signori suoi figliuoli, che tutti sono la Dio mercé sani. E per fuggir i caldi che in questi di caniculari fanno grandissimi, siamo partiti tutti da la cittá e venuti ad un castello, o sia villa, detta Bassens, vicina a la Garonna, posta sopra un fruttifero ed amenissimo colle, ove abbiamo un’aria salubre e freschissima. Qui abbiamo di continovo buona compagnia di signori baroni e dame del paese, che vengono molto spesso a visitar madama, e stiamo di brigata allegramente, prendendoci quei diporti che la stagione ci presta. Ci venne questi di madama Maria di Navarra, figliuola del re Giovanni e sorella d’Enrico oggidí re di Navarra. Eraci madamisella di Lusignano e madamisella di Vaulx con altre donne. Vera anco monsignor di M. Bandello, Novelle. [p. 18 modifica]l8 PARTE TERZA Frigemont de la nobilissima stirpe di Montpesat, e vi si ritrovi il barone di Ramafort, giovine di nobilissimo e molto antic legnaggio, il quale è stato assai in Italia e intende e pari assai acconciamente il parlar italiano. Egli è poi il più festevo compagno e quello che meglio sappia con bei motti e face rallegrare e tener in festa quelli che seco sono. Onde essend le donne ritirate in camera e tutti noi altri iti a diporto nel giardino, che ci abbiamo molto bello, fu pregato il barone di Ramafort che con una de le sue novellette ci volesse interte nere. E cosi, essendo tutti assisi sotto un pergolato, egli narr' una novella che pur assai ci fece ridere e meravigliarsi tutta la compagnia. E certo a me parve una cosa molto strana. Avendola adunque scritta, con la comodità di questo messo ve la mando e vi dono, a ciò che sempre col vostro onorato nome in fronte si veggia, e s’intendano i vari accidenti che, or qua or là-, tutto ’1 di accadono. State sano. NOVELLA LXI Fra Filippo de l’ordine dei minori, non possendo goder la sua innamorata, si castra e le presenta il membro tagliato via. Ritornando io ultimamente d’Italia, feci il camino per la Lin- guadoca, e passando per una antica e nobile città, mi fu da un mio oste detto che non era molto che era accaduta una novella, la quale parendomi strana, me la feci narrare più d’una volta per meglio imprimerla ne la mente. Ora che le nostre madame sono ritirate e che abbiamo alquanto più largo cam di novellare che quando elle ci sono, io vi vo’ dir quanto alor in Linguadoca intesi, che dapoi da persone molto degne di fede m’è anco suto affermato per cosa indubitata e vera. Dice adunque che in quelle parti fu un monastero di monache di san Francesco, ed ancora v’è, di santità e religione famosissimo, nel quale sono vestite monache nobilissime e de le prime schiatte di tutta Francia, che vivono sotto il governo di [p. 19 modifica]NOVELLA LXI >9 cinque o sei frati minori a tal cura dal loro ministro de la provincia deputati. Questi dimorano di continovo ne le stanze a posta fabrícate per loro e che col monastero son congiunte. E parlando tutto il di e conversando con le monache, prendono con quelle una famigliar domestichezza; cagione che talora quella conversazione, che deverebbe tutta essere spirituale, diventa carnale e fa che si viene ad camis resurréctionem, perciò che la troppo familiarità partorisce poco rispetto, e come la riverenza manca, si vien poi ad un guazzabuglio. Ora avvenne che in detto luogo fu mandato un fra Filippo, uomo di ventitré o ventiquattro anni, che era nei servigi de le donne molto gagliardo, e in quelli assai più volentieri s'affaticava che a cantar in coro o far gli altri essercizi de la santa religione. Questi, come fu giunto in quel santo collegio e vide la privata domestichezza che s'usava, tra sé deliberò di mettersi a la prova, per vedere se trovava possessione da vangare e lavorare col suo piuolo, col quale egli soleva talora piantar gli uomini. E tentando diversi terreni, si domesticò molto con la vicaria del monasterio, che era donna d’altissimo legnaggio, e seco cominciò a parlare de le cose spirituali, narrandole l’istoria de le stigmate di san Francesco e de la penitenza che fece in Toscana nel monte de l’Avernia. E continovando questa sua pratica, cominciò a‘ venir al basso e parlare de le cose de l’amore. Al che la vicaria dava poca udienza, del che egli si mostrava restar molto di mala voglia. Nondimeno da l’impresa punto non si ritraeva, ma più di giorno in giorno si mostrava d’arder per lei. E perché le povere monache lavavano i panni dei frati fin a le brache, egli talvolta dava le sue brache a lavare, che erano stranamente ricamate a la damaschina con certi parpaglioni su, che averebbero fatto stomaco a Guccio porco. Né ad altro effetto fra P'ilippo dava le brache cosi ricamate se non che, veggen- dole la sua amica dipinte di quel modo, si movesse a pietà di non lasciarli gettar via l’umor radicale, ma fosse contenta di prestargli il mortaio, a ciò che esso potesse pestarvi dentro col suo pestello la salsa. Insomma non poteva fra Filippo far cosa che gli profittasse. Per questo si deliberò non parlar più [p. 20 modifica]20 PARTE TERZA in zifera, ma apertamente dirle il suo bisogno. E cosi, pigliata un giorno la oportunità ed entrato seco in vari ragionamenti, a la fine le disse: — Madama, io più e più volte mi sono apposto per farvi conoscer l'amore ch’io vi porto e la tormentosa passione che per voi soffro; ma voi non m'avete mai voluto intendere, di modo che, veggendomi da soverchio tormento morire, sono sforzato gittarmi a’ piedi vostri ed umilissimamente chiedervi mercede e supplicarvi che abbiate pietà di me, perciò che io non posso più durare in queste passioni. — La monaca, che poco di lui e meno de le sue ciancie si curava, gli rispose che egli le pareva un pazzo a dir simili materie e che in altro pensasse. Fra Filippo, che averebbe voluto appiccar la coda a la cavalla di compar Piero, le rispose e le disse: — Madama, voi non fate se non dire, e non sentite ciò che sento io. Ma se la cosa vostra vi desse la metà fastidio che fa quel mio diavolo che ho tra le gambe, voi pregareste me, ove io ora sono astretto a pregar voi; ché vi giuro per lo battesimo che ho in capo, che tutto il di e tutta la notte egli mi sta dritto e duro come una cavicchia di ferro, e mi dà tanta passione che io noi posso sofferire. — Sentendo queste pappolate, la monaca quasi mezzo adirata gli disse: — Fra Filippo, se voi non lo potete sofferire, vostro sia il danno: andate e tagliatevelo via, e sarete libero dal tormento che dite che vi dà. — Si parti molto di mala voglia messer Io frate, ed entratogli il diavolo nel capo, se n’andò a la sua camera, ed avuto, non so come, un rasoio, prese un laccio e quanto più stretto puoté con dui e tre nodi si legò vicino ai testimoni il membro, e col rasoio in un tratto via se 10 tagliò tutto netto. E non sentendo ancor dolore, perciò che la stretta legatura aveva di modo mortificato il membro, che sangue non ne usciva né gli dava doglia alcuna, se n’andò a trovar un frate suo compagno, che era consapevole dei suoi segreti, e si gli disse: — Frate mio, io mi sono castrato, e so che il mio membro più non mi molesterà. Guarda qui. — Restò 11 compagno a simile spettacolo tutto stordito, né sapeva che si dire. Da l’altra parte fra Filippo, a cui pareva d’aver fatto uno dei bei tratti del mondo, si messe d’allegrezza a saltare. [p. 21 modifica]NOVELLA LXI 21 Ed ecco che al secondo o terzo salto che fece, il laccio si snodò e cominciò il sangue con larga vena ad uscire, e il dolore a crescere, di modo che il povero fra Filippo, perdute le forze, si abbandonò e si lasciò andar stramortito in terra. Il suo compagno, veggendo cosi strano accidente, levò la voce e quanto poteva più alto domandava aita, ed avevasi recato fra Filippo ne le braccia. Gli altri frati, udendo il grido, corsero tutti là e trovarono fra Filippo più morto che vivo, e dal suo compagno intesero la cagione del suo male; il che a tutti parve pure la più strana cosa del mondo, e quasi pareva loro che fosse incredibile. Tuttavia, veggendo l’abbondanza del sangue che per terra era, essendovi tra loro alcuno che un poco di cirugia s'intendeva, andò e con certi suoi ogli e polvere fece stagnare il sangue e mitigò assai il dolore a l’infermo, il quale liberamente a tutti narrò la cagione perché si stranamente s’era circonciso. Alora tutti quei frati corsero a picchiar la porta del monastero con tanta furia che pareva che il mondo abissasse. Le monache, sentito il romore, corsero ad aprir la porta, ed aspettando sentir qualche gran novella d’importanza, i buon frati le dissero la fiera disgrazia e strano accidente che al padre fra Filippo era avvenuto. Le monache, udendo simil pazzia e credendo che i santi frati si burlassero, gli dissero che avevano fatto una bella baia a metter tutto il monastero col lor battere a la porta in romore, e che non credevano a le lor ciancie. I frati affermavano pure con santi giuramenti la cosa esser cosi. E veggendo che le monache non erano disposte a volerla credere, dui o tre di loro andarono ne la camera ove fra Filippo aveva fatto la beccaria, e trovarono il povero ser Capoccio in terra tutto pallidetto e languido, e quello presero, mettendolo suso un quadro, il quale tutto copersero, ché era di maggio, di rose, fiori e d'erbe odorifere, come se fosse stata la reliquia di san Brancaccio. Cosi ben adornato, lo portarono a le monache e dissero loro: — Eccovi il testimonio di quanto v'abbiamo narrato, a ciò non crediate che noi v’abbiamo detto bugia. — Le buone donne presero il quadro in mano e discopersero il povero pistello e molto bene lo guardarono, biasimando tutte fra [p. 22 modifica]22 PARTE TERZA Filippo che avesse fatto si gran pazzia. Dopoi con dolor di tutti fu data sepoltura a quella poca carne, che non era più buona a far servigio; e fra Filippo, come fu guarito, non potendo sopportar la baia che le monache e i suoi compagni tutto il di gli davano, avuta la dispensa dal sommo pontefice, si fece monaco di san Benedetto.