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Opere di scultura e di plastica di Antonio Canova/XXV

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ERCOLE FURIOSO

CHE SAETTA I PROPRI FIGLI

DA LUI CREDUTI

QUELLI D’EURISTEO




basso rilievo in gesso


XXV.

Essendo la orgogliosa Giunone tutta ira nel suo geloso furore, quanto ardente era il donnajuolo suo marito nell’amoreggiare le belle ovunque gli venia fatto di rinvenirle (e fossero esse pure mortali, o Dee, che per tutte egli era di facile contentatura); nè usar potendo essa sempre dell’umiliante conforto di apparirgli bella ornandosi dell’altrui spoglie, solea mettere tutta la malizia ch’è propria del suo sesso, e tutto il livore ch’è naturale alla sciagurata passione della gelosia, nel nuocere alle amanti di suo marito, ed ai figli che da quelle nascevano. Come appunto l’amore, l’odio essendo passione di prima classe fu creduta degnissima di albergare nel petto di quelle antiche Divinità, che a me non pajono in vero che un peggiorativo personificato della razza [p. 73 modifica]umana. Ercole figliuolo di Giove e di Alcmena fu lo scopo continuo dell’ira implacabile di Giunone. Dopo di avergli indarno suscitato a migliaja i pericoli, vincitore dell’Erebo, Ercole ritorna finalmente in seno della sua famiglia, e ritrovatovi Lico Re dell’Eubea che stava per sterminarla, ed usurparsi il di lui trono, lo uccide; e mentre vuole da quella uccisione purificarsi sacrificando a Giove, la maligna Dea offuscandogli la mente, e rendendolo furioso fa sì ch’ei prenda i proprj suoi figliuoli per quelli del suo inimico Euristeo, e che con orribile scempio gli uccida. Canova sagacemente rappresenta questa tragedia, scolpendo nel mezzo del bassorilievo un’ara fumante, presso della quale s’erge una colonna, a cui sta sopra un Giove sedente. Si scorgono in varie compassionevoli attitudini già stesi a terra estinti tre giovinetti, a due de’ quali si veggono ancora fitte l’una nel dorso e l’altra nel petto le freccie da cui furon trafitti. Ercole sta per iscoccarne un’altra contro un figliuolino, che l’infelice sua madre tien sollevato col destro braccio per la metà del corpicciuolo, facendogli quasi scudo col fianco sinistro, e stendendo disperatamente, e quanto può, dallo stesso lato la testa e la persona tutta, implorando grazia dal furibondo suo sposo. La di lei mossa è tanto espressiva, tanto supplichevole e commovente, che l’insensibilità d’Ercole, a quella vista, è forse più dei figliuoli estinti la prova maggiore [p. 74 modifica]dell’insania ond’era invasa l’infelice sua mente. Dei figli tuoi, della tua sposa, di te stesso, pietà, gli grida quell’infelice; ma in vano! Un fanciullino tenendo le braccia incrociate, e tutte in sè ristrette le picciole sue membra, avviluppatosi la testa nell’ampia veste della madre, crede, come appunto sogliono i fanciulli, essersi sottratto da quel pericolo che non vede. Un altro si nasconde dietro l’ara di Giove, e con le picciole mani si chiude gli orecchi per non udire le orribili strida di cui è ripiena l’aria che lo circonda. Un terzo con lo spavento negli occhi, quasi perdono chiedendo dell’ignorata sua colpa, gettatosi in ginocchioni presso del padre, gli abbraccia con ambe le mani la coscia destra, e di frenarlo o di raddolcirlo procura. Una giovinetta di età alquanto maggiore, postasi essa pure in ginocchioni, pietade e grazia chiedendo, alza le braccia e la testa disperatamente verso il figliuolo di Giove, tentando pur d’arrestarlo; e dietro ad essa il vecchio Anfitrione con tutto lo sforzo di cui può esser capace la grave età sua, a cui però dà forza l’alta disperazione, obliando il proprio pericolo, si slancia precipitosamente incontro ad Ercole, e ponendogli una mano sul petto, e l’altra sulla freccia che sta per partire, tenta d’arrestarne il micidial colpo. Ercole, la di cui presso che intera nudità ci lascia ammirare le più grandiose forme che vedere si possano, e degne in vero dell’Eroe che [p. 75 modifica]raffigurano, non ha indosso che la pelle del Leone da lui vinto, la quale gli cuopre solo una parte del braccio sinistro, e viene ad allacciarsegli nel mezzo della persona. Egli manifesta nei lineamenti risentiti della stravolta fisionomia quello stato orribile e spaventoso, ch’è la prova maggiore di uno spirito del tutto alienato. Ma la spietata Dea, anzi che sazia di tanto eccidio, non fa in esso che dar principio alla propria vendetta; nè sarà già per compierla veramente che restituendo ad Ercole la smarrita ragione, e con essa il rimorso: il rimorso laceratore, che le palesi e le secrete colpe flagella, sì che l’uom più reo della dolce pietade degli uomini si rende degno, e della generosa clemenza degli Dei.