Operette morali/Il Parini, ovvero Della Gloria/Capitolo nono

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Il Parini, ovvero Della Gloria
Capitolo nono

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Il Parini, ovvero Della Gloria
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Facciamo che superato ogni ostacolo, aiutato il valore dalla fortuna, abbi conseguito in fatti, non pur celebrità, ma gloria, e non dopo morte ma in vita. Veggiamo che frutto ne ritrarrai. Primieramente quel desiderio degli uomini di vederti e conoscerti di persona, quell’essere mostrato a dito, quell’onore e quella riverenza significata dai presenti cogli atti e colle parole, nelle quali cose consiste la massima utilità di questa gloria che nasce dagli scritti, parrebbe che più facilmente ti dovessero intervenire nelle città piccole, che nelle grandi; dove gli occhi e gli animi sono distratti e rapiti parte dalla potenza, parte dalla ricchezza, in ultimo dalle arti che servono all’intrattenimento e alla giocondità della vita inutile. Ma come le città piccole mancano per lo più di mezzi e di sussidi onde altri venga all’eccellenza nelle lettere e nelle dottrine; e come tutto il raro e il pregevole concorre e si aduna nelle città grandi; perciò le piccole, di rado abitate dai dotti, e prive ordinariamente di buoni studi, sogliono tenere tanto basso conto, non solo della dottrina e della sapienza, ma della stessa fama che alcuno si ha procacciata con questi mezzi, che l’una e l’altre in quei luoghi non sono pur materia d’invidia. E se per caso qualche persona riguardevole o anche straordinaria d’ingegno e di studi, si trova abitare in luogo piccolo; l’esservi al tutto unica, non tanto non le accresce pregio, ma le nuoce in modo, che spesse volte, quando anche famosa al di fuori, ella è, nella consuetudine di quegli uomini, la più negletta e oscura persona del luogo. Come là dove l’oro e l’argento fossero ignoti e senza pregio, chiunque essendo privo di ogni altro avere, abbondasse di questi metalli, non sarebbe più ricco degli altri, anzi poverissimo, e per tale avuto; così là dove l’ingegno e la dottrina non si conoscono, e non conosciuti non si apprezzano, quivi se pur vi ha qualcuno che ne abbondi, questi non ha facoltà di soprastare agli altri, e quando non abbia altri beni, è tenuto a vile. E tanto egli e lungi da potere essere onorato in simili luoghi, che bene spesso egli vi è riputato maggiore che non è in fatti, né perciò tenuto in alcuna stima. Al tempo che, giovanetto, io mi riduceva talvolta nel mio piccolo Bosisio; conosciutosi per la terra ch’io soleva attendere agli studi, e mi esercitava alcun poco nello scrivere; i terrazzani mi riputavano poeta, filosofo, fisico, matematico, medico, legista, teologo, e perito di tutte le lingue del mondo; e m’interrogavano, senza fare una menoma differenza, sopra qualunque punto di qual si sia disciplina o favella intervenisse per alcun accidente nel ragionare. E non per questa loro opinione mi stimavano da molto; anzi mi credevano minore assai di tutti gli uomini dotti degli altri luoghi. Ma se io li lasciava venire in dubbio che la mia dottrina fosse pure un poco meno smisurata che essi non pensavano, io scadeva ancora moltissimo nel loro concetto, e all’ultimo si persuadevano che essa mia dottrina non si stendesse niente più che la loro.

Nelle città grandi, quanti ostacoli si frappongano, siccome all’acquisto della gloria, così a poter godere il frutto dell’acquistata, non ti sarà difficile a giudicare dalle cose dette alquanto innanzi. Ora aggiungo, che quantunque nessuna fama sia più difficile a meritare, che quella di egregio poeta o di scrittore ameno o di filosofo, alle quali tu miri principalmente, nessuna con tutto questo riesce meno fruttuosa a chi la possiede. Non ti sono ignote le querele perpetue, gli antichi e i moderni esempi, della povertà e delle sventure de’ poeti sommi. In Omero, tutto (per cosi dire) è vago e leggiadramente indefinito, siccome nella poesia, così nella persona; di cui la patria, la vita, ogni cosa, è come un arcano impenetrabile agli uomini. Solo, in tanta incertezza e ignoranza, si ha da una costantissima tradizione, che Omero fu povero e infelice: quasi che la fama e la memoria dei secoli non abbia voluto lasciar luogo a dubitare che la fortuna degli altri poeti eccellenti non fosse comune al principe della poesia. Ma lasciando degli altri beni, e dicendo solo dell’onore, nessuna fama nell’uso della vita suol essere meno onorevole, e meno utile a esser tenuto da più degli altri, che sieno le specificate or ora. O che la moltitudine delle persone che le ottengono senza merito, e la stessa immensa difficoltà di meritarle, tolgano pregio e fede a tali riputazioni; o piuttosto perché quasi tutti gli uomini d’ingegno leggermente culto, si credono avere essi medesimi, o potere facilmente acquistare, tanta notizia e facoltà sì di lettere amene e sì di filosofia, che non riconoscono per molto superiori a sé quelli che veramente vagliono in queste cose; o parte per l’una, parte per l’altra cagione; certo si è che l’aver nome di mediocre matematico, fisico, filologo, antiquario; di mediocre pittore, scultore, musico; di essere mezzanamente versato anche in una sola lingua antica o pellegrina; è causa di ottenere appresso al comune degli uomini, eziandio nelle città migliori, molta più considerazione e stima, che non si ottiene coll’essere conosciuto e celebrato dai buoni giudici per filosofo o poeta insigne, o per uomo eccellente nell’arte del bello scrivere. Così le due parti più nobili, più faticose ad acquistare, più straordinarie, più stupende; le due sommità, per così dire, dell’arte e della scienza umana; dico la poesia e la filosofia; sono in chi le professa, specialmente oggi, le facoltà più neglette del mondo; posposte ancora alle arti che si esercitano principalmente colla mano, così per altri rispetti, come perché niuno presume né di possedere alcuna di queste non avendola procacciata, né di poterla procacciare senza studio e fatica. In fine, il poeta e il filosofo non hanno in vita altro frutto del loro ingegno, altro premio dei loro studi, se non forse una gloria nata e contenuta fra un piccolissimo numero di persone. Ed anche questa è una delle molte cose nelle quali si conviene colla poesia la filosofia, povera anch’essa e nuda, come canta il Petrarca1, non solo di ogni altro bene ma di riverenza e di onore.

Note

  1. Povera e nuda vai, Filosofia. Francesco Petrarca, parte 4, son. 1. La gola e 'l sonno.