Osservazioni di Giovanni Lovrich/Del Corso della Cettina, il Tilurus, o Nastus degli antichi/§. 7. Delle Colline Vulcaniche, e de' Laghi di Krign

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§. 7. Delle Colline Vulcaniche, e de' Laghi di Krign

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§. VII.

Delle Colline Vulcaniche, e de’ Laghi di Krign.

P
Artendo dalla Città di Æquum, o Troian-Grad, o servendoli del termine più comune da Krign, al fianco di esso, passato un piccolo rivoletto, vi è subito una collina di ragionevole altezza, che domina la bella Campagna all’intorno, e sotto cui alla parte Occidentale, sono i due Laghi. Questa collina, come l’altra, che l’è dappresso chiamo Vulcaniche, perchè il Fortis le chiamò tali, ma io considererò in esse tutto altro. Sopra una di esse apparisce un picciolo Tempio ora distrutto, e sembra sia stato innalzato sopra le rovine di un Tempio pagano. Il gusto dell’Architettura è quello de’ Calogeri presenti, e lo è per conseguenza di que’ de’ primi tempi della Chiesa, giacchè i Calogeri non alterarono mai il gusto delle fabbriche antiche. Egli è un monumento, che potrebbe provare in parte, che i primi Cristiani, che arrivarono in Dalmazia dalle parti Settentrionali, e que’ dell’Oceano glaciale, furono del rito Greco. Ò udito taluni disputare su questo punto, ma basta esaminare qual Religione dominasse fra gl’Imperatori di Oriente ne’ primi Secoli della Chiesa, e la questione è finita. Quivi dicono i Morlacchi, che S. Giorgio fece quel prodigio di ammazzar il drago, che sorgeva da uno de’ Laghi, e già già si preparava a trangugiar la Figlia del Re, a cui era toccata la sorte di esponersegli. Chi esamina bene la Storia, vedrà che ai tempi di S. Giorgio non vi erano altri Re, che comandassero in Dalmazia, che gl’Imperatori Romani, e che il suddetto prodigio è [p. 43 modifica]succeduto altrove, oppure ch’ella è una mera favola, inventata dal fanatismo, e conservata dalla ignoranza. In fatti ai più svegliati de’ Morlacchi il racconto sembra più religioso, che vero. Sopra l’altra collinetta alla prima quasi contigua non vi furono fabbriche di sorte alcuna, ma fra gli Alberi e sotto una grotta di Gesso si asconde un Laghetto, in cui si trovano delle testugini acquatiche. Gli altri due Laghi, che sono dalla parte opposta della collina, divisi da un’istmo, per di sotto a cui comunicano, abbondano di Tinche di color, che trae molto al nericcio, e piene di lische. Queste lische, che in Islavo si chiaman dlacche àn fatto dire dal Fortis, che gli abitanti pretendono, che vi sien pesci di una specie irsuta; ma egli non era in dovere di saper che dlacche in lingua nostra significa egualmente peli, e lische di pesce. Con la stessa precisione ci scrive, che i Laghi di Krign sono situati nella Prateria di Margude, qual nome appartiene ad una collina più in su sopra Caracascizca, per altro non meritava il suo ingegno di badar a tali minuzie.

Gli abitanti della Villa Caracascizca, poco distante da Krign, sono quasi tutti Zingari. Conservasi fra Morlacchi una pia memoria, che questa razza di gente, diversa da essi loro per lo taglio di viso, per la nerezza della cute, e per malizie le più sottili, sia l’avvanzo de’ seguaci di Faraone, a’ quali riuscì di liberarsi dalle acque di Egitto sopra alcune casse de’ Tamburi, che battean per mestiere, loro proprio fra noi anche oggi giorno, quando i Territoriali si mettono alle armi, ed in tutte le pubbliche funzioni. Io non mi sono prefisso di esaminare questo racconto, ma uno de’ più accreditati Autori è di parere, „ che i ressidui di quegli antichi vagabondi, che si [p. 44 modifica]chiaman Zingari, sono gli avvanzi degli Egizj “ che in Francia esso crede, che l’àn presi per Boemi, e s’è vero, che ciò sia in Francia, essi si ànno appropriata la lingua Boema, come la nostra Slava, che le somiglia affatto, si appropriarono questi Zingari di Caracascizca, non essendovi altra differenza, che il modo Zingaresco di pronunciare un po’ nel naso, diverso dal nostro. Essi deggiono molto al Fortis, che disse, che „ quì si occupano pacificamente del lavoro della terra, e più comunemente delle manifatture di ferro, arte che sembra loro propria, e in cui riescono a meraviglia, se si guardi alla semplicità degli stromenti, che adoprano. “ Poche parole bastano per esprimere la indole di questa feccia infesta: Rubare, ingannare, e far i birboni sono le lor arti principali. Io ne porterò un esempio, che potrà valer per cento. Filippo Nasich, Zipgaro di nascita si mise in capo di vivere a forza d’inganni, e sottigliezze; ma per far la sua fortuna stimò bene di allontanarsi dalla Patria. La prima volta se ne andò in Turchia, e dopo aversi ammogliato, e fatto circoncidere, rubando certe carte ad un Turco di qualità, passò nello Stato Austriaco, spacciandosi per uno de’ Signori della Bosnia, che rinunciava alla Fede Maomettana. In guiderdone di ciò, egli ebbe l’onore, come si narra, di aver per Compare S. A. I. Giuseppe Secondo, e gli fu dato un impiego da poter vivere con decoro. E mentre vivea con somma tranquillità, contento di essere passato dal miserabil essere di scozzone a quello di Comandante, gli si avvicinò un Padre Zoccolante della Dalmazia, facendogli capire di conoscerlo. Lo Zingaro avaro per natura non mancò di mostrarsi generoso col suo conoscente, quale sendosi reso importuno colle sue esorbitan[p. 45 modifica]ti ricerche fu causa, che il povero Nasich sene fuggì in fretta dagli Stati Austriaci. Ritornatosene in Turchia per colorare vieppiù la sua impostura, si cominciò spacciar per Medico, il che gli giovò per alquanto tempo. Ma temendo sempre di essere scoperto, si trasferì a Venezia, e da di là a Padova, già quattro anni, ove io mi trovava, come al presente pure, allo studio. Esso faceva credere a tutti di essere Maomettano, e che illuminato da una Potenza sopranaturale andava a ricever il Battesimo a Roma, e non con somma difficoltà gli riuscì di vender lucciole per lanterne. Mi fu fatto credere, che allora qualche divoto di Padova in benemerenza della conversione alla nostra Fede, gli volesse assegnare il mantenimento per tutto il corso della sua vita, purchè si fermasse seco lui, ma esso giudicò più opportuno dopo il cumulo di qualche dozina di Zechini di partirsene per Roma, avendosi anche accorto, che io lo conosceva. Vi fu un importuno, ed imprudente Prete, che voleva, io facessi una giurata fede di conoscerlo, nè so a qual fine, non ebbe però il piacere di ottenere il suo intento. Filippo Nasich a Roma fece buona giornata, e fu compatito, per quanto si udiva dire, da sua Santità Clemente Decimoquarto, allora Regnante. Da Roma passò a Napoli, ove si vuol, che sia presentemente in figura di custode alle porte di un Prencipe Napolitano. Non è pregio dell’opera il riferir degli altri inganni di questo Zingaro: Basta sapere, che di ugual pasta sono tutti i suoi Nazionali. Non è già per questo, ch’essi non si occupino qualche poco anche del lavoro della terra, e delle manifatture di ferro, che ordinariamente consistono in ferri, e chiodi da cavallo. I Fabri Morlacchi pell’orrore, che ànno per questa [p. 46 modifica]Nazione, non usan mai di farne, sicchè il far chiodi, e ferri da cavallo è mestiere fra noi de’ soli Zingari, che vi riescono bene.