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308 nota


Insieme con questo apocrifo e con altre prose boccaccesche autentiche, la V fu stampata nel 1547 per cura di A. F. Doni1, ed inizia cosí la bibliografia delle epistole2. Nel 1723 il Biscioni produsse in luce primamente il testo italiano della XII, che si accompagnò con gli scritti raccogliticci della stampa precedente3; questo materiale passò in altre edizioni di cosí dette Lettere volgari, sino a quella compresa nell’ultimo volume della raccolta curata dal Moutier4. In essa venne a confluire intanto una parte nuova: in appendice furono dati i volgarizzamenti delle epistole VIII, VI, II, IV e X, che, illustrate e stampate nel testo originale del Ciampi appena quattro anni prima, concorrevano adesso a far ingrossare la raccoltina. Sino alla scoperta (cosí possiamo chiamarla) del Ciampi erano state edite sparsamente, tra il 1704 e il 1819, appena cinque lettere latine (XXIII, XXIV, XIV, XVIII e IX5; il bravo canonico pistoiese stampò nel 1827 l’VIII, e nel 1830 la riprodusse accompagnata dalle VI, I, III, II, IV, X



    (pp. 437-8), e giá la sua apocrifitá era stata ammessa dal Manni (p. 21), come poi fu via via dai piú moderni senza eccezione. Che il falso non possa ascriversi al Doni fu affermato dal Della Torre (nella Miscellanea di studi crit. pubbl. in onore di G. Mazzoni, Firenze, 1907, I, p. 218, n. 2) in séguito all’osservazione che una «assai bona» epistola del Bocc. a Cino era stata antecedentemente rammentata dallo Squarzafico nella sua biografia boccaccesca data in luce nel 1472 (Solerti, Le Vite cit., p. 696). Ora, per quanto sia scarso il credito del plagiario alessandrino (cfr. Quarta, nel Bull. storico pistoiese, XI [1909], p. 49 sgg.), sta il fatto che la menzione dello Squarzafico non riconduce punto all’epistola doniana, poiché in un ristretto della lettera veduta dal biografo quattrocentesco figurano concetti che non sono in quella a stampa: si che l’identificazione dei due scritti non è possibile. Diremo dunque che il cenno dello Squarzafico potè suggerire ad un lettore fantasioso e superficiale lo spunto generico della falsificazione; ma che a sua volta il biografo alluse ad un’epistola a Cino che noi non conosciamo, a meno che non si tratti, come sembra possibile, di una contaminazione da lui fatta, in buona o mala fede, con altro materiale piú o meno autentico, ma petrarchesco (cfr., per ora, Quarta, pp. 59-60).

  1. Prose antiche di Dante, Petrarcha, et Bocc., ecc., Firenze, 1547, pp. 13-4. Il volume contiene ancora sparsamente la lettera al Bardi senza il pezzo dialettale, la dedica della Fiammetta e quella del De claris mulier. volgarizzata.
  2. Per la quale cfr. Bacchi della Lega, Serie cit., pp. 29, 124-5; Zambrini, Le opere volg. a stampa4, coll. 171-73; Hortis, pp. 788-91 (limitatamente alle epistole latine). Qualche indicazione presso Narducci, Di un Catal. cit., p. 13.
  3. Prose di D. Alighieri e di messer G. Bocc., Firenze, 1723: alle pp. 289-317 l’ep. XII, preceduta da quella a messer Pino e seguita da quella a Cino, dalla V, dalla dedica volgarizzata del De Claris mulier. e dalla lettera al Bardi.
  4. Opere volgari di G. Bocc., XVII, Firenze, 1834.
  5. Le indicazioni bibliografiche saranno esibite qui avanti.