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4 la poesia cavalleresca

perfeziona; questi forbe la forma, quegli lavora sul fondo, finché non giunga Ariosto. La disamina de’ predecessori e de’ successori dell’Ariosto è quindi di ben altra importanza che l’esame de’ predecessori di Dante e Petrarca. Bastò consacrare a questi un paio di lezioni; quelli richiedono maggior tempo. La materia è amplissima, e non si possono leggere de’ lunghi poemi come un canto di Dante o un sonetto di Petrarca. Quindi il giovedì e il sabato si farà un corso generale nel quale si tratti della forma e degli elementi di questa nuova poesia; il lunedì dopo la prima ora consacrata alle composizioni leggeremo ed esamineremo i più importanti brani de’ poemi romanzeschi dal Pulci al Folengo. Così in un giorno acquisterete cognizione degli autori, e negli altri cognizione dello sviluppo estetico di questa terza civiltà.

Questa nuova poesia ha un carattere negativo ed un carattere positivo. Ben lunge dall’esserne la continuazione o l’imitazione, è la negazione e la dissoluzione della poesia dantesca; è un genere tutto opposto. È dunque una poesia seria e vera: giacché seguendosi sempre un medesimo ciclo, si sta in un pantano, si ripete, si fa come il vecchio che tenta di imitare ed imita meccanicamente il giovane, ma che manca di forza e passione. A un periodo di stagnazione spesso siegue la morte, talora il rinascimento. Dopo Dante e Petrarca scorsero ottanta anni di riposo che formano il periodo da noi chiamato il Quattrocento, nel quale gl’italiani dimenticarono la propria lingua e la propria letteratura.

Ottanta anni di silenzio e di riposo. Chi ne guarda la superficie giudica che debbe esser la morte, ma nel fondo si prepara una nuova civiltà che deve sorgere a poco a poco. Se vi è mancanza di attività per la letteratura italiana è perché tutta l’operosità del tempo si è rivolta ad un’altra letteratura. Petrarca e Boccaccio avevano per così dire lavorato essi stessi a farsi dimenticare: costoro cumulavano la qualità d’erudito e poeta; consumavano la vita a caccia di manoscritti. Quando finí il loro ciclo l’Italia era piena di be’ manoscritti, ben copiati e ben tradotti. La più parte de’ lavori del Trecento sono traduzioni. In quel tempo rovinò l’impero greco; e moltissimi greci