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348 saggi critici

quella vergogna, e cerca scampo nella contemplazione delle antiche etá.

                               O venturose e care e benedette
L’antiche etá!
                         

E va innanzi in questo argomento, e dell’Italia non è piú motto. Vuol parlare d’Italia, comincia a parlarne, e tutt’a un tratto torce il viso da lei, quasi lo prenda disdegno o disgusto, e canta la Grecia. Maggior tragedia di un popolo non è stata rappresentata, che il poeta caccia via dalla sua immaginazione.

E se di questo concetto avesse avuto il Leopardi una chiara coscienza ed un vivo sentimento, se in tanta caduta di un popolo avesse gittato uno sguardo profondo, ed avesse rappresentata la patria sua con quella ricchezza di contenuto che rende immortale l’Italia del Petrarca, avrebbe scritto cosa memorabile fra tante arcadiche poesie patriottiche.

Ma egli era ancora piú erudito e letterato che poeta e patriota, ed entra nell’argomento, traendosi appresso tutto il bagaglio delle sue reminiscenze e forme e abitudini classiche. Nel suo repertorio trovi tutt’i motivi comuni della vita giovanile nelle scuole: l’Italia giá donna, ora ancella, e la sua gloria passata e la presente abjezione, e i miracoli dell’antico patriottismo, e il fatto delle Termopili, materia ampia di descrizioni e imitazioni letterarie. L’Italia è per il nostro Giacomo un soggetto vago, e con un contenuto assai povero, e affatto comune, dato e ammesso senza esame, anziché cercato con tenace e commossa meditazione. Indi nasce che la forma vi rimane estrinseca come splendido abbigliamento, e non come il pensiero esso medesimo che si dispiega naturalmente. Non essendo niente d’ intimo in questa concezione, nessuna profonditá di pensiero e di sentimento, l’anima è tutta al di fuori intorno all’abbigliamento, e pensiero e sentimento vaniscono in figure rettoriche. Ci è Monti, ci è Filicaja, non ci è ancora Leopardi. Abbondano le ripetizioni, le descrizioni, le pitture e le esclamazioni e le interrogazioni: ci è giovanile e superficiale espansione.