mente giunsero nel sole, e bevvero il Vero e il Bello a due vive fontane:
Donde talor piovon spruzzi in terra.
Ora il sole è spento, è nel buio si vede solo una spada rovente!
La spada del dolore È il solo Ver che esiste in mezzo al niente.
La scienza è breve fosforescenza: la parola è una apparenza, a cui gli sciocchi dettero polpa ed ossa; la ragione con un bocciuol di canna fa bolle di sapone, che si sciolgono in gocciole di pianto:
Quanto riso mi move Questo genere umano!
E invoca la mente perduta, perché lo salvi da questa voce crudele:
O mia mente perduta, dove sei? Salvami da costei.
Cosí spoetava il nostro improvvisato poeta, tra Leopardi e Petrarca, e molceva l’affanno.
Quando leggo Silvio Pellico, talora mi casca il libro, per quella monotonia di carcere e di pazienza. Ma qui leggi e leggi, divori lo spazio. Bene intoppi qua e lá. Tutto non è uguale; ora senti la fretta, ora la negligenza, ora non so che soverchio e dottrinale; qui ti pare che qualche cosa manchi; qui senti che la corda non suona bene; qui il letterato mi guasta l’uomo. E che importa? Leggi e leggi, divori lo spazio. Ci è una malia per entro a queste pagine, che ti rende gli oggetti vivi, mobili, rapidi, e danzano e ti circondano, e non ti lasciano requie. E chiudi il libro, e quelli stanno lí, e non li puoi mandar via, e si fissano, prendono posto nella tua immaginazione. Aneddoti, fatterelli,