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ugo foscolo | 89 |
In questi versi malinconici c’è qualche cosa che «strepita» come l’onda, una forza rósa da ozio, o, com’egli dice, uno spirito guerriero che gli rugge ai di dentro, e non trova sfogo. Questa forza, ora sdegnosa, ora trista, gl’ispira il sonetto all’Italia e il sonetto a Zacinto. Ecco versi nei quali suona giá, come presentimento, Giacomo Leopardi:
Tu non altro che il canto avrai del figlio, O materna mia terra: a noi prescrisse Il fato illacrimata sepoltura. |
Da questa storia usciva Jacopo Ortis. Sotto a quel nome Foscolo scriveva sé stesso, a frammenti, secondo le impressioni e gli accidenti: poi a mente tranquilla fissò un disegno, stabili le proporzioni e venne fuori un romanzo, dove si sentono come diversi strati di formazione, mal dissimulati dal lavoro posteriore.
Ci era giá il Werther. Foscolo non l’avea letto. L’ebbe piú tardi, e mutò, rimutò, sotto a quella impressione. Il romanzo parve una imitazione, anzi un furto. Ma tutti lo leggevano. E il successo fu grande, massime tra’ giovani e le donne.
Ho innanzi il Werther. E non vedo come siasi tanto disputato su questi due romanzi. Jacopo e Werther sono due individualitá nella loro somiglianza superficiale profondamente diverse, anzi antipatiche l’una all’altra. Jacopo non avrebbe mai amato Carlotta, e Werther non avrebbe saputo che farsene di quella Teresa. Goethe ti dá un lavoro finamente psicologico: Kant avea lasciata la sua orma in quel cervello. Il suicidio vi