Pagina:Il Libro dei Re, Vincenzo Bona, 1886, I.djvu/10

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dalla difficile impresa. Molti altri invece, e sono di gran lunga i più, mi hanno fatto coraggio. Io ho seguito soltanto il forte impulso dell’animo mio, ho perseverato nell’opera consacrandole i più begli anni di mia vita, persuaso e convinto di riuscire; sono riuscito nel compierla, spero e credo che riuscirò nel diffonderla.

Del resto, anche quando uscirono le versioni di Ossian, di Schiller, di Goethe e di Shakespeare, in Italia, si gridò contro da tutte le parti per diverse ragioni; ma i giovani, sempre nobilmente bramosi di novità e inchinevoli ai facili entusiasmi, lessero avidamente quelle versioni. Quei giovani d’allora sono i vecchi del nostro tempo, e non v’è persona alquanto istruita che non sappia qualche cosa o di Amleto o del Re Lear o di Faust o della Fanciulla di Orleans. Io non voglio presumere di appellarmi all’avvenire; ho ferma fede soltanto che i giovani leggeranno Firdusi reso italiano, come meglio da me si è potuto, più che non farà la gente attempata. Ai giovani adunque che hanno cuore e sentimento, vada l’opera mia e a loro più specialmente si raccomandi.

La versione mia è stata condotta sull’edizione del testo fatta a Calcutta nel 1829 in quattro volumi da Turner Macan. Quantunque vi siano altre pregiate edizioni, come quella del Mohl di Parigi, quella già intrapresa dal Johann August Vullers a Leida, quella di Teheran, l’edizione di Calcutta è stata sempre considerata dai più come la più autorevole. Io l’ho resa per intero, eccetto i pochi brani segnati dagli asterischi, riconosciuti come non genuini, non senza però qualche rarissima volta accettare qualche lezione diversa data dal