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del chiabrera 343


V. E così avverrà, che fra tutti tutto avremo veduto; perciocché io di questo, che voi dite sapere, io nulla so. Recitate dunque la vostra lezione, quando io ho recitata la mia.

S. In un passo men varco: tutti son qui prigioni gli Dei di Parnaso, dice Dante verso l'imperadore, il quale dispregiava le venture d'Italia.

E dovresti inforcar gli suoi arcioni1.

Senza dubbio meglio sonava il verso

E dovresti inforcar gli arcioni suoi.

Dice egli altrove:

Pensa, lettor, s'io mi disconfortai2.

E pure migliore st il verso componendo così:

S'io mi disconfortai, pensa lettore.

D'alto periglio, ch’incontra mi stette3.

Parrai che più gentilmente si direbbe

D'alto periglio che mi stette incontra.

Il Petrarca certamente canta:

                            E la fanciulla di Titone
Correa gelata al suo antico soggiorno4.

E se io non sono ingannato con più misura dicevasi:

Correa gelata al suo soggiorno antico.

E similmente.

Amor, gli sdegni, il pianto, e la stagione5.

E forse nondimeno era miglior verso:

Amor, gli sdegni, la stagione, e 'l pianto.

Giungo ancora questo:

L’uno è Dionisio, e l'altro è Alessandro6.

Era egli meglio scrivere cosi:

L'uno è Dionisio, ed Alessandro è l'altro.

Io bene stimo ch’era meglio, ma faceva mestieri porre in fine quella parola.

Ora l'Ariosto assai prestamente nel suo poema scrive:

Questa fanciulla, che la causa n'era,
Tolse, e diè in mano al duca di Baviera7.

E pur meglio verso era, e meglio l’accompagnava col superiore:

Tolse e diè in mano di Baviera al duca.

Segue poi:

Contrari a’ voli poi furo i successi;
Che ’n fuga andò la gente battezzata8.

Meglio si giungeva questo secondo verso al compagno, dicendosi:

Che 'n fuga andò la battezzata gente.

Dirò due parole del Tasso. Dice egli dunque sul principio:

Canto l'armi pietose, e 'l capitano,
Che il gran sepolcro liberò di Cristo9.

Oui il verso secondo, ben accentato e molto sonoro, meglio accompagnavasi col primo, sponendolo in questo modo:

L'armi pietose, e il capitano io canto.

Dice poco dopo:

Resta Goffredo ai detti, allo splendore
D'occhi abbagliato, attonito di core10.

Senza contrasto i versi detti di sopra meglio si uguagliavano a questi due sponendoli così:

Resta Goffredo allo splendore, ai detti
Attonito di cor, d’occhi abbagliato.

Non voglio per cagione di riverenza dovuta tirare più in lungo il ragionamento; ma chiedo vostra opinione sopra ciò.

V. Io di buon core consento al vostro dire; dico non pertanto, che si potrebbe all’incontra portare alcuna ragione; che se questi uomini grandi hanno il più delle volte con ogni eccellenza fattosi sentire, argomenteremo direttamente affermando, se avessero più travagliata la loro mente divina non mai avrebbono scemata la loro lode; e però concluderemo, che poetare con versi rimati, non impossibile, ma sia malagevole cosa.

S. Bene sta; ma io ripeterò il detto vostro; se sì fatta malagevolezza non fu da sì fatti quattro poeti superata, chi mai le sarà supcriore? Giungo, che la rima non è finalmente altro, salvo un ornamento del verso, e per sì picciola cosa, come è un ornamento, non vogliamo essere sì grandi? E veramente che cosa può appellarsi la terza e l’ottava rima, salvo un gran numero di strofe? Queste cose son vere, ma gli uomini nati e cresciuti con suono di somiglianti versi dentro l’orecchio, non si accorgono, nè vogliono porvi il pensamento; pure una volta diversamente si edificava e si dipingeva dalla maniera d’oggi, e cosi può intervenire del poetare.

V. Il poeta narrativo ha mestieri di verso, il quale non l’obblighi, nè lo privi di libertà. Veggiamo Virgilio; egli dice:

Conticuere omnes, intentique ora tenebant;
Inde thoro pater AEneas sic orsus ab alto11:

Ecco ch’egli prende riposo su due versi, e poi soggiunge:

Infandum, regina, jubes rettuvare dolorem,
Trojanas ut opes, et lamentabile regnum

  1. Purg. C. 6.
  2. Inf. C. 8.
  3. Ivi.
  4. Trionfo d'Amore, cap 1.
  5. Ivi.
  6. Ivi.
  7. Orl Fur. C. 1. st. 8.
  8. Ivi st. 9.
  9. Gerus. liberata C. 1, st. 2.
  10. Ivi st. 17.
  11. Aeneid. lib. 2.