Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/122

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questo punto alcuni Italiani, e singolarmente il ch. march. Maffei, dall’amor della patria si son lasciati trasportare più oltre che a sincero e critico storico non si conviene. Che Pittagora fosse Tosco, dice il mentovato autore (Osserv. Letter. t. 4, p. 72), ne abbiam testimonii.... Eusebio, e Clemente Alessandrino, e Porfirio, e Laerzio, e Suida. Io mi sono presa la noiosa briga di esaminare i passi di tutti questi autori, ove della patria di Pittagora essi favellano, e confesso che sono stato sorpreso al vedere che non ve ne ha un solo che affermi Pittagora essere stato etrusco. Mi sia qui lecito arrecare le lor parole, perchè ognun possa vedere quanto io sia lungi dall’appoggiarmi all’autorità sola de’ moderni scrittori, e dall’attribuire alla mia Italia onore alcuno che non se le possa con sodi argomenti difendere e conservare. Eusebio dunque, per cominciare da lui, parla della patria di Pittagora come di cosa affatto incerta: Pythagoras.... Samius, ut nonnulli volunt, vel, ut aliis placet, Tuscus erat, nec desunt, qui Syrum eum vel Tyrium fuisse dicant. Utut sit, ec. (Praepar. Evangel. l. 10, c. 4). Nell’incertezza medesima ci lascia Clemente Alessandrino: Pythagoras Mnesarchi filius, Samius quidem erat; ut dicit Hyppobotus; ut autem dicit Aristoxenus in vita Pythagorae, et Aristarchus, et Theopompus, erat Tuscus; ut autem Neanthes, Syrus, vel Tyrius (Stromat. l. 1). Porfirio altro non fa egli pure che riferire più diffusamente le diverse opinioni intorno alla patria di Pittagora, ed arreca ancora la testimonianza di un antico storico, detto