Pagina:Zibaldone di pensieri IV.djvu/417

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(2737-2738-2739) pensieri 405

timento dell’esistenza e di se stesso; e dove è piú vita, quivi è maggior grado di amor proprio, o maggiore intensità e sentimento e stimolo e vivacità e forza del medesimo; e dove è maggior grado o efficacia di amor proprio, quivi è maggior desiderio e bisogno di felicità; e dove è maggior desiderio di felicità, quivi è maggiore appetito e smania ed avidità e fame e bisogno di piacere: e non trovandosi il piacere nelle cose umane è necessario che dove n’é maggior desiderio quivi sia maggiore infelicità, ossia maggior sentimento dell’infelicità; quivi maggior senso di privazione e di mancanza e di vuoto; quivi maggior noia, maggior fastidio della vita, maggior difficoltà e pena di sopportarla, maggior disprezzo e noncuranza della medesima. Quindi tutte queste cose debbono essere in maggior grado ne’ giovani che ne’ vecchi; siccome  (2738) sono, massime in questa presente mortificazione e monotonia della vita umana, che contrastano colla vitalità ed energia della giovanezza; in questa mancanza di distrazioni violente che stacchino il giovine da se medesimo, e lo tirino fuori del suo interno; in questa impossibilità di adoperare sufficientemente la forza vitale, di darle sfogo ed uscita dall’individuo, di versarla fuori e liberarsene al possibile; in somma in questo ristagno della vita al cuore e alla mente e alle facoltà interne dell’uomo, e del giovane massimamente.


     Il qual ristagno è micidiale alla felicità per le ragioni sopraddette. Ora esso è l’effetto proprio del moderno modo di vivere, e il carattere che lo distingue dall’antico, e quello che osservato da Chateaubriand, volendo fare un romanzo di carattere essenzialmente moderno e ignoto e impossibile da farsi o da concepirsi agli  (2739) antichi, gl’ispirò il René che si aggira tutto in descrivere e determinare questo ristagno e gli effetti suoi. Da ciò solo si conchiuda se la vita antica o la moderna è piú conducente alla