Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/1212
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(23 giugno 1821). Vedi p. 1233, fine.
* Alla p. 1155. Alle volte, anzi bene spesso, dinotano l’a poco a poco, il corso, il progresso dell’azione, per lo piú lento, anzi hanno forza bene spesso di esprimere appunto la lentezza dell’azione e non si usano ad altro fine. Ovvero esprimono formalmente la debolezza dell’azione ed hanno come una forza diminutiva uguale o simile a quella de’ verbi latini terminati in itare. Hanno simili modi anche gli spagnuoli e francesi, e gli adoprano in simili significati (24 giugno 1821). Vedi p. 1233, capoverso 2.
* Non è ella cosa notissima, comunissima, frequentissima e certa per la esperienza quasi di ciascuno, che certe persone, che da principio, o vedendole a prima giunta, ci paion brutte, a poco a poco, assuefacendoci a vederle e scemandosi coll’assuefazione il senso de’ loro difetti esteriori, ci vengono parendo meno brutte, piú sopportabili, piú piacevoli, e finalmente bene spesso anche belle e bellissime? E poi, perdendo l’assuefazione di vederle, ci torneranno forse a parer brutte. Cosí dico di ogni altro genere di oggetti sensibili o no. Molti de’ quali, che per una primitiva assuefazione di vederli e trattarli ci parvero belli da principio, cioè prima di esserci formata un’idea distinta e fissa del bello, veduti poi dopo lungo intervallo ci paiono brutti e bruttissimi. Che vuol dir ciò? Se esistesse un bello assoluto, la sua idea sarebbe continua, indelebile, inalterabile, uniforme in tutti gli uomini, né si potrebbe o perdere o acquistare, o indebolire o rinforzare, o minorare o accrescere,