Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/4366
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vede da noi, nell’intenzione stessa dello scrittore (2 settembre 1828). Vedi p. 4477.
* Togliendo dagli studi tutto il bello (come si fa ora), spegnendo lo stile e la letteratura, e il senso de’ pregi e de’ piaceri di essi ec. ec., non si torrà dagli studi ogni diletto, perché anche le semplici cognizioni, il semplice vero, i discorsi qualunque intorno alle cose, sono dilettevoli. Ma certo si torrà agli studi una parte grandissima, forse massima, del diletto che hanno; si scemerà di moltissimo la facoltà di dilettare che ha questo bellissimo trattenimento della vita: quindi si farà un vero disservizio, un danno reale (e non mediocre per Dio) al genere umano, alla società civile.
* Alla p. 4362. Alterum errorem iam sublatum puto (cioè già riconosciuto generalmente dagli eruditi), quo ex falsa notatione nominis ῥαψῳδοῦ, collegerunt quidam, versatam esse operam eorum in versib. passim excerpendis et consarcinandis ad modum Centonum, quales ex Homero a sanctis animis facti extant ridiculae ineptiae in summa gravitate rerum. Wolf, § 23, p. xcvi-ii. Tolto questo errore (che per altro è ancora comune nel volgo degli studiosi), il solo nome di rapsodi e di rapsodie sarebbe dovuto bastare ad avvertirci che le poesie omeriche non furono che canti staccati; siccome la tradizione costante dell’antichità che da Pisistrato, o per suo ordine, fossero primieramente raccolti e ordinati, come ora sono, i versi d’Omero, (Wolf, § 33), doveva bastare a mostrarci sí la suddetta cosa, e sí che Omero e gli altri non lasciarono scritte quelle poesie. Pure per iscoprir queste verità ci è voluto acume grande, per avanzarle ardire, e fino a Wolf è avvenuto in questa ciò che avviene ancora in mille altre cose, e talune piú gravi assai, che gli uomini non hanno alcuna difficoltà di conciliare, o piuttosto di congiungere ciecamente insieme credenze e nozioni incompatibili.
* Alla p. 4347. È cosa dimostrata che il piacer fino, intimo e squisito delle arti, o vogliamo dire il piacere delle arti perfezionate (e fra le arti comprendo la letteratura e la poesia), non può esser sentito se non dagl’intendenti, perch’esso è uno di que’ tanti di cui la natura non ci dà il sensorio; ce lo dà l’assuefazione, che qui consiste in istudio ed esercizio. Perché il popolo, che non potrà mai aver tale studio ed esercizio, gusti il piacer delle lettere, bisogna che queste sieno meno perfette. Tal piacere sarà sempre minore assai di quello che gl’intendenti riceverebbero dalle lettere perfezionate (altrimenti non sarebbe in verità un perfezionamento quello che le mette a portata de’ soli intendenti); e quindi ci sarà perdita reale; ma a fine che la moltitudine riacquisti il piacere perduto, e del qual solo ella è capace. Vedi p. 4388.
* Alla p. 4357. Il romanzo, la novella ec. sono all’uomo di genio assai meno alieni che il dramma, il quale gli è il piú alieno di tutti i generi di letteratura, perché è quello che esige la maggior prossimità d’imitazione, la maggior trasformazione dell’autore in altri individui, la piú intera rinunzia e il piú intero spoglio della propria individualità, alla quale l’uomo di genio tiene piú fortemente che alcun altro.
* Alla p. 4351. È anche insufficiente il dire che la lingua dell’immaginazione precede sempre quella della ragione. Nel nostro caso, cioè nella Grecia a’ tempi di Solone, ed anche a’ tempi stessi d’Omero, già molto cólti, (e similmente in tutti i casi dove trattasi di poesia e di prosa colta e letteraria), l’immaginazione avea già dato alla ragione tutto il luogo