Pensieri e discorsi/L'èra nuova/Introduzione
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È un giorno come un altro il dì che chiude un secolo e ne apre uno nuovo?1 Si deve, quel dì, inalzare al sole, al vecchio e giovane dio di nostra gente, un inno più fervido e più alto?
Sol di vita che con il fiammeo carro
porti e celi il giorno, che sempre un altro e
sempre quello sei, non veder di Roma
nulla più grande!
Torna la Vergine già, il buon tempo è già di Saturno:
genere d’uomini nuovo dai ceruli culmini scende;
Fede e Pace, Onore e Costume antico ed
osa la negletta Virtù tornare e
già si mostra l’universal Ricchezza
piena di doni.
Oh! gli uomini si guardano attorno, cercando l’Orazio migliore che canti l’Augusto più benefico e la Roma più magnifica... E questo poeta non osa ancora, forse, staccare la cetra dal chiodo, e siede in disparte e crolla il capo glorioso e mormora: Non forse il mio inno, lento e sublime, sarà interrotto da ululati d’odio? Non forse il sacro tintinno delle corde sarà concluso da rombi di cannone? E il poeta continua a meditare: Canterò il trionfo della fede antica? Ma se ella in tanti secoli non è riuscita a distruggere il lievito cattivo per il quale sono ora temute a un tempo guerre coloniali, nazionali ed etniche; di che ha ella trionfato? Canterò il vanto della scienza nuova? Ma se ella, con altri suoi mirabili e benefici ritrovati, ha pur fabbricato i battelli aerei, per cui deve piovere la distruzione dal cielo, e i battelli sottomarini, per cui dal fondo del mare la distruzione ha da erompere, di che, di che mai ella può vantarsi?
Note
- ↑ Così parlavo presso la fine del secolo già sepolto.