Pensieri e discorsi/Una festa italica/V - Ravenna e Mantova

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V.


Ravenna e Mantova


O Ravenna! O Mantova! meste città! Le cinge una pianura interminata, nella quale sono acque inerti o pigre. E nelle acque si stendono e galleggiano le ninfee, e ne escono i gigli gialli e i lunghi calami della tifa. E strillano su esse i piombini, e d’ogni parte gracidano le rane la loro cantilena che era vecchia già ai tempi del Poeta1. E qua, lontano muore, come dice un vostro malinconico cantore d’oggi2, la voce del pescatore, tremando su l’acqua con un lamento; e là, lontano si perdono le [p. 332 modifica]romanelle delle risaiole, immerse a roncare nella marcita.

O due sante città, Mantova e Ravenna! Presso Ravenna è una solitaria fattoria con una grande aia. Là, respinto dal mare a cannonate, Garibaldi portò Anita a morire. E l’Eroe ebbe, in quella rustica e romita casa di coloni, odorata di spighe da poco battute, l’intendimento della morte, accerchiato come era dagli stranieri armati; e lì vide, nella triste notte, dileguare le imprese future, e la terza Italia, dopo essersi mostrata qua e là nei colli veneti, nei piani lombardi, alle porte di Roma, svanire finalmente nel luogo dove si spense l’impero. Ma il popolo degli inermi volle che Garibaldi vivesse e l’Italia fosse.

E presso Mantova è, lungo lo specchio iridescente del lago, il Calvario delle dieci croci donde fu insegnato agli italiani — divino insegnamento di risurrezione e vita — morire. E l’Italia nuova adora il sacrificio di cui un dolce prete sconsacrato tornò a insegnarci la santità, inginocchiato avanti la forca, benedicendo, con le dita di cui erano stati raschiati i polpastrelli, i suoi compagni di martirio.

O meste, o sante, o sacre città! Presso Ravenna è la selva donde forse prese le mosse il poema sacro; la selva piena d’oscurità e difficoltà per l’uomo che non sa volere, che non vuole essere libero, e ogni sterpo gli è catena, e ogni macchia di luce che fa la luna tonda passando tra le chiome degli alberi, gli pare fosso; ed ecco la selva notturna di morte si è mutata in una viva foresta che tempera un nuovo giorno, e l’uomo vi si aggira a suo agio, libero dritto e sano, restando pur silvano qual prima era, ma come se si fosse per ciò inabissato nel baratro dell’inferno, fosse riuscito per un foro sotterra agli [p. 333 modifica]antipodi, e si fosse arrampicato per un monte così alto quanto era profondo l’abisso.

Note

  1. Georg. I, 318: veterem... querellam. Quanto Virgilio derivò direttamente dalla visione dei suoi campi e laghi e fiumi nativi e dalla sua città, che fu grande per lui fin che non vide Roma, e dai ricordi della sua prima giovinezza!
  2. Adone Nosari, in un suo libretto “Il Canzoniere Mantovano„

    sugàr as sent na gran malinconia...
    L’è l’anima d’Virgili...

    T’ispiri ancora e sempre, o buon giovine poeta, quell’anima! La quale, commossa da tutti i mali sociali, non si sentiva però meno parte della grande anima italica.