Perché pensosa e mesta

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Tommaso Crudeli

XVIII secolo Letteratura Perché pensosa e mesta Intestazione 19 luglio 2014 75% Da definire

Fragmento


Perché pensosa e mesta
pieghi la bella testa
verso il candido seno?
E nell’occhio raccolto,
5perché tener sepolto
quello sguardo sereno,
sollievo fiammeggiante
d’ogni infelice amante?
Forse novella ingrata
10or or ti fu recata
ch’al dispetto del vento,
di Nettunno adirato
e del mare agitato
è giunto a salvamento
15in naviglio sdrucito
del bel Livorno al porto,
e così non è morto,
il tuo fedel marito,
ch’altro non ha d’odioso
20ch’il caratter di sposo?
Forse quel tuo pedante
sì grosso e nerboruto,
sì gagliardo e fiancuto,
che a te cotanto piace,
25è ritornato in pace
colla cognata amante?
Misera giovinetta,
sempre a temer costretta
che ‘l valente cognato
30non l’abbandoni ingrato
per ir dietro a una chioma
inanellata e bionda
di qualche signorino
che vada alla seconda
35a storpiarvi il latino.
Forse lasciò Livorno
quel vago giovinetto
per cui Fiorenza un giorno
nell’infiammato petto
40di sdegno arse e d’amore?
Ahi che freddo timore,
ahi che gelida pena
corse per ogni vena
a far di ghiaccio il core,
45a scolorir sembianti
di mille e mille amanti,
quando lucente acciaro
scese sopra quel ciglio,
e d’un fiume vermiglio
50quei bell’occhi inondaro.
Qual di Tetide il figlio
fe’ doppo amaro pianto
l’ira scoppiar più forte,
e di Patroclo ucciso
55Ettore in riva al Zanto
cara pagò la morte,
tal da greco furor tutta commossa
l’innamorata gioventù toscana
corse doppo il dolor alla vendetta,
60per cui tremò nel sen di porcellana
l’amaro e reo caffè di Porta rossa.
Non tante nello scudo il fiero Aiace
aste troiane là nel mar sostenne,
quando respinse dalle greche antenne
65sì funesta agli Achei l’ettorea face,
quanti colpi sofferse
di Misaìte la crudele spada,
tanto che in fine perigliosa aperse
tra l’etrusco valore angusta strada;
70per dove poi fuggito
l’eroe micidïale
parve fiero cignale,
che sanguinoso dal teatro uscito,
mentre per la città corre veloce,
75nello stracciato orecchio il popol mira
segni de’ denti del mastin feroce.
Sparse intanto la Fama in un momento
che di quel volto vago e rilucente
fu lo splendore impallidito e spento,
80che la bocca ridente
morde il terreno sanguinosa e guasta,
e che nube di morte omai sovrasta
del bel fanciullo al fulgido orïente.
Al doloroso avviso
85il chierico lasciò fra le lenzuola,
tutta lagrime il viso,
la bella serva abbandonata e sola
a richiamar nella deserta sponda
il fugitivo tonsurato Enea:
90odi come adopra in vano
lamentevole preghiera
la Didone cuciniera.
Il dragon che vigilante
masettante
95all’Esperidi velate
non già guarda i pomi d’oro,
ma più nobile tesoro
di rotonde e delicate,
all’infausto orrendo suono
100lasciò l’orto in abbandono.
Biancheggiante di trinoso
bisso sopra verde manto,
lascia il coro strepitoso
e il solenne augusto canto,
105e piangente e malinconico
corre al caso ogni canonico.
Chiama in vano Astrea dolente
fugitivo il senatore;
di pietà ferito il cuore,
110a quei detti ei non pon mente;
ella allora alza la spada,
ma il buon uom corre e non bada.
Non tanti dietro a sé condusse Orfeo
per la tracia foresta
115al suono delle corde lusinghiere
ombrosi monti colla selva in testa,
fiumi, tronchi e macigni, uomini e fere,
quanti corsero a tergo,
quanti corsero a lato
120del bel garzon piagato,
e·lli fêr compagnia fino all’albergo,
a cui si vede innante
d’Issïonne la prole mostrüosa
versar l’alma orgogliosa
125sotto la clava d’Ercole pesante.
Greco marmo intenerito
in gentil fianco adoneo,
greco marmo ammorbidito
in bel cul ganimedeo,
130dall’augel quando rapito,
dal cignal quando ferito:
tu non sei più maraviglia,
tu non sei più dolce invito
della mente e della ciglia
135d’ogni nobil erudito;
il fanciul ch’oggi è ferito
assai più del morto Adone
a sé trae l’erudizione.
In mirar quel largo seno
140affannoso e palpitante,
che di spirito ripieno
manda al labro aura anelante
…………………….
…………………….
145e nel labro è morto il fiore
cui diè Venere il colore,
l’antiquario ha nella mente
marmo antico ed erudito
da Prasitele scolpito,
150marmo al duol reso obediente,
che figura il bel Giacinto
quando, ahimè, da Febo è estinto.
In mirar l’onda vermiglia,
che cadendo ricopriva
155il bel arco delle ciglia,
e la luce semiviva
che tra guance iva sfiorite
e tra labra impallidite
al bel collo in pria nevoso
160d’atro sangue or nero e tinto,
angoscioso, sospiroso
tutto <il clero> ad una voce:
- Questo è Abel - dicea - dipinto
dal pennel di Guido Reno,
165quando sotto il colpo atroce
del fratel veniva meno -.
Nel mirar non più gioconda
di bei raggi tesoriera
la palpèbre che circonda
170la pupilla or non arciera,
come in van l’occhio difende
dall’umor che d’alto scende,
e nell’occhio il raggio è fioco
cui diè Amor tutto il suo fuoco:
175- Troilo par - disse il togato -
quando sull’altar febeo
per amor cadde svenato
dalla prole di Peleo,
crudel sempre e ferreo cuore
180e nell’ira e nell’amore.
- Barbara educazione -
disse allora il pedante -
fu la sola cagione
che Troilo schizzinoso
185ucciso fu dal disprezzato amante.
O ciel, fusse egli stato
da’ pedanti d’Atene o pur di Flora
gentilmente educato:
io sto per dir che viverebbe ancora! -