Pescatori d'Islanda/Parte III/Capitolo XII

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Capitolo XII

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Pierre Loti - Pescatori d'Islanda (1886)
Traduzione dal francese di Carlo De Flaviis (1911)
Capitolo XII
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Capitolo Dodicesimo.


Alla fine di agosto si videro ritornare gl’islandesi. Già da tre mesi, le due abbandonate abitavano insieme a Ploubazlanec, nella casupola dei Moan; Gaud aveva preso il posto di figlia in quel povero nido di marinai morti. Ella aveva mandato là tutto quello che le avevano lasciato dopo la vendita della casa di suo padre; il suo bel letto alla moda delle città e le sue belle gonne di differenti colori. Aveva cucito ella stessa la sua nuova gonna nera, semplicissima, e portava, come la vecchia Yvonne, una cuffia di lutto in mussola forte ornata solamente di pieghe.

Tutti i giorni lavorava, presso ricche delle città, a dei lavori di cucito, e rientrava la notte, senza essere distratta nella strada da alcun innamorato, restata un poco altera, e circondata sempre da un rispetto di signorina; dicendole buona sera, i giovanotti mettevano, come prima, la mano al loro cappello.

Ella se ne ritornava da Paimpol, nei bei crepuscoli di estate, aspirando, lungo la strada, la grande aria marina.

I lavori ad ago non avevano avuto il tempo di deformarla — come altre che vivono sempre curvate sul loro lavoro — e guardando il mare, raddrizzava la bella figura pensando a Yann...

Quella stessa strada portava a casa sua. Continuando un poco verso certe regioni più pietrose si sarebbe arrivato al villaggio di Pors-Even dove gli alberi, coverti di muschio grigio crescono piccolissimi tra le pietre e si coricano nel senso delle raffiche di ovest. Ella, senza dubbio, non ritornerebbe, in quel Pors-Even, quantunque fosse lontano meno di una lega; ma una volta nella sua [p. 97 modifica]vita, vi era andata e ciò era bastato, perchè la strada serbasse una speciale attrazione per lei; d’altra parte Yann avrebbe dovuto passarvi spesso, e dalla sua porta, ella avrebbe potuto vederlo andare e venire sulla landa rasa, fra le ginestre corte. Amava tutta quella regione di Ploubazlanec; era quasi felice che il destino l’avesse gettata là; in nessun altro luogo del paese avrebbe potuto vivere.

Alla fine di agosto, vi è come un languore di paese caldo che rimonta dal mezzogiorno verso il nord; vi sono delle serate luminose, dei riflessi da grande sole, che si trascinano fin sul mare bretone; quasi sempre l’aria è limpida e calma, senza alcuna nuvola.

Nell’ora in cui Gaud ritornava, le cose si fondevano già insieme, per la notte, e cominciavano a riunirsi ed a formare delle ombre. Qua e là un fascio di ginestre si drizzava su di una altezza tra due pietre, come un pennacchio arruffato; dei gruppi di alberi formavano una massa oscura; qualche casupola dal tetto di paglia disegnava al di sopra della landa un piccolo frastagliamento gobbo. Ai crocicchi i vecchi Cristi, che guardavano la campagna, stendevano le loro braccia nere sui calvari, come dei veri uomini suppliziati e, nei lontani orizzonti, la Maria si distaccava chiara, in grande specchio giallo su di un cielo che era già oscurato e, già tenebroso. Ed in quel paese anche la calma, anche il bel tempo erano malinconici; restava sempre un’inquietudine che dominava sulle cose; un’ansietà venuta dal mare a cui tante esistenze erano confidate e di cui l’eterna minaccia non era che addormentata.

Gaud, non trovava mai abbastanza lunga la sua passeggiata di ritorno, si avvertiva l’odore salato delle spiagge, e l’odore dolce di certi fiori che crescono sulla scogliera tra le spine. Se la nonna Yvonne non l’avesse aspettata con ansia a casa, volentieri si sarebbe trattenuta per un pezzetto in quei sentieri di ginestre, nei [p. 98 modifica]parchi. Traversando quel paese le ritornava sempre alla mente qualche ricordo della sua infanzia; come erano cancellati, ora dal suo amore! Malgrado tutto, ella doveva considerare quel Yann come una specie di fidanzato, un fidanzato fuggente, sdegnoso, selvaggio che non avrebbe mai; ma a cui si ostinerebbe a restare fedele in ispirito, senza confidarlo mai a nessuno.

Per il momento era contenta di saperlo in Islanda; se non altro il mare glielo guarderebbe nei suoi chiostri profondi, ed egli non si potrebbe dare a nessun’altra.

E’ vero che uno di quei giorni sarebbe ritornato, ma ella pensava anche a quel ritorno con più calma delle altre volte. Per istinto capiva che la sua povertà non sarebbe stata disprezzata da lui — egli era diverso da tutti gli altri. E poi la morte del piccolo Silvestro li avvicinava con un legame sacro. Appena giunto egli non avrebbe potuto fare a meno di recarsi a casa loro, per salutare la nonna del suo caro amico; ed ella aveva deciso che si troverebbe là per quella visita non sembrandole di venir meno alla sua dignità; gli parlerebbe indifferentemente, come a qualcuno che si conosce da molto tempo; gli parlerebbe anche con affetto, come ad un fratello di Silvestro, ma sempre così, con l’aria più naturale del mondo. E chi sa? non sarebbe impossibile di prendere verso di lui il posto di una sorella ora che era così sola al mondo; di riposarsi sulla sua amicizia; di considerarlo come un sostegno morale facendogli ben capire che non aveva alcun pensiero di matrimonio. Ella lo giudicava solamente selvaggio, ostinato nelle sue idee d’indipendenza, ma dolce, franco, e capace di comprendere le cose buone che partono spontaneamente dal cuore.

Che cosa avrebbe provato, ritrovandola povera, in quella casupola mezzo rovinata?.... Molto povera ah! sì, perchè la nonna Moan non aveva più la forza di andare a lavorare a giornata e aveva la sola pensione di vedova, per tirare innanzi la vita. Mangiavano quindi molto poco [p. 99 modifica]tutte o due, ma poteva ancora raggranellare tanto da non domandare niente a nessuno....

Era sempre notte quando ella ritornava a casa; prima di poter entrare bisognava discendere un poco, su delle roccie vecchie, perchè la casetta si trovava sulla parte del terreno che s’inclina verso la spiaggia. Essa era quasi nascosta sotto il suo compatto tetto di paglia bruna e rassomigliava al dorso di un’enorme bestia morta affondata sotto i suoi peli duri. Le sue mura avevano il colore scuro e l’asprezza delle roccie, con del muschio e delle lumache che formavano dei piccoli tuffi verdi. Si salivano i tre scalini e si apriva il lucchetto interno della porta con un pezzo di corda di battello che usciva da un buco. Entrando, si vedeva, di faccia, la finestrella che dava sul mare, da cui veniva un ultimo chiarore giallo pallido. Nel grande camino fiammeggiavano dei ramoscelli odorosi di pino e di faggio, che la vecchia Yvonne raccoglieva nelle sue passeggiate lungo la strada; essa stessa era là seduta a sorvegliare la loro piccola casa; in casa portava solamente un serra-testa per non sciupare le sue cuffie; il suo profilo ancora grazioso, si frastagliava sulla luce rossiccia del fuoco. Ella levava, verso Gaud, i suoi occhi una volta bruni, ma che ora avevano però un colore che andava più al bluastro, e che era torbido, incerto, smarrito, un colore di vecchiaia.

E tutte le volte diceva la stessa cosa:

— Ah! Dio mio, mia buona figlia, come sei venuta tardi questa sera....

— Ma no, nonna mia, — rispondeva dolcemente Gaud che vi era abituata — è l’istessa ora delle altre sere.

— Ah! mi sembrava che fosse più tardi delle altre volte.

E cenavano su di una tavola, diventata quasi informe a forza di essere usata, ma ancora massiccia, come il tronco di una quercia. Ed il grillo non mancava mai di ricominciare la sua musica. Uno dei lati della casupola [p. 100 modifica]era occupato da alcuni intavolati rozzamente scolpiti, che ora erano tutti tarlati, e che aprendosi davano accesso a delle panche dove molte generazioni di pescatori erano state concepite, avevano dormito, e dove le vecchie madri erano morte.

Ai travicelli neri del tetto si attaccavano degli utensili di casa molto antichi, dei pacchetti di erbe, dei cucchiai di legno e del lardo affumicato; anche delle vecchie reti, che dormivano là dopo il naufragio degli ultimi figli dei Moan, e di cui i topi andavano la notte a rosicchiare le maglie.

Il letto di Gaud, installato in un angolo, con le sue cortine di mussola bianca faceva l’effetto di una casa elegante e fresca portata in una capanna di bestie. Vi era una fotografia di Silvestro, vestito da marinaio, in un quadro attaccato al granito del muro. La sua nonna vi aveva messa la medaglia militare, con un paio di ancore di stoffa rossa che i marinai portano sulla manica destra e che venivano da lui; Gaud gli aveva anche comperato a Paimpol una di quelle corone funeree in perle bianche e nere, di cui si circondano, in Bretagna, i ritratti dei defunti.

Le sere di estate non vegliavano per economia di luce; quando il tempo era bello sedevano un momento su di un banco di pietra, avanti la casa, e guardavano la gente che passava nella strada un poco al disopra delle loro teste.

Dopo la vecchia Yvonne si coricava nella sua panca di legno e Gaud nel suo letto di signorina; e là si addormentava molto presto, avendo molto lavorato, molto camminato, e pensando al ritorno degl’islandesi, da figlia saggia, risoluta, senza turbarsi molto. [p. 101 modifica]