Poemi conviviali/Il poeta degli Iloti/I Il giorno

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Il poeta degli Iloti

Il giorno

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L'ultimo viaggio - XXIV Calypso Il poeta degli Iloti - II La notte


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I


il giorno



     Figlio di Dio, molto giocondo in cuore
prendesti terra in Aulide pietrosa!
Tornavi tu dal suolo degli Abanti
ricco di vigne, dalla popolata
di belle donne Calcide; nè prima
d’allora avevi traversato il mare.
Ma il largo mare traversasti allora;
chè il re, più re degli uomini mortali,
era là morto, ed una gara indetta
e di lotte e di corse era, e di canto.
E tu nel canto ogni cantor vincesti,
anche il vecchio di Chio cieco e divino,
col tuo ben congegnato inno di guerra.
Ed ora sceso dalla nera nave
movevi ad Ascra, assai giocondo in cuore;
chè per la via ti camminava a paro
un curvo schiavo, che reggea sul dorso
il premio illustre: un tripode di bronzo.

     Chè l’orecchiuto tripode di bronzo
gravava in prima al buon Ascreo le spalle;
e prima l’una, e l’altra poi; chè grave

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era, di bronzo; e poi l’avea, per l’anse,
sospeso al ramo ch’era suo, d’alloro;
e lo portava: ma venuto a un grande
platano, donde chiara acqua sgorgava,
sostò, già stanco. Ed era quello il fonte
dove il segno gli Achei videro, d’otto
passeri implumi, e nove con la madre.
E di passeri il platano sul fonte
garriva ancora, e il buon Ascreo li udiva,
pensando in cuore un nuovo inno di guerra.
E riprendeva già la via, col caro
tripode, in dosso, che brillava al sole,
quando sorvenne un viator che bevve;
e seguitò. Ma poco dopo «O vecchio,»
disse, «ch’io porti il tuo laveggio: è peso».

     E tolse prima il tripode, che l’altro
gli rispondesse: dopo, gli rispose:
«Grave era, è grave. Ed anche tu sei vecchio».
«Ma sono schiavo» gli rispose il vecchio:
«schiavo; e dal monte Citerone io venni
menando al mare, ad una curva nave,
due bei vitelli, nati schiavi anch’essi.
Torno al padrone. Ma tu dove, o babbo?»
«Ad Ascra: ad Ascra, misero villaggio,
tristo al freddo, aspro al caldo, e non mai buono».
E non addimandato altro gli disse:
«Venni per mare, ad Aulide: ho passato
l’Euripo. Indetta a Calcide una gara
e di lotte e di corse era, e di canto.
Vinsi codesto tripode di bronzo
cantando gesta degli eroi...». «Sei dunque
rapsodo errante, e sai le false cose
far come vere, ma non dir le vere».

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     Non rispondeva il vecchio Ascreo, ché tutto
era in pensar le mille navi in porto,
mentre sul curvo lido la procella
scotea le chiome degli Achei chiomanti.
E il sole era già caldo, e la campagna
fervea di mugli. Ché la pioggia a lungo
nei dì passati avea temprato il suolo,
e i contadini aravano le salde,
ed era tempo d’affidar le fave
ai solchi neri, e la lenticchia ai rossi.
E nudo un uomo traea giù da un carro,
presso la strada, con un suo ronciglio,
il pingue concio. E il buon Ascreo ne torse
il volto offeso. Ma lo schiavo curvo
sotto il ben fatto tripode di bronzo,
disse gioia a quel nudo uomo, e quel concio
lodò, maturo. E brontolò stradando:
«Ben fa, chi fa. Sol chi non fa, fa male.»


     Ed era presso mezzodì, né casa
ora appariva, a cui cercare un dono
piccolo e caro. Ché tra rupi e cespi
di stipe in fiore essi ripìano, muti.
Taceva anche la lodola dal ciuffo;
anche il cantore. Egli tacea per l’astio
ch’altri tacesse. Ma lo schiavo andando
volgea lo sguardo alle inamene roccie.
E disse alfine: «Ecco!» E mostrò la roccia
verde, in un punto, per nascente ontano.
«C’è tutto, al mondo, ma nascosto è tutto.
Prima, cercare, e poi convien raspare.»
Egli depose il tripode di bronzo,
raspò, rinvenne un sottil filo d’acqua.

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Poi dal laveggio che brillava al sole
un pane trasse, che v’avea deposto,
e lo partì col buon Ascreo, dicendo:
«So ch’è più grande la metà che il tutto.»

     Finito, prima che la fame, il cibo,
mossero ancora per la via rupestre
che già scendeva. Ed ecco che lo schiavo
guardando attorno vide una bolgetta
in un cespuglio. E presala, vi scòrse
splendere dentro due talenti d’oro.
E guardò giù per il sentiero, e scòrse
lontan lontano cavalcare un uomo.
E disse: «Padre, per un po’ sul dorso
reggimi il grave tripode di bronzo,
ché n’avrei briga nel veloce corso.»
E corse, e giunse al cavalier, cui rese,
poi ch’egli suo glielo giurò, quell’oro.
Poi, trafelato, il buon Ascreo sorvenne.
«Facile t’era aver per te quell’oro!»
disse allo schiavo. E mormorò lo schiavo:
«Facile, sì: c’è poca strada al male.
Il male, o padre, è nostro casigliano.»

     Così parlando andavano, e la strada
era già piana, e si vedean tuguri
di contadini ed ammuffiti borghi.
E lor giungea da tempo uno schiamazzo
di voci, come un abbaiar di cani
lontani. E sempre lor venìa più presso.
Erano gente che in un trivio aperto
rissavano con voci aspre di cani.
E alcun di loro già brandìa la zappa,

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poi che l’irosa voce era già rauca;
quando lo schiavo nel buon punto accorse,

deposto in terra il tripode di bronzo;
e tenne l’uno e sgridò l'altro, e disse:
«Pace! È la pace che ralleva i bimbi.
Sono i pesci dell’acque, e son le fiere
dei boschi, e sono gli avvoltoi dell’aria,
ch’hanno per legge di mangiar l'un l’altro.
Gli uomini, no, ché la lor legge è il bene.»

     E quelli ognun tornava all’intermessa
opera, in pace. E i bovi sotto il giogo
rivedeano il lor uomo con un muglio,
compiendo il solco al suon della sua voce
ch'era arrochita: e le ricurve zappe
sfacean le zolle seppellendo il seme.
E lo schiavo riprese sopra il dorso
l'aspro di segni tripode di bronzo,
e riprendendo la sua via diceva
ad un rubesto giovane: «Lavora,
o gran fanciullo, se la terra e il cielo
t'amino, amando essi chi lor somiglia!
Chè la nube carreggia, con un cupo
brontolìo, l'acqua; e da lontano, ansando,
il vento viene; e infaticato il sole
torna ogni giorno. Ma la terra è tarda,
madre che fece tanti figli, e tutti
li ebbe alla poppa. O dàlle ora una mano!»

     E lo schiavo stradò col suo cantore
a paro a paro. E già scendea la sera,
e velava una dolce ombra le strade.
Nè più borghi muffiti erano intorno,

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nè casolari. Erano intorno macchie
folte di lauro che odorava al cielo.
E videro ambedue ch’era smarrita
ormai la strada. Ed il cantore stanco
disse allo schiavo: «Mal tu m’hai condotto.»
E gli rispose il pazïente schiavo:
«In te fidavo: Ché del buon cammino
chi c’è, se non il buon cantor, maestro?»