Poesie (Parini)/IV. Le odi/IV. La educazione

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IV. La educazione

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IV

LA EDUCAZIONE

(Per la guarigione di Carlo Imbolati)

[1764]

     Torna a fiorir la rosa
che pur di anzi languia;
e molle si riposa
sopra i gigli di pria.
5Brillano le pupille
di vivaci scintille.
     La guancia risorgente
tondeggia sul bel viso:
e, quasi lampo ardente,
10va saltellando il riso
tra i muscoli del labro
ove riede il cinabro.
     I crin che in rete accolti,
lunga stagione, ahi! fòro,
15su l’omero disciolti
qual ruscelletto d’oro
forma attendon novella
d’artificiose anella.
     Vigor novo conforta
20l’irrequieto piede:
natura ecco ecco il porta,
si che al vento non cede,
fra gli utili trastulli
de’ vezzosi fanciulli.

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     25O mio tenero verso,
di chi parlando vai,
die studi esser piú terso
e polito che mai?
Parli del giovinetto,
30mia cura e mio diletto?
     Pur or cessò l’affanno
del morbo ond’ei fu grave:
oggi l’undecim’anno
gli porta il sol, soave
35scaldando con sua teda
i figliuoli di Leda.
     Simili or dunque a dolce
mèle di favi iblei,
che lento i petti moke,
40scendete, o versi miei,
sopra l’ali sonore
del giovinetto al core.
     O pianta di buon seme,
al suolo, al cielo amica,
45che a coronar la speme
cresci di mia fatica,
salve in si fausto giorno
di pura luce adorno.
     Vorrei di geniali
50doni gran pregio offrirti;
ma chi diè liberali
essere a i sacri spirti?
Fuor che la cetra, a loro
non venne altro tesoro.
     55Deh per che non somiglio
al tèssalo maestro,
che di Tetide il figlio
guidò sul cammin destro?
Ben io ti farei doni
60piú che d’oro e canzoni.

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Giá con medica mano
quel centauro ingegnoso
rendea feroce e sano
il suo alunno famoso;
65ma non men che a la salma
porgea vigore all’alma.
     A lui che gli sedea
sopra la irsuta schiena,
Chiron si rivolgea
70con la fronte serena,
tentando in su la lira
suon che virtude inspira.
     Scorrea con giovanile
man pel selvoso mento
75del precettor gentile;
e con l’orecchio intento,
d’Eácide la prole
bevea queste parole:
     — Garzon, nato al soccorso
80di Grecia, or ti rimembra
per che a la lotta e al corso
io t’educai le membra.
Che non può un’alma ardita
se in forti membri ha vita?
     85Ben sul robusto fianco
stai; ben stendi dell’arco
il nervo al lato manco,
onde, al segno ch’io marco,
va stridendo lo strale
90da la cocca fatale.
     Ma in van, se il resto oblio,
ti avrò possanza infuso.
Non sai qual contro a Dio
fe’ di sue forze abuso
95con temeraria fronte
chi monte impose a monte?

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     Di Teti, odi, o figliuolo,
il ver che a te si scopre.
Dall’alma origin solo
100han le lodevol’opre.
Mal giova illustre sangue
ad animo che langue.
     D’Èaco e di Pelòo
col seme in te non scese
105il valor che Tesèo
chiari e Tirintio rese:
sol da noi si guadagna,
e con noi s’accompagna.
     Gran prole era di Giove
110il magnanimo Alcide;
ma quante egli fa prove,
e quanti mostri ancide,
onde s’innalzi poi
al seggio de gli eroi?
     115Altri le altere cune
lascia, o garzon, che pregi.
Le superbe fortune
del vile anco son fregi.
Chi de la gloria è vago
120sol di virtú sia pago.
     Onora, o figlio, il nume
che dall’alto ti guarda:
ma solo a lui non fumé
incenso o vittim’arda.
125È d’uopo, Achille, alzare
nell’alma il primo altare.
     Giustizia entro al tuo seno
sieda e sul labbro il vero;
e le tue mani sièno
130qual albero straniero
onde soavi unguenti
stillili sopra le genti.

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     Per che si pronti affetti
nel core il ciel ti pose?
135Questi a Ragion commetti;
e tu vedrai gran cose;
quindi l’alta rettrice
somma virtude elice.
     Si bei doni del cielo
140no, non celar, garzone,
con ipocrito velo
che a la virtú si oppone.
Il marchio ond’è il cor scolto
lascia apparir nel volto.
     145Da la lor meta han lode,
figlio, gli affetti umani.
Tu per la Grecia prode
insanguina le mani:
qua volgi, qua l’ardire
150de le magnanim’ire.
     Ma quel più dolce senso
onde ad amar ti pieghi
tra lo stuol d’armi denso
venga, e pietá non nieghi
155al debole che cade,
e a te grida pietade.
     Te questo ognor costante
schermo renda al mendico;
fido ti faccia amante
160e indomabile amico.
Cosí, con legge alterna,
l’animo si governa. —
     Tal cantava il centauro,
baci il giovan gli offriva
165con ghirlande di lauro.
E ’Fetide che udiva,
a la fera divina,
plaudia da la marina.