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Poesie (Parini)/IV. Le odi/V. L'innesto del vaiuolo

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V. L'innesto del vaiuolo

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L’INNESTO DEL VAIUOLO

(Al dottore Giammaria Bicetti de’ Buttinoti!)

[1765]

     O genovese, ove ne vai? Oual raggio
brilla di speme su le audaci antenne?
Non temi, oimè! le penne
non anco esperte de gli ignoti venti?
5Qual ti affida coraggio
all’intentato piano
de lo immenso oceano?
Senti le beffe dell’Europa, senti
come deride i tuoi sperati eventi.
     10Ma tu il vulgo dispregia. Erra chi dice
che natura ponesse all’uom confine
di vaste acque marine,
se gli die mente onde lor freno imporre:
e dall’alta pendice
15insegnògli a guidare
i gran tronchi sul mare,
e in poderoso canape raccorre
i venti onde su l'acque ardito scorre.

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     Cosí l’eroe nocchier pensa, ed abbatte
20i paventati d’Ercole pilastri;
saluta novelli astri;
e di nuove tempeste ode il ruggito.
Veggon le stupefatte
genti dell’orbe ascoso
25lo stranier portentoso.
Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito
all’Europa che il beffa ancor sul lito.
     Piú dell’oro, Bicetti, all’uomo è cara
questa del viver suo lunga speranza:
30piú dell’oro possanza
sopra gli animi umani ha la bellezza.
E pur la turba ignara
or condanna il cimento,
or resiste all’evento
35di chi ’l doppio tesor le reca; e sprezza
i novi mondi al prisco mondo avvezza.
     Come biada orgogliosa in campo estivo
cresce di santi abbracciamenti il frutto.
Ringiovanisce tutto
40nell’aspetto de’ figli il caro padre;
e dentro al cor giulivo
contemplando la speme
de le sue ore estreme,
giá cultori apparecchia, artieri e squadre
45a la patria d’eroi famosa madre.
     Crescete, o pargoletti; un di sarete
tu forte appoggio de le patrie mura,
e tu soave cura
e Iusinghevol’esca a i casti cori.
50Ma, oh dio! qual falce miete
de la ridente messe
le si dolci promesse?
O quai d’atroce grandine furori
ne sfregiano il bel verde e i primi fiori?

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     55Fra le tenere membra orribil siede
tacito seme: e d’improvviso il desta
una furia funesta
de la stirpe de gli uomini flagello.
Urta al di dentro, e fiede
60con lievito mortale;
e la macchina frale
o al tutto abbatte, o le rapisce il bello,
quasi a statua d’eroe rivai scarpello.
     Tutti la furia indomita, vorace,
05tutti una volta assale a i piú verd’anni:
e le strida e gli affanni
da i tuguri conduce a’ regi tetti;
e con la man rapace
ne le tombe condensa
70prole d’uomini immensa.
Sfugge talun, è vero, a i guardi infetti;
ma palpitando peggior fato aspetti.
     Oh miseri! che vai di medic’arte,
né studi oprar, né farmachi, né mani?
75Tutti i sudor son vani
quando il morbo nemico è su la porta;
e vigor gli comparte
de la sorpresa salma
la non perfetta calma.
80Oh debil’arte, oh mal secura scorta
che il male attendi, e no ’! previeni accorta
     Giá non l’attende in Oriente il folto
popol che noi chiamiam barbaro e rude;
ma sagace delude
85il fiero inevitabile demóne.
Poi che il buon punto ha coito
onde il mostro conquida,
coraggioso lo sfida;
e lo astrigne ad usar ne la tenzone
90Tarmi che ottuse tra le man gli pone.

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     Del regnante velen spontaneo elegge
quel ch’è men tristo; e macolar ne suole
la ben amata prole
che non piú recidiva in salvo torna.
95Però d’umano gregge
va Pechino coperto;
e di femmineo merto
tesoreggia il Circasso, e i chiostri adorna
ove la dea di Cipri orba soggiorna.
     100O Montegu, qual peregrina nave,
barbare terre misurando e mari,
e di popoli vari
disseppellendo antiqui regni e vasti,
e a noi tornando grave
105di strana gemma e d’auro,
portò si gran tesauro
che a pareggiare, non che a vincer, basti
quel che tu dall’Eussino a noi recasti?
     Rise l’Anglia, la Francia, Italia rise
110al rammentar del favoloso innesto:
e il giudizio molesto
de la falsa ragione incontro alzosse.
In van l’effetto arrise
a le imprese tentate;
115ché la falsa pietate
contro al suo bene e contro al ver si mosse,
e di lamento femminile armosse.
     Ben fur preste a raccor gl’infausti doni
che, attraversando l’oceano aprico,
120lor condusse Americo;
e ad ambe man li trangugiaron pronte.
De’ lacerati troni
gli avanzi sanguinosi,
e i frutti velenosi
125strinser gioiendo; e da lo stesso fonte
de la vita succhiar spasimi ed onte.

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     Tal del folle mortal, tale è la sorte:
contra ragione or di natura abusa;
or di ragion mal usa
130contra natura che i suoi don gli porge.
Questa a schifar la morte
insegnò madre amante
a un popolo ignorante;
e il popolo cólto che tropp’alto scorge,
135contro a i consigli di tal madre insorge.
     Sempre il novo ch’è grande appar menzogna,
mio Bicetti, al volgar debile ingegno;
ma imperturbato il regno
de’ saggi dietro all’utile s’ostina.
140Minaccia né vergogna
no ’l frena, no ’l rimove;
prove accumula a prove;
del popolare error l’idol rovina,
e la salute ai posteri destina.
     115Cosi l’Anglia, la Francia, Italia vide
drappel di saggi contro al vulgo armarse.
Lor zelo indomit’arse,
e di popolo in popolo s’accese.
Contro all’armi omicide
150non piú debole e nudo,
ma sotto a certo scudo
il tenero garzon cauto discese;
e il fato inesorabile sorprese.
     Tu sull’orme di quelli ardito corri
155tu pur, Bicetti; e di combatter tenta
la pietá violenta
che a le insubriche madri il core implíca.
L’umanitá soccorri;
spregia l’ingiusto soglio
160ove s’arman d’orgoglio
la superstizion, del ver nemica,
e l’ostinata, folle scola antica.

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     Quanta parte maggior d’almi nipoti
coltiverá nostri felici campi!
165E quanta fía che avvampi
d’industria in pace o di coraggio in guerra!
Quanta i soavi moti
propagherá d’amore,
e desterá il languore
170del pigro Imene che infecondo or erra,
contro all’util comun, di terra in terra!
     Le giovinette con le man di rosa
idalio mirto coglieranno un giorno:
all’alta quercia intorno
175i giovinetti fronde coglieranno;
e a la tua chioma annosa
cui per doppio decoro
giá circonda l’alloro,
intrecceran ghirlande e canteranno:
180— Questi a morte ne tolse o a lungo danno. —
     Tale il nobile plettro in fra le dita
mi profeteggia armonioso e dolce:
nobil plettro che molce
il duro sasso dell’umana mente;
185e da lunge lo invita
con lusinghevol suono
verso il ver, verso il buono;
né mai con laude bestemmiò nocente
o il falso in trono o la viltá potente.