Poesie (Parini)/Nota vol. II
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NOTA
Ho creduto opportuno di distribuire i numerosi scritti del Parini raccolti in questo volume in dodici gruppi: I. Opere dram matiche; II. Prologhi; III. Cantate; IV. Cicalate in versi; V. Ter zine; VI. Versi sciolti; VII. Odi; VIII. Sonetti; IX. Canzonette; X. Scherzi; XI. Epigrammi; XII. Traduzioni.
Certo sarebbe stato preferibile un ordinamento cronologico; ma essendo questo possibile solo per una parte degli scritti pa riniani qui pubblicati, si è creduto minor male, e in ogni caso non inutile, la classificazione adottata. Del resto, entro ogni gruppo, si è cercato — quando era possibile — di ordinare i vari compo nimenti secondo la loro data certa o probabile, e solo nel pubblicare i sonetti si premisero i 76 di cui ci è dato stabilire, piú meno sicuramente, la data, e poi si accodarono gli altri 63 di data ignota o troppo incerta, accostando quelli che hanno tra loro maggiore affinitá.
Per stabilire la lezione del testo si ricorse naturalmente ai manoscritti ambrosiani, ai pochi altri mss. noti finora (ms. Morbio della Braidense; ms. Trivulziano 890; ms. della Societá storica lombarda dal titolo «Raccolta di poesie diverse ossia tratteni mento dei curiosi ed intelligenti», segnalati, questi ultimi due, dal Mazzoni) e alle edizioni originali, preferendo sempre il ms. o la stampa che rappresentano o si può presumere che rappresen tino le ultime intenzioni dell’autore.
Dei mss. ambrosiani, molti sono autografi, ed evidentemente essi hanno particolare importanza. Tuttavia non credo che siano sempre da preferire. Vi è, per es., il ms. ambr. III 4 che è di mano del Gambarelli, ma che reca delle correzioni di mano del Parini, e che rappresenta una redazione che a me sembra (per ragioni che mi riservo di esporre altrove) posteriore a quella degli altri mss. interamente autografi. È quindi naturale che io segua que sto ms. a preferenza di ogni altro. Vero è che molti dei compo nimenti ch’esso contiene appaiono cancellati con linee trasversali; ma io credo che tali cancellature indichino soltanto che il com ponimento fu giá trascritto su un altro quaderno. A ogni modo, il confronto tra la lezione riportata da me e quella preferita dal Mazzoni (che generalmente segue gli autografi) potrá — dove esse differiscono — esser utile agli studiosi del Parini.
Le varianti offerte dai vari mss. o dalle stampe sono nume rose, ma di esse si riferiscono in questa Nota solo quelle di mag giore importanza, omettendo quelle puramente ortografiche o che importano semplici sostituzioni di una parola con un’altra di si gnificato simile. Chi desideri vederle, le troverá, se non tutte, almeno in gran parte, raccolte diligentemente nella edizione del Mazzoni. Aggiungo che, come nel voi. I, anche in questo mi man tengo fedele alla grafia dei mss. o delle stampe originali.
Si avverte ancora che i mss. ambrosiani vengono indicati comunemente col solo numero d’ordine assegnato loro dal Maz zoni nel riordinamento che ne fece pochi anni or sono (p. e. II i, II 2, III i, III 2, ecc.), aggiungendo aul. quando siano scritti di mano del Parini (e tali sono quasi sempre i mss. del II gruppo). Si indica invece con Mor. il codice Braidense Morbio, con Triv. il Trivulziano 890, con Rac. p. div. il ms. della Societá storica lombarda. Inoltre, come si fece giá nel I volume, si indica con R. la edizione delle opere del Parini curata dal Reina, con Ga. la edizione delle Odi curata dal Gambarelli (1791), con Bn. la edizione Bernardoni delle poesie scelte del Parini (1814), con Sa. la edizione delle Odi del Salveraglio, e con Mazz. la recente ed ottima edizione di Tutte le opere curata da Guido Mazzoni.
I
OPERE DRAMMATICHE
I. Si trova in un quaderno di minute autografe del P. (ambr. V i). Nella p. i si legge un primo abbozzo frammentario, un al tro, pure frammentario a p. 3, e il principio di un terzo, pure frammentario, a p. 5. Poi, nelle pp. 7-9 si legge l’abbozzo di tutta l’azione drammatica che qui si stampa, e che fu giá pubblicato dal Mazz. (250-51) col titolo di Augusta. Evidentemente esso era stato preparato per le nozze dell’arciduca Ferdinando d’Austria con Beatrice d’Este (1771); ma poi, o per volere dei committenti o perché lo stesso Parini non ne era contento, fu lasciato in di sparte, e sostituito coll’abbozzo dell’Ascanio in Alba, che segue nello stesso quaderno, alle pp. 11-12. A p. 13 del quaderno vi è poi il principio di una quinta redazione dell’abbozzo della prima azione drammatica, interrotto dopo poche righe.
II. Per l’abbozzo dell ’Ascanio in Alba, si veda quanto è detto piú sopra. Pel testo dell’azione drammatica, si segui la prima edi zione, fatta nel 1771 a Milano, presso G. B. Bianchi regio stam patore, in occasione delle nozze arciducali. Cfr. E. Filippini, nel numero unico G. P., Milano, 1929.
III. L ’Iside salvata si trova nello stesso quaderno autografo che contiene gli abbozzi delle due azioni drammatiche di cui si parla piú sopra (Ambr. V 1), ma è scritta cominciando dalla parte op posta del quaderno (pp. 1-21) e con carattere meno affrettato. Evidentemente anche coll’Iside il P. voleva esaltare allegorica mente Maria Teresa, ma, parrebbe, non in occasione delle nozze di Ferdinando e Beatrice, ma piuttosto in occasione di quelle di un’altra sua figlia (Maria Carolina, 1768, o Maria Antonietta, 1770?).
IV. Gli abbozzi e frammenti autografi d eíí’Aniorosa incostanza si trovano in due mss. ambrosiani, VII 2, VIII 13. Questi ultimi sono a tergo di un foglio di abbozzi di soggetti d’arte, scritti tra il 1771 e il 1780 circa. Non è possibile ricostruire di sui due mss. ambr. il dramma; perché si tratta di scene fatte e rifatte piú volte, senza ordine. Ciò che appare in una forma, se non definitiva, almeno continuativa, sono le prime quattro scene dell’atto I; il resto sono frammenti dei quali si pubblicano qui tutti quelli che hanno qualche importanza, tralasciando quei pochi che sono sem plici ripetizioni con lievi varianti. Si veda, a proposito dell’Amorosa incostanza, A. Orvieto, nel Marzocco del 19 maggio 1929.
II
PROLOGHI
Il primo prologo ci è dato dal ms. ambr. III 5, il secondo dai mss. III 4, 8 e 9, e il ms. III 8 ci dá anche il terzo. Degli ul timi due si hanno pure delle stampe in fogli volanti, senza note tipografiche. Essi soli furono pubblicati dal R. nel III voi. delle Opere. — Sebbene nessuno dei mss. sia autografo (solo in III 4 si hanno correzioni di mano del P.) la attribuzione al Nostro dei due ultimi non può essere dubbia. Qualche incertezza si può avere invece rispetto al primo, che forse appunto per questo non venne pubblicato dal R.; ma è da notare che si trova in mezzo ad altre cose certamente pariniane e che ha tutta l’aria di essere anch’esso opera dello stesso autore. Quanto al secondo prologo, è da av vertire che il R. dice che fu recitato dalle signorine Diletti, come prologo all ’Olimpiade, in presenza del conte Firmian; invece il m. III 9 dice che servi da prologo all ’Alessandro nelle Indie. Anche del terzo prologo il R. dice che fu recitato davanti al Firmian. Poiché il Firmian fu al governo della Lombardia dal 1756 alla morte (20 luglio 1782), i tre prologhi devono essere stati composti in questi anni, ed anzi probabilmente dopo il 1765, quando il Pa rini fu preso a proteggere dal potente ministro.
III
CANTATE
Delle tre cantate si hanno gli autografi nelle carte ambro siane (II i per la prima e la seconda, II 3 e 4 per la terza) e anche il R. le pubblicò tutte e tre nel voi. III delle Opere. Della terza cantata il ms. II 3 contiene non una ma due trascrizioni, delle quali una è una minuta (come minuta è anche la trascri zione di II 4) e una la bella copia. Sul foglio della minuta si legge anche la minuta d’un biglietto che il P. dovette mandare al prin cipe Chigi, per incarico del quale aveva scritto la cantata: «Io non ho ritenuto veruna copia di quei versi che feci pochi giorni sono di commissione di V. S. 111 .ma, e desiderando io di pure averne nota per la singolaritá del fatto, cosí prego V. S. 111 .ma di restituirmi quella che io le mandai scritta di mia mano. Spero che V. S. 111 .ma non mi negherá questo favore, e sono col mag gior ossequio...». La data di questa terza cantata (1773) ci è data da un indice del Gambarelli, ed è confermata in parte da una nota del R. il quale dice che essa fu cantata durante una festa da ballo data in Milano dal principe Sigismondo Chigi, coll’in tervento degli arciduchi Ferdinando d’Austria e Beatrice d’Este, e quindi non prima del 1771, anno in cui essi si sposarono.
IV
CICALATE IN VERSI
I. Ci è conservata in nove mss. ambrosiani, quattro dei quali autografi (II i, 3, 6, 8) e cinque no (III 1, 3, 4, 5, 8). Il ms. II 8 resta però interrotto al v. 88. Il titolo ci è dato da II 3 e fu ripetuto dal R.; altri mss. dicono: «Canzone in morte del barbiere» e «La morte del barbiere». Seguo, al solito, III 4; ma noto le varianti piu notevoli degli altri mss. — v. 3: o de le guancie amor (II 8); vv. 33-36: in II 6 e 8 sono sostituiti dai sgg.: Come su pe’ declívi — fanno del tetto i mici per la foia; — tali s’udieno questi — sotto al tuo ferro miagolar di gioia; v. 42: tutti i mss., eccetto III 4, hanno caro intrico; v. 49: dolci inchini (III 1, 3, 5; II 3); v. 73: cari e giocondi (III 1, 8; II 2, 6, 8); v. 79: catinuzzo invece di bacinuzzo (III 1, 3, 8; II 3, 6, 8); vv. 89-91: Sfregia, per me non oso — dell’altre lodi tre salir la strada: — deh! porgimi la man, perch’io non cada (II 6); v. 150: Tu per Oh (II 6); v. 153: un segno mi lasciavi impresso in volto (III 3); v. 169: disperati bottegai (III 5).
II. Si trova in cinque mss. ambrosiani: II 1, 5, 7 aut.; III 4 e 8. Il titolo ci è dato da II 5 e 7, seguiti da R. nella sua edi zione. III 8 ha «La ciarlataneria, cicalata». — Seguo III 4, ma noto le varianti piú notevoli degli altri mss. — Dopo il v. 3 II 1, II 5 e III 8 proseguono cosí: Avea la moglie bella — ed era un pover’uomo? — Costui non avea visto il nostro duomo .— O visto o no, che cosa importa a voi? — Voi le vostre postille — faretele dappoi. Il pover’uomo... Anche III 4 ha gli stessi vv., ma poi can cellati da avea a dappoi. II 7 al v. 3 ha: Che avea la moglie bella e poi prosegue regolarmente col v. 4 e sgg. — Dopo il v. 41, II 1, 5 e III 8 proseguono: Piuttosto, se ti pare — io mi farò acconciare — per custodir le donne in un serraglio. — Cosí, se non isbaglio, — io farò qualche avanzo — da mantenere i nostri figli e noi — pria che di fame e di dolor tu scoppi. — Ad ogni modo i figli sono troppi. — Il credereste? A tal proposizione, — tosto la moglie bella, — come una pecorella — cheta ritorna, e cosí gli favella: — Viscere mie, ti priego — troviamo altro ripiego. — Che ripiego trovarci? — risponde il tafnnello. — Ed ella: Eccone un bello! — Tu sai ecc. ecc., come nel v. 44 e sgg. del testo. In II 7 mancano pure tutti i vv. da Piuttosto se ti pare a E cosí gli favella, e legge invece: Troviam dunque un rimedio, — disse la moglie. Quale? — soggiunse il tapinello. — Ed ella: Eccone un bello! — Tu sai ecc. ecc. — Dopo il v. 89, tutti i mss., salvo III 4, hanno i vv. sgg.: Quel Tanime celesti — traggono anch’esse alla carne ben bene; — lavorali cheto cheto, — e, quel che piace alle dotine piú assai, — tener sanno il segreto. Ora costui, — sentito che lo sposo è andato via, — pieno di santa caritade il petto ecc. ecc. Si noti però che R., dopo se greto, continua cosí: Ora costui s’avvide — ben tosto che lo sposo è andato vía — e pien di santa caritade il petto ecc. ecc. Anche in III 4 c’erano i vv. degli altri mss., ma furono cancellati dal P. che, nelle interlinee, scrisse le correzioni: Ora costui s’av vide ecc. — vv. iji-112 sono cancellati in II 5. — Dopo il v. 136, II 1 e III 8 prosguono: Tutti? chiedete voi. Tutti, bisogna, — poi ché la buona donna, — benché seco vivesse a tutte Tore, — non usci mai d’errore. Anche in III 4 e II 5 si leggon questi quattro versi, ma poi cancellati. — I vv. 208-209 in II 5 suonano: E prima di provarlo — giá condanna il secondo di bugiardo. — vv. 215-216, II 5: Ed ecco, a gran stupore — di tutta la canaglia. — v. 218, II 5: Alza quel peso strano, e il porta via. — vv. 233-4, II 5: Si tosto non conviene. La colonna — voi moveste amendue; però il giu dizio — saria pendente ancora. — Dopo il v. 241 in II 5 si legge: O tu se’ un ciarlatano — che con vane apparenze—fai trawedcre il popolo indiano. — v. 242, II 5: Il folletto scornato a tal sermone. — Dopo il v. 254, II 5 continua: Se non volete alla rete esser colti, — però che í ciarlatani sono molti; poi seguono i vv. 294-317, ai quali tengono dietro i vv. 285-293, poi i vv. 270-284, e infine i vv. 255 269. — In II 5 i vv. 267-269 suonano: fuor che la mia dottrina, — ogni rimedio per salvarlo è vano. — Badate all’altro; questi è un ciarlatano. — v. 293: in II 1 e 5 è scritto badate a questo, e cosí era scritto anche in III 4; ma poi il P. cancellò a questo e sopra scrisse all’altro. Il Mazz. (G. P., Firenze 1929, pp. 63-4) crede che questo racconto derivi da uno scritto del Voltaire (Fragments historiques sur l’Inde) del 1773-4 o da un altro scritto di lui del 1776.
III. Si trova nei mss. ambr. II 1, 5 e 8 aut., III 3, 4, 7, 8 e io; Triv. Quest’ultimo avverte che il componimento fu reci tato ai Trasformati «forse suirargomento L’osteria». Il titolo «Il lauro» è in II 5 e 8. L’unica variante notevole ci è data dai mss. III 3, 7 e io, i quali, dopo il v. 60, continuano nel modo se guente (riferisco la lezione di III 3, dalla quale ben poco differiscono quelle degli altri due mss.):
Non per questo però d’ira t’accendi,
o figlio di Latona,
ch’è lo sfregio minor che siasi mai
fatto alla tua corona;
se tu m’ascolti, io dirò peggio assai.
Dafne che tanta forza
aggiunse al piede snello,
per vergine fuggir dalle tue mani,
poiché mutò la scorza
e mascherossi in lauro,
è divenuta donna di bordello,
e per argento ed auro,
nova Semiramisse, ai piú villani
animali si dona.
Febo, deh mel perdona!
Quanti, o quanti dappochi
vidi agli elei e vidi ai pizi giochi
aver cogli altrui versi il primo ónor
dai giudici dell’arte,
e vidi il vero autor
sorridere in disparte!
E Roma a chi diè ’l lauro?
Colui fu coronato,
che avea dall’Indo al Mauro
sparso piú sangue e piú l’altrui rubbato.
Quanti ebbero l’alloro
seguaci del tuo figlio,
a cui non pende invan la barba d’oro,
ch’era miglior consiglio,
piú che a que’ medicastri,
dare all’infermo il trionfale onore,
che nudo combattè co’ loro empiastri,
e restò vincitore!
Quanti... — Seguia Silen; ma non potè
Febo tenersi piú;
il lauro strappò giú
dal crine, e disse: — Or che si infame se’,
io non ti stimo un fico.
Vanne lungi da me;
e al colmo de l’infamia ora t’appresta. —
Disse, e a un dottor mio amico
ne incoronò la testa.
Forse questa è la prima redazione del componimento, letta ai Trasformati (Card., XIII, 316). Piú tardi il P., preparandolo per la stampa, pensò di togliere l’ultima parte, che forse gli parve un po’ scurrile.
V
TERZINE
I. Questo componimento fu pubblicato nella raccolta dedicata All’ornatissimo signor Giuseppe Giulini per le nozze della gen tilissima signora Rosa di lui figlia con il degnissimo signor Gae tano Fiori, Milano, Agnelli, 1758, insieme col sonetto O santa fede al mondo oggi si rara. (V. nota al son. VIII). Si trova anche in due mss. ambr. (III 1 e 5) che derivano dalle stampe, e fu riprodotto anche da R. (III 133-7) che, come III 1, lo intitola Capitolo.
II. Questo frammento si trova, senza titolo, nel ms. ambr. II 3 aut. E probabile che sia la minuta di un lavoro preparato dal P. per un’accademia, e chi sa non l’abbia lasciato interrotto per sostituirlo coll’ode su La vita rustica. Esso ha nel ms. varie cancellature e correzioni.
III. Si trova nei mss. ambr. II 3 aut. (dove si ha pure un abbozzo dei primi tre versi e mezzo) e III 4 e 8, e nella Racc. p. div. È probabile che sia stato letto nell’Accademia dei Trasformati per la festa di S. Bernardino (20 maggio).
IV. Si trova nei mss. ambr. II 3 aut., III 3, 4 e 7 e nel Triv. È probabile che sia stato letto nell’Accademia dei Trasformati.
V. Si trova nei mss. ambr. II 1 aut. e III 4, 7, 8 e io e nel Triv. Come i precedenti, fu probabilmente letto nell’Accademia dei Trasformati.
VI. Si trova nei mss. ambr. II 3 aut.; III 3, 4, 7, 8; Triv., e fu certamente letto nell’Accademia dei Trasformati, che aveva per insegna un platano (v. 145). Nel Triv. è detto che fu recitato in una adunanza in cui si svolgeva il tema: «I motivi della de cadenza delle belle lettere».
VII. Si trova nei mss. ambr. II 3 aut.; III 4, 5 e 8; Triv. In quest’ultimo è detto che fu recitato nell’Accademia dei Trasfor mati, svolgendosi il tema «Il carnevale». Lo stesso ms., al v. 26, annota che la Corte è quella arciducale, a cui era annesso il vecchio teatro, bruciato nel 1776 e sostituito poi con quello della Scala (inaugurato il 3 settembre 1778).
VIII. Si trova nel ms. ambr. II 3 aut., donde lo trasse il R. (Ili, 138-40) che vi appose il titolo. Però il R. omise la nota in prosa colla quale si chiude l’autografo, che deve essere l’originale mandato al canonico Agudio nel 1762 o 1763.
VI
VERSI SCIOLTI
I. Dalla Raccolta di poetiche composizioni per le felicissime nozze tra S. E. il signor D. Alessandro Ottoboni duca di Piano e la signora Lucrezia Zulian, dedicata a S. E. la signora duchessa D. Maria Vittoria Serbelloni fiata principessa Ottoboni zia dello sposo, dal dottor Carlo Goldoni, Venezia, 1757. Questo documento fu fatto conoscere da F. Colagrosso, Un’usanza letteraria in voga nel Settecento, Firenze, 1908.
II. È nel ms. ambr. II 1 aut., in un foglio ornato in fine di disegni allusivi alla geografia. Il R. (Ili, 147) lo intitola Prologo, e dice in nota che fu «detto in un’accademia di geografia da un nipote del canonico Agudio» che «pativa di artritide».
III. Si trova nei mss. ambr. III 4, 8, io e nel Triv. Fu certo letto nell’Accademia dei Trasformati, sul tema «Il fuoco» (v. 1). II titolo è del R.
IV. È nei mss. ambr. III 3, 4, 8 e nel Triv. Il titolo è in III 3.
V. Si trova in R. (I, 239-40) col titolo dato nel testo, e colla nota seguente, dello stesso R.: «Colonna che esisteva in una piazza di Milano presso la chiesa di S. Lorenzo, per monumento d’infamia contro alcuni pretesi rei di veneficio. Essa fu atterrata, perché non ricordava a’posteri che la barbarie e l’ignoranza de’ tempi che vi fu collocata. Questi frammenti conservatici da Do menico Balestrieri in una nota al canto VIII della Gerusalemme liberata, travestita in lingua milanese, ci fanno ardentemente de siderare l’intero poemetto che si è smarrito». L’opera alla quale allude il R., è La Gerusalemme liberata del signor Torquato Tasso travestita in lingua milanese da Domenico Balestrieri, Milano, G. B. Bianchi, 1772. Nella ottava 70 del canto VIII il Balestrieri dice che dove fu la tenda di Rinaldo si dovrebbe alzare «su una colonna infamma un’iscrizion», e in nota (pp. 153-4) aggiunge che allude «a una colonna cosí denominata, eretta in Milano nel voto di una casa demolita, che ha di fianco la seguente iscrizione Hic ubi area patens est surgebat o/im tonstrina Jo. Jacobi Mo rae ecc. ecc....». Poi continua: «Ha ragionato su questo punto d’istoria il giudiziosissimo avvocato fiscale Fogliazzi con una ve ramente compiuta dissertazione, che fu letta fra i Trasformati in una privata adunanza. L’abate Parini degnissimo r. professore d’eloquenza ha poi su tale argomento in un’accademia pubblica recitato un sermone chiabreresco e del piú fino gusto oraziano. Si figura in esso d’incamminarsi al tempio di S. Lorenzo, viva mente esprimendosi in questa guisa: Quando fra vili case in mezzo a poche», e segue riferendo i vv. pariniani, fino a amaramente sorridendo disse. Poi continua: «cioè espone poeticamente quanto contiensi nella mentovata iscrizione, soggiungendo: Cosí dicea la donna ecc.» e continua riferendo gli ultimi versi del frammento pariniano. Si v. C. Del Lungo, Il P. e la donna infame, nel Mar zocco del 9 maggio 1926.
VI. Ve n’è una minuta con correzioni autografe nel ms. ambr. II 3, e si trova pure nei mss. ambr. III 4 e 8 e nel Triv. In Tri vulziana ve n’è pure un’altra copia non autografa. Il R. (I, 237-8) del quale è il titolo, annota: «Questo buon tedesco, dotto nelle leggi, fu spedito da Giuseppe II ad ordinare il foro lombardo. Avendo egli conosciuto Parini gli lodò molto i suoi poemetti del Giorno. Questi glie li regalò; ma, per fretta o inavvertenza, legati rusticamente. Il tedesco se ne offese, e glieli ritornò. Parini riman dolli a lui con questi versi». Il Fogliazzi non era però tedesco, ma nativo del Trentino (1726-1800). Mazz. osserva (p. 389) che l’accenno del v. 23, se riferito al Mattino, riporterebbe la compo sizione di questi sciolti a verso il 1780, e se riferito alle prime odi, a verso il 1775.
VII. Si trova nel ms. ambr. II 3 aut. Nel v. 37 la parola eccitino (per echino =» riccio di mare) fu aggiunta d’altra mano in un piccolo spazio lasciato vuoto nell’originale. Nell’autografo il componimento non ha titolo, né è detto a chi sia indirizzato; ma si crede diretto alla Mussi, amata dal poeta.
VIII. Questo frammento si trova nel ms. ambr. II 3 aut. Il titolo è di R. (Ili, 182-183); l’autografo ha il seguente titolo: «Ad un amico che scrive delle osservazioni sopra i costumi de’ suoi cittadini. Versi sciolti». Il Pecci (o Giuseppe Pecis) oriundo bergamasco, n. 1716, m. 1799, copri alti uffici in Milano, dove visse dal 1761 in poi. Nel 1777, quale sopraintendente delle acque e strade, curò la costruzione del naviglio di Paderno. Fu anche poeta. — L’autografo pariniano, dopo i vv. riferiti nel testo, con tinua coi sgg. vv. cancellati: A te d’esempio — Socrate sia. Chi odioso il nome — ne rendette ad Atene?\ cui seguono questi altri vv., riferiti dal R., ma cancellati dal poeta: E qual piú saggio — di Socrate fu mai? Qual miglior cosa — insegnar si potea, che un solo nume? — Ma nondimen chi odioso il nome — ne rendette ad Atene?
IX. È nei mss. ambr. II 3 aut., III 4, 5. 8, e in vari di essi ha il titolo «Idillio».
X. Si trova in una minuta del ms. ambr. II 3, dove non ha titolo.
XI. Come il precedente: minuta, senza titolo nel ms. ambr. II 4. Parrebbe diretto a Maria Teresa o a Maria Beatrice.
XII. Si trova nel ms. ambr. II 3 aut. Il titolo è del R. (Ili, 180-181).
XIII. Fu pubblicato nel 1856 nel Cimento di Torino da un P. che asseriva esser l’idillio ricavato da un autografo pariniano, trovato nel 1830 nel palazzo del duca Melzi sul lago di Como, e pervenuto a lui nel 1838 per mezzo del parroco di Bellagio. Tutto però fa credere che non sia opera del Parini, ma del Prati o di un suo seguace (cfr. Mazz., 533 nota).
VII
ODI, ABBOZZI E FRAMMENTI DI ODI
I. Si trova nella Raccolta di poetici componimenti per le feli cissime nozze di S. E. il signor Tommaso Soranzo e la signora Elena Contarmi, Padova, Penada, 1752.
II. È nei mss. ambr. II 3 aut. e III 5, e Triv.; e fu recitata (come ci attesta Triv.) nell’Accademia dei Trasformati, per una ricorrenza della festa di S. Ambrogio, o, come dice Triv., «forse per l’argomento proposto I pregi di Milano». Il Carducci (XIV, 306-307) crede che sia di verso il 1752.
III. Questo abbozzo si trova nel ms. ambr. II 4 aut., donde 10trasse il R. (II, 243-245) il quale vi aggiunse il titolo, di cui nell’originale non vi ha traccia.
IV. Si trova nella raccolta Nella promozione dell’ili.mo e rev.mo mons.re Muggiasca patrizio comasco all’insigne vescovado della sua patria, Milano, Agnelli, 1765.
V. È un abbozzo che si trova nel ms. ambr. II 4 aut., nel quale gli ultimi quattro versi, dopo le parole i tristi auguri, sono cancellati con un frego verticale. Sotto i tristi auguri si leggono le parole presso a le stanze accolti, evidente rifacimento del v. 14, esse pure cancellate. Sotto il v. 16 vi è poi un altro verso non cancellato (Ognun di te chiedeva, ognun gli accolti) che parrebbe 11principio d’un tentativo di continuazione non proseguito. Si osservi che pietade (v. 11) andrebbe corretto in pietate, per far rima con amate (v. 16). Se l’abbozzo allude — come si potrebbe credere — a una malattia del conte Imbonati, esso sarebbe ante riore al 12 luglio 1768, data della morte di questo signore.
VI. Questi abbozzi si trovano nei mss. ambr. VIII 13 e II 3 aut. Il primo è scritto in un foglio sul quale sta il piano di de corazioni pittoriche eseguite nel palazzo reale di Milano fra il 1771 e il 1778. E quindi probabile che la loro composizione sia com presa fra queste due date o sia di poco anteriore.
VII. Si trova nei mss. ambr. II 1 aut. (col titolo Ode) e III 8 (senza titolo). Il Ga., pubblicandola nel 1791 (col titolo II piacere e la virtú), disse che quest’ode fu * scritta e stampata frettolosa mente nel 1774 a istanza d’un cavaliere amico dell’autore per ser vire a un ballo mascherato di corte, dove fu poi distribuita»; ma la edizione originale, accennata qui dal Ga., non ci è pervenuta.
Il Car. (XIII, 132) la dice «una delle tante strimpellate per il ma trimonio dell’arciduca Ferdinando d’Austria coll’ultima estense»; ma, se cosí è, sarebbe del 1771 non del 1774.
VIII-IX. Anche queste due odi furono pubblicate per la prima volta, nel 1791 (col titolo che hanno nel testo) dal Ga. il quale dice che vennero composte dal P. per invito fattogli di dare «due temi ad un nobile improvvisatore, che fu a Milano vari anni fa» Si trovano pure nel ms. ambr. II 1 aut.
X. Si trova nei mss. ambr. II 1 aut.; III 4 e 8, senza titolo. Dai primi vv. appare che fu scritto verso il 1779. Al v. 33 l’aut. ha fanatiche invece di fantastiche degli altri due mss.
XI. Questo frammento fu pubblicato per la prima volta dal R. (II, 250-251), che lo ebbe nel 1801 dal p. carmelitano G. M. Pa gnini di Parma. Diceva il Pagnini che il poeta aveva scritto questi versi per nozze «anni sono» a richiesta della contessa Rossane della Somaglia; ma poi aveva lasciato interrotto il componimento. Un abbozzo aut. se ne trova nel ms. ambr. II 3, ma esso manca dell’ultima strofa (vv. 19-24), e presenta qualche variante rispetto al testo del R.
XII. La morte del Balestrieri (17S0) inspirò al Parini il sonetto Sta flutta milanesa e l’epigramma Vanne, o morte crudel, pubbli cati nella raccolta che vide allora la luce. (V. pp. 265 e 357 di questo voi.). Quest’ode, lasciata interrotta, fu pubblicata dal R.
(II, 248-249); ma si trova anche nei mss. ambr. II 4 aut., III 4 e 8. Nel ms. II 4, unito al mezzo foglio sul quale è scritto l’ab bozzo pubblicato nel testo, si trova anche un pezzo di carta, coi tre versi seguenti, che pare appartengano al seguito dell’ode ri masta interrotta: Ché allor la gioventude indotta e balda, — di gar rulo valor, d’aura volgare, — ignote vele, o nave anco mal salda — non affidava al mare.
XIII-XIV. Questi due abbozzi si trovano, senza titolo, uno di seguito all’altro, nel ms. ambr. II 3 aut. Il R. (II, 252-41) pub blicò solo il secondo, unendovi (probabilmente di sua iniziativa) l’ultima strofa del primo. Non è improbabile che questi due abbozzi siano degli anni nei quali il P. scrisse le odi a Paola Castiglioni e al cardinale Burini.
XV. Si trova nel ms. ambr. II 3 aut. ed ha l’apparenza di un frammento. Come tale fu pubblicato dal R. (II, 255-256) del quale è anche il titolo, nonché la nota che dice: «Una ragguar devolissima donna voleva che il nostro poeta cantasse le vittorie franzesi, ed egli la stava compiacendo nel verno che precedette la sconfitta di Scherer». Questa notizia fa supporre che l’ode sia dell’inverno 1798-99.
XVI. Fu pubblicato dal R. (II, 246-247) seguendo i due ab bozzi ambr. II 4 aut., il secondo solo dei quali reca però gli ul timi sei versi (31-36). Nell’abbozzo vi è anche un tentativo per rifare questi ultimi versi: Al tuo fausto venir sentii ben tosto — calmar la violenta — turba de’ nervi e i fieri moti e l’ira. Rifatti poi ancora nel modo seguente: Tal tu venisti e in un balen ne’ miei — spirti virtú s’aggira — onde il morbo tiranno è oppresso e spento. — Fuggon gli umor sediziosi e rei — e frena il violento — popol de’ nervi i fieri moti e l’ira.
XVII. Si trova nel ms. ambr. II 1 aut. insieme con un ab bozzo al quale mancano gli ultimi due versi (13-14). Di qui lo trasse il R. (II, 257-258). Il titolo è del R. Andrea Appiani visse dal 1754 al 1817. Si v. il son. a p. 305 di questo voi.
XVIII-XIX-XX. Dagli abbozzi del ms. ambr. II 3 aut. Il Mazz (506) giustamente osserva che il n. XIX, invece di un frammento, potrebbe anche essere un epigramma.
XXI. Si trova nel pacco IV ambr. delle carte pariniane; ma il manoscritto non è autografo. È probabile che derivi dalla prima pubblicazione dell’ode, fatta dal Foscolo nel 1811 nello scritto sulla Poesia lirica, che si può vedere nel voi. II (pp. 337-344) delle sue Prose letterarie (ed. Le Monnier), oppure dalla ristampa che ne fece il Bn. Il Foscolo disse di non sapere chi fosse l’autore dell’ode, ma aggiunse che, secondo l’opinione di un compe tente, doveva essere d’uno scrittore della seconda metá del secolo decimottavo, e fosse traduzione o imitazione d’un originale in glese; il Bn. invece disse d’aver trovato il ms. dell’ode a Fonta neto, tra le carte del conte Visconti, il quale l’attribuiva al Pa rini, suo intimo amico. Il Mazz. (p. 526) è in dubbio, come il Fo scolo, se crederla opera originale o tradotta o comunque derivata da un’opera straniera, e pensa che questa potrebbe essere l’ode The Times di Carlo Churchill (1731-1764), che però non potè vedere. A ogni modo sembra assai dubbio che l’ode, originale o tradotta che sia, appartenga al Parini.
XXII. Fu pubblicata nella Roma letteraria del io gennaio 1895, preceduta da una avvertenza della direzione del periodico, nella quale è detto che un suo collaboratore la copiò «or son mol t’anni», «di su un autografo del Parini che si trovava nell’albo di una gentile signora». A spiegare l’origine dell’autografo, se guono due lettere, una di L. G. Vallardi ad un cugino (9 agosto 1863) in cui gli dice: «Eccoti adunque le strofe autografe del Pa rini». E da quanto segue si apprende che le manda, perché de siderate da un giovinetto ammalato. L’altra è del prof. dott. Inno cenzo Regazzoni che da Como (1 agosto 1863) manda al prefetto gli auguri per l’onomastico, e aggiunge: «Le unisco l’autografo del Parini che finalmente ebbi da Milano con una lettera che pure le compiego. Sono ben lieto di aver potuto corrispondere al di lei desiderio». Il testo dell’ode è seguito da alcune varianti, o correzioni che siano, certo dedotte anch’esse dal ms. originale. — v. 21: Lieta a serbarvi il core\ v. 34: caro per buon; v. 35: dolci per lieti; v. 51: a te dunque di placidi — giorni l’amena sponda [fra le amiche pendici] — sol pregherò; v. 55 sgg.: Ma tu dolce Favonio — il desir mio seconda, — e con soffio propizio — deh il liti gonfia e giuliva — Elisa guida alla bramata riva. Oppure: Sereno è il cielo e placida — del Lario io veggo l’onda; — ma tu dolce Favonio — il desir mio seconda; — deh il Un gonfia, e giu liva — giungerá Elisa alla bramata riva. — Ma il Mazz. giusta mente dubita della attribuzione al P. di questa ode.
VIII
SONETTI
I. Mss. ambr. II i aut., III 4,5,6 e 8; Triv., Racc. p. div .— Bn. lo pubblicò ricavandolo da una raccolta di cose indubbiamente pariniane, colla data 1752. In Triv. è detto che fu recitato «nel l’Accademia dei Trasformati, di cui il nostro poeta era membro».
II. Pubblicato nelle Rime in morte del signor canonico Gian Francesco Guenzi da Frassineto del Po iti Monferrato, raccolte da P. D. Soresi. Milano, Agnelli, 1763. Si trova pure nel ms. ambr.
III 5, che riproduce la stampa.
III. Mss. ambr. II 2 aut., III 5; Triv. In III 5 e Triv. si av verte che fu recitato nei Trasformati, pel card. Pozzobonelli; ma il Mazz. osserva che il Pozzobonelli fu fatto cardinale nel 1743, quando il P. avea solo 14 anni. Potrebbe forse riferirsi invece al milanese Fabrizio Serbelloni, fatto cardinale nel 1753. Si avverta però che per lui il P. pubblicò il son. IV; ma potrebbe il P. aver composto due sonetti, il III per l’Accademia e il IV per la raccolta.
IV. Pubblicato nelle Rime per la promozione al cardinalato di S. E. Rev.rna Monsignor Fabrizio Serbelloni milanese... distri buite in occasione del solenne Te Deutn cantato nella chiesa dei MM. RR. PP. Serviti... il giorno 12 decembre 1753. Milano, Ri chino Malatesta, 1753. Si trova pure nei mss. ambr. III 5 e Triv., derivati probabilmente dalla stampa.
V. Pubblicato nelle Rime in occasione della visita fatta nel territorio di Bergamo alle parrocchie aggregate alle pieve di Trivio dall’Etti, et Rev. signor card. Pozzobonelli arcivescovo di Milano. Bergamo, Santini, 1754. Si trova anche nel ms. Triv.
VI. Ms. II 2 aut., nel quale l’autografo del P. è accompagnato da una lettera del io novembre 1754 colla quale G. Ambrogio Fioroni manda da Canzo il sonetto del P. al Ripamonti Carpano. Il P. era allora, temporaneamente, dalle parti di Canzo, e il Fio roni dice che ha scritto il sonetto «anche a mia istanza».
VII. Dalla pubblicazione fatta Celebrando il giorno 22 dicem bre 1754 la prima messa Jacopo Antonio Bajone. Milano, Sirtori, 1754. Si trova pure nei mss. ambr. III 5 e Triv., che derivano dalla stampa.
VIII. Pubblicato a Bologna, in un opuscolo nuziale nel 1755, ina poi ristampato dal P. stesso, insieme col capitolo ristampalo a p. 119 di questo voi., nel 1758 per le nozze di Rosa Giuliani con Gaetano Fiori (Milano, Agnelli, 1758), modificandone solo le terzine nel modo seguente:
Amor sia teco, non quel vile ond’erra
spesso dolente il gregge e spesso audace
fa per l’aprico piano in fra sé guerra;
ma quel che di due spirti un sol ne face,
onde un saggio si puote aver qui in terra
dal bel paese de l’eterna pace.
Questo secondo sonetto si trova, riprodotto dalla stampa, anche nei mss. ambr. III 1 e 5.
IX. Mss. ambr. III 5 e Triv., dove è detto che fu «recitato nell’Accademia dei Trasformati, in una corona di sonetti per la morte di F. S. Quadrio», avvenuta il 21 novembre 1756.
X. Dalla raccolta di Poetici componimenti umiliati all’ill. et ecc. sig. co. Girolamo Lion , Rovigo, Miazzi, 1757. Lo riporto dalla ed. Mazz. Dubito che nel v. 8 si debba leggere t’armasti e non l’armasti.
XI-XII. Dalle Poesie a donna Maria Serponti monaca candi data nell’insigne monastero di S. Agostino in P[orta] N[uova], Milano, tip. regia ducale, 1757» e nei mss. ambr. III 4 e 8 e Triv., che derivano dalla stampa. Nell ’Arch. stor. lomb., serie IV, anno XXXVIII, voi. XVI, p. 223 nota, si dice che il primo di questi sonetti, con un capoverso di poco differente (Vergin, ti chiudi or forte entro il romito) si trova anche in una raccolta di Poetici componimenti stampata nel 1756 per la monacazione di una Chiap pori; ma il Mazz. (dal quale traggo la notizia, p. lxxvjii) non riusci a trovarla.
XIII. Il ms. ambr. III 5, che ci conserva questo sonetto, dice che è tratto da una raccolta fatta a Pavia di Poetici componimenti per le vittorie riportate in Boemia dalle armi austriache sopra l’esercito prussiano l’anno 1757 , dove, a p. 32, si legge il sonetto. che fu creduto del P., perché firmato «di G. P.» e «per lo stile». Ma Triv., che pure riporta il sonetto, dice che l’attribuzione è dubbiosa.
XIV-XV-XVI. I primi due sonetti furono pubblicati tra gli Applausi poetici per la gloriosa esaltazione al supremo pontificato di Clemente XIII in occasione del pubblico solenne rendimento di grazie che si fa all’Altissimo nella chiesa di S. Fedele de’ RR. PP. della Compagnia di Gesú, Milano, Richino Malatesta, 1788, e il terzo nella Raccolta di rime in occasione delle pubbliche feste ce lebrale in Como... per la gloriosa esaltazione al sommo pontificato col nome di Clemente XIII dell’eminentissimo Carlo Rezzonico patrizio comasco, Como, Staurenghi, 1758. Si trovano anche nel ms. ambr. III 3, derivato dalle stampe.
XVII-XVIII-XIX-XX. I primi due furono stampati nella rac colta Alla inrtuosissima sig. Caterina Gabrielli , Milano, Agnelli, 1758, e firmati: Cataste, accademico Ipocondriaco, di Reggio-, il terzo nella raccolta dello stesso titolo ed editore, pubblicata nel 1759; il quarto da’ mss. ambr. II 1 e 2 aut., III 4 e 8; Mor. — Anche il terzo sonetto si trova nei mss. ambr. III 4, 5 e 8; Triv. La Gabrielli, detta la Cochina, cantò nel Teatro ducale di Milano nel 1758 e nel 1759.
XXI. Mss. ambr. II 2 aut., III 4, 5, 8; Triv. Lo stampò Bn. traendolo da una «raccolta di cose indubbiamente pariniane», nella quale aveva la data del 1759; in ambr. III 5 e Triv. è detto che fu recitato nell’Accademia dei Trasformati.
XXII-XXIII-XXIV. Tutti e tre i sonetti si trovano nei mss. ambr. III 4, 5, 8; il XXII inoltre anche negli autografi II 1, 2 e in Mor. e Triv:, e il XXIII pure in Triv. La cometa alla quale si allude è quella di Halley e Cassini (Jella e Nisisca del son. XXII), ricomparsa nel 1759, anno in cui, come è detto in una nota di III 5, mori il padre del P. e gli accadde «qualch’altra disgra zia» a cui si allude nel son. XXIV.
XXV. Dagli Applausi poetici alla nascita del primogenito delle LL. EE. doti Alberico Barbiano conte di Beigioioso e donna Anna Ricciarda principessa d’Este. Milano, Richino Malatesta, 1760. Ms. ambr. III 5 che deriva dalla stampa. Si veda A. Giulini, Uu gen tiluomo dell’epoca pariniana , nella Lettura del maggio 1929.
XXVI. Da una raccolta di Applausi poetici, stampata a Fi renze, Barducci, 1761 in onore del p. A. M. Negri quaresimalista. — Mss. ambr. III 5 e Triv. derivanti dalla stampa.
XXVII. Mss. ambr. II 1 aut., III 1, 4, 5 e 8; Mor. — Sa. dice che fu scritto per Anna, figlia del coreografo Gaspare Angiolini, colla quale (dice il R.) il poeta «meditò assai sulla danza». Il P. se ne innamorò «poco dopo il 1763». Cfr. Card., XIII, 291-2.
XXVIII-XXIX. Dai Componimenti fatti in occasione della pub blica presentazione nella chiesa metropolitana di alcuni schiavi in subri riscattati da’ MM. RR. PP. Trinitari Scalzi del reai con vento della B. V. de" Miracoli in Monforte, destinata per il giorno 19agosto 1764. Milano, P. A. Frigerio, 1764. Il primo sonetto del P. ha il titolo A S. Em. il card. Giuseppe Pozzobonelli arcivescovo di Milano e il secondo A III medesimi schiatti redenti. Si trovano pure nei mss. III 5 e Triv.\ il n. XXIX è anche in III 6. In III 5 e Triv. è detto che i due sonetti sono copiati da una raccolta del 1750. Se non è errore del copista (Trivulzio), vorrá dire che il P., nel 1764, non fece altro che ristampare due sonetti giá pub blicati quattordici anni prima, per una occasione simile. Si veda Mazz., 351. — Al v. 4 del n. XXIX lungo è quasi certamente er rore di stampa per largo, che è in R.
XXX. Si trova nella raccolta di Applausi poetici al merito esimio del reverendissitno p. abbate don Maurizio Salabue canonico regolare lateranense il quale predica in Lugano l’egregio suo qua resimale nel 1767. Lugano, Agnelli e Comp. Lo ripubblicò I. Sa nesi (Una lettera e un sonetto di G. P.) neWAthenaeum, Pavia, aprile 1922; insieme colla lettera ad un «caro amico» (che non si sa chi sia), ad istanza del quale il P. lo aveva composto. Il ms. della lettera e del sonetto appartengono al prof. G. Morelli della Universitá di Pavia. La lettera è scritta da Milano, jo marzo 1767, e non si trova né fra le Prose del P. da me pubblicate, né nella ed. Mazz. di Tutte le opere. Per questo si ritiene opportuno ri pubblicarla:
«Voi sapete ch’io son poltrone: non vi maravigliate adunque se non ho finora risposto alla vostra. Uno de’ primi assiomi della poltroneria si è di non multiplicar gli enti senza necessitá. Voi vedrete, che non era necessario di scrivervi due lettere quando con una sola mostro d’aver ricevuti gli ordini vostri, e allo stesso tempo d’avervi ubbidito. Io non ho ricevuto, come voi mi accen nate, verun comando dal signor dr. Agnelli: e sebbene io sia in ogni tempo disposto a servirlo, godo, che l’accidente forse non mi obblighi a divider fra due un piccolissimo ufficio che diven terebbe piú piccolo della metá. Resta a vedere se il sonetto che qui incluso vi trasmetto vaglia qualcosa: voi ne giudicherete. Io ho, egli è vero, un’altissima venerazione per il padre Sala bue; ma voi sapete che in un momento d’aridezza poetica (e io son soggetto assaissimo a di questi momenti) tutti i colpi per grandi che sieno non fanno la menoma impressione. Ad ogni modo sarò perfettamente contento se lo considererete non per un compenso, ma per un segno della mia perpetua riconoscenza per i piaceri che con tanta generositá m’avete fatti. I miei ri spetti a vostra moglie e al dr. Agnelli; e resto col desiderio di rivedervi presto a Milano. Vostro affez.mo amico e serv.re Giu seppe Parini.»
XXXI-XXXII. Dagli Atti di S. Girolamo Miatti fondatore della congregazione di Somasca descritti da vari autori in verso italiano e pubblicati nella sua canonizzazione. Bergamo, Locatelli, 1767. L’atto del santo a cui si riferisce il primo sonetto è: «ogni giorno fa dispensare a’ poveri stranieri gli avanzi del vitto delle famiglie»; e il secondo è: «Aduna in Milano orfani sparsi per la cittá ed apre per essi le case di S. Martino». Il primo sonetto è pure nei mss. ambr. III 4 e 8, e il secondo, oltre che negli stessi mss., anche in Triv.
XXXIII. Mss. ambr. II x aut., III 4, 8. La data 1767 è ipotesi di A. Foresti (Un sonetto allegorico di G. P., Marzocco, 24 aprile 1921) il quale crede che alluda alle persecuzioni contro la Com pagnia di Gesú; ma il Mazz. (440) non è dello stesso avviso; se condo lui è una «preghiera personale» del P.
XXXIV-XXXV. Mss. ambr. Il 1, 2 aut., III 4. 8; Mor. — La cantante Piccinelli cantò a Milano nel 1767-68. R. Barbiera, Im mortali e dimenticati, 83-86.
XXXVI. Mss. ambr. III 1, 3, 6, 8. Di un altro ms. parla S. Fermi, nel Boll. stor. piacentino delPaprile-giugno 1920, citato dal Mazz., 431 — Che il son. sia contro l’ab. Casti è detto espli citamente dai mss. III 1, 3; che sia del P. lo fa credere III 1 il quale contiene molti altri componimenti certo pariniani; ma in III 8 è detto invece che è di autore «incerto». Questo stesso ms. reca la data 1768. — Al v. 8 III 6 ha contro la donna dell’im pero vasto, e III 1 ha contro il regnante d’un impero vasto, poi cancellato è corretto come è in III 6. — Al v. io III 1, 3, 6 hanno attorno va recitator molesto.
XXXVII-XXXVIII. Dalle Rime per la solenne vestizione nel l’insigne monastero di S. Margherita di Como . di donna Gioseffa Lucini Passalacqua, Como, Staurenghi, 1768. Si leggono pure nel ms. ambr. III 5, che deriva dalla stampa.
XXXIX. Mss. ambr. II 2 (aut.?), III 4 e 8. — Che si riferisca alla morte di Giuseppe Imbonati è accertato dai vv. 5-6 in cui si accenna alla malattia contemporanea del padre e del figlio. Si v. pure l’accenno al platano del v. io. Il co. Imbonati mori nel 1768 (12 luglio); e si vede che probabilmente il P., dopo aver scritto questo sonetto, lo scartò, per sostituirlo col seguente, pubblicato poi nel 1769.
XL. Dai Componimenti in morte del conte Giuseppe Maria Imbottati, Milano, Galeazzi, 1769. — Mss. ambr. II 1 aut., III 4, 8, 9. In III 8 ha erroneamente la data 1782.
XLI. Mss. ambr. II 2 aut., III 3, 4, 5, 8, A/or. — Che si rife risca all’entrata in Roma di Giuseppe II, nel 1769, ci è attestato dalle didascalie dei mss. II 2 e III 3.
XLII. Mss. ambr. II 2 ant., III 5, Triv., i quali ci indicano pure l’occasione per la quale il sonetto fu scritto.
XLIII. Da un foglio volante stampato a Milano, Galeazzi, 1770.
Per la decollazione di S. Giovanni Battista nella solenne festa ce lebrata il 29 agosto nell’insigne borgo di Busto Arsizio. — Non vi è nome di autore; ma nel ms. ambr. III 5 è detto «credesi di Parini * e nel ms. Triv. è posto tra altri componimenti pariniani. I due mss. derivano dalla stampa.
XLIV. Mss. ambr. III 3, 5, 8. — Che sia stato scritto per l’abo lizione dei gesuiti (Bolla di Clemente XIV del 21 luglio 1773) è attestato dai mss. e dal Reina; il Reina dice che vi ha chi dubita che il son. sia del P.; ma in III 3 è dato come di lui.
XLV. Stampato coi Sonetti di Caterina Dolfin Tiepolo in morte di Gio. Antonio Dolfin, Padova, Penada, 1777, e in Rime degli arcadi, Roma, Giunchi, 1780. Si trova pure nei mss. ambr. II 1, 2 aut., III 4, 8, Alor., Triv.
XLVI. Da un foglio volante: Solennizzandosi dalla pia associa zione della caritá cristiana a prò’ degli infermi eretta nella chiesa parrocchiale di S. Bartolomeo la festa del suo protettore S. Luigi Gonzaga il giorno di domenica 31 agosto 1777- Milano, Bolzani, s. a. — Mss. ambr. III 5 e Triv. Nel foglio volante è firmato D. A. P. che fu interpretato dal trascrittore di III 5 come «dell’abate Pa rini», perché lo stile gli sembrò pariniano, sebbene egli stesso aggiunga che il sonetto fu «da alcuni creduto di don Antonio Perabò».
XLVII. Dai Versi in morte del celebre poeta Domenico Bale strieri, Milano, Monastero di S. Ambrogio Maggiore, 1780, dove è seguito dall’epigramma «Vanne, o morte crudel*. (V. p. 357 di questo voi.). Mss. ambr. III 5, 8, Mor.
XLVIII. Si trova nella necrologia di Giuseppe Carpani (1752 1825), pubblicata nella Biblioteca italiana del 1825, voi. XXXVII, p. 281 e nella biografia del Carpani in De Tipaldo, Biogr. Hai. illustri, Venezia, 1845, X, 167-168.
XLIX. Il De Castro, Milano nel 700, 282-3 cita una stampa di questo son. che si trova nell’archivio civico di Milano. Mss. ambr. III r, 5, 6, Mor. Nella stampa non ha nome d’autore, e cosí pure in III 6; negli altri mss. ha il nome del P. — Maria Teresa mori il 29 novembre 1780.
L. Si trova in ambr. III 8, dove però il Gambarelli stesso che 10trascrisse lo cancellò, e scrisse «non è dell’abate Parini». Nel ms. ha la data 1782. Il Mazz., per svista, dice: 1784.
LI. Ms. ambr. III 5, dove ha il titolo datogli nel testo, e la annotazione «dicesi dell’ab. Parini». Ma poi la stessa mano ag giunse «non è di Parini». Pio VI fu a Vienna nel marzo-aprile 1782.
LII. Mss. ambr. II 1 aut., III 3, 4, 8, Mor., Triv. Fu stam pato da Ga. (1791) e nell ’Anno poetico del 1793 (I, 300). Varianti: 7, III 3: come felici poi li gnidi a segno; III 8: come felice poi li guidi al segno; 9, III 4, 8: de l’estro ai generosi passi; io, II 1, III 4, 8, Mor., Triv.: fan ceppo.
LIII. Nel Giornale encicl. di Milano, 1784; Parnaso ital ., Bo logna, 1785; Florence Miscellany, Firenze, 1785; Ga. — Mss. ambr. II 1 aut., III 3, 4, 6, 8; Mor.
LIV-LV. Nell ’ Almanacco delle Muse italiane, Milano, Pirola, 1785. — Mss. ambr. II 1 aut., III 3, 4, 5 e 8. Il De Castro dice che furono pubblicati anche nelle Nuove di diverse corti e paesi, Lugano, 1784.
LVI. Mss. ambr. II 1 aut., III 3, 4, 5; Triv. — Il titolo si legge, tal quale è nel testo, in III 3 e in Mor. — III 3 reca pure la data 1784. Per la mascherata dei facchini si veda la descrizione che ne fa il P. stesso narrando le feste a Ferdinando d’Austria e a Beatrice d’Este, sposi, nel 1771. I facchini, oriundi per lo piú di Intragna (Lago Maggiore), distribuivano versi in dialetto del loro paese, con a fianco la traduzione italiana. È probabile quindi che il P. sia qui solo traduttore. V. numero sg.
LVII-LVIII. Mss. ambr. II 1 aut., III 3, 4, 5, 8, e si trovano anche stampati in un foglio volante, col testo dialettale a fronte. I reali di Napoli entrarono a Milano il 6 luglio 1785 e vi resta rono circa venti giorni. Per la mascherata dei facchini si veda la nota al n. LV.
LIX. Mss. ambr. II 1, 2 aut., III 4, 8, Mar. — In II 2 e Mar. è detto che il sonetto è A N. D. veneziana, e il R. precisa che si tratta di Cecilia Tron. Si v. A. Foresti, Quando il P. corse il dolce periodo, Marzocco, 12, febbraio 1922. In III 4, 8 è la data 1787confermata dal Foresti.
LX-LXI. In un foglio volante, stampato a Milano, Gius. Ga leazzi, 1787, Vestendo l’abito religioso di S. Domenico nell’insigne monistero della B. V. Assunta della cittá di Vigevano la signora Rosa Oldani che prende i nomi di suor Giovanna Francesca Lui gia. — Mss. II 2 aut., III 1, 4, 8, Mor. Nella copia della stampa che si conserva in Ambrosiana, il nome dell’a. è aggiunto a mano.
LXII-LXIII. Nel Giornale poetico di Venezia, estate 1789. — Mss. ambr. III 1, 4, 5, 8. In III 1 hanno il titolo: Per la solenne professione della signora Rosa Oldani, che ha preso i nomi di suor Giovanna Francesca Luigia nell’insigne monastero della B. V. As sunta della cittá di Vigevano. In III 8 ha la data 1788.
LXIV. Si trova colla lettera indir, dal P. alla Curtoni Verza nel marzo 1789, e nei mss. ambr. III 1, 4, 5.
LXV-LXVI. In un foglio volante: Per il ritratto in marmo di S. A. R. Maria Ricciarda Beatrice arciduchessa d’Austria, prin cipessa d’Este, destinato a S. A. R. l’arciduchessa Teresa d’Austria, duchessa d’Aosta s. n. t., e nel Giorn. poetico del 1790. — Mss. ambr. I 11, III 1, 4, 6, Mor. Il R. dice che il busto era opera dello scul tore Giuseppe Franchi. In I 11 è la data 1789.
LXVII. Nel Giornale poetico di Venezia, 1789. — Mss. ambr. II 1 aut., III 3, 4, 5, 6, 8. In III 3 ha il titolo: «Per l’arciduchessa Beatrice, che disse che tutte le altre donne avevano l’amante, e ch’ella sola non avea alcuno che le dicesse amorose parole»; III 4 nei vv. 1-2 ha la stessa lezione del testo, ma poi corretta dal P.: Scende il poter del tuo divino aspetto, — alma sposa di Giove, anco ai mortali. Nel v. 1 invece di il credi, III 1, 5, 6, Mor. hanno il giuro; in III 8 il giuro è cancellato e corretto il credi.
LXVIII. Mss. ambr. II 2 aut., III 1,4,6, Mor., Triv. — Il ti tolo è dedotto dalle indicazioni dei vari mss. e anche dal Reina, il quale avverte che la principessa era vedova del principe Vittorio di Savoia Carignano, che essa aveva giá visitato il Molinari nella sua villa La Faina, presso Varese, ed ora lo invitava ad una propria villa per la vicina ricorrenza del giorno natalizio. La principessa era, come dice il ms. III 6, nata Lorena Armagnac, nel 1753, e madre del principe regnante, e aggiunge la data 26 agosto 1790.
LXIX. Mss. ambr. II 2 aut., III 1, 4, 6. In casa Litta Modi gliani a Milano ve n’è un esemplare calligrafico col nome del P., e un disegno di Andrea Appiani raffigurante un’ara (Mazz., 397). In II 2, in calce, sta scritto: «In segno d’ossequiosa congratula zione. Parini»; in III 6 vi è la nota carnevale 1793.
LXX. Mss. II 1, 2 aut., III 1, 4, 5, 8. In III 1 e 5 è detto che il sonetto è per un Te deum del 1793, in occasione di vittorie sui francesi; ma giustamente il Foresti ( Mazzocco, 17 die. 1922) osserva che il ms. III 4 è di mano del Gambarelli, che si uccise il 15 giugno 1792, e crede quindi che il P. avesse scritto il sonetto per le vittorie sui turchi del 1789 e lo adattasse poi a quella di Neervinden sui francesi del 1793.
LXXI. Mss. II 2 aut.?, III 1, 4, 5, 6. — In calce al ms. II 2, ma non di mano dell’a., è scritto: «Per la signora Contessina di Castelbarco nata Litta, cui mandò l’ab. Parini le sue odi stampate dal Bodoni, essendogli stato tolto da un amico l’esemplare ch’essa aveva. 22 marzo 1793»; a proposito della qual nota è da osser vare che la ed. bodoniana delle odi è del 1800. In III 1: «L’a. mandando alla co. di Castelbarco nata Litta una raccolta di sue canzoni»; e in III 6: «Alla co. Castelbarco Litta con un libro di sue canzoni».
LXXII. Mss. ambr. III 1, 5, 6, Triv., e anche nella rac colta trivulziana di autografi, colla annotazione di G. G. Trivulzio: «Anno 1793. Li 27 aprile fu questo sonetto dato dall’a. sig. ab. Parini scritto cosí di suo pugno al sig. Franchi». In III 5: «Per la nascita del R. I. infante», cioè di Ferdinando figlio di Fran cesco I, n. il 9 aprile 1793.
LXXIII. Mss. ambr. III 1, 4, 5, 6. — In III 1 è detto: Argo mento proposto ad Amarilli Etrusca (nome arcadico di Teresa Bandettini); in III 5: Nel proporre alla improvvisatrice sig.ra Pan dettini (sic) le avventure di Saffo su soggetto d’improvviso nel l’ecc.ma casa Litta’, e in III 6: Le avventure di Saffo, e in calce: Tema dato dall’ab. don Giuseppe Parini all’improvvisatrice Ban dettini in casa di S. E. il signore Conte M.o Plenip.rio de Wilzeck li 11 aprile 1793.
LXXIV. Ms. ambr. III 5, dove ha il titolo stesso del testo. R. annota: «L’autore compose questo sonetto nel 1793 quando in Francia regnava il terrore. Si voleva distruggere la Francia, eppure a spese enormi derivavansi di lá mode e capricci repub blicani». E al v. 5: «Pethion presidente della Convenzione nazio nale». Il Pethion ebbe tale ufficio dal 14 novembre 1791 al 2 giugno 1793.
LXXV. In un foglio volante stampato «In Varese, li 15 set tembre 1793. Presso Motta e Pedemonti con approvazione». Nel l’esemplare che ve n’è in Ambrosiana, vi è la nota ms.: «Si crede di Parini». È anche nei mss. ambr. III 9 e Triv., dove pure la attribuzione al P. è data come dubbiosa.
LXXVI. Si trova in un foglio volante: Dai professori di mu sica, di canto e di suono, facendosi celebrare sabato 31 agosto 1799 nella chiesa parrocchiale dei RR. PP. cappuccini di P[orta~\ Orvieti tale’] Messa solenne e Te deutn in rendimento di grazie all’Altis simo per le segnalate continue vittorie della gloriosa armata austro russa ecc. E in calce: «Il presente sonetto fu composto dal famoso poeta abate don Giuseppe Parini, regio professore d’eloquenza e d’arti in Milano, poche ore prima che compisse il corso di sua mor tale carriera», e la indicazione: «In Milano, presso G. B. Bianchi». In Ambrosiana ve n’è una copia con delle correzioni a penna su cancellature dello stampato e la seguente annotazione: «Le cor rezioni appostevi sono conformi alla prima lezione trascritta a dettatura dell’autore, ch’egli poi stimò dover cambiare, ma che da piú persone di buon gusto e di criterio vien preferita alla se conda stampata». Pure in Ambrosiana ve n’è un esemplare ms. di mano del Parini, sotto il quale è scritto d’altra mano: «Ultimo manoscritto fatto dal celebre poeta abbate don Giuseppe Parini due ore prima della sua morte»; e sará l’esemplare di cui parla il R., il quale informa che il P. scrisse di suo pugno il sonetto la mattina del 15 agosto 1793 (giorno in cui mori) e che, pochi momenti dopo, lo dettò al suo collega ed amico Paolo Brambilla colle correzioni che furono poi accolte in sostanza nel testo del l’esemplare a stampa. Finalmente si trova pure stampato nelle Novelle politiche del 6 settembre 1799, in una lezione un po’ di versa, specialmente nelle terzine, che corrisponde a quella che troviamo nel ms. Triv. — Nel testo seguo l’es. a stampa del fo glio volante. R. e Mazz. seguono invece l’autografo ambrosiano, che ha le sgg. varianti: v. 5: ma alfin; 6: vinse Davidde; 10: propone per dispone. — Le correzioni eseguite sull’esemplare a stampa am brosiano sono: vv. 3-4: e il sacerdote oppresso e il popol pio — celò il decoro degli antiqui riti; 6-8: cadde il gran mostro che gli fea si arditi — e il popol sorse, e gli empi al suol natio — fé’ dell’orgo glio loro andar pentiti. — Il testo delle Notizie politiche e di Triv. corrisponde per le quartine a quello delle correzioni della stampa ambrosiana, ma le terzine sono alquanto diverse: Or Dio lodiam, che il tabernacol santo — e l’arca è salva, e si prepara il tempio — che poi dell’ tinto del Signor sia vanto: — ma de’ capi e de’padri il retto esempio — scenda ne’ figli, onde non torni e pianto — e sacrilegio e violenza e scempio. Le Notizie politiche (n. 67 del 23 agosto) dicono che il sonetto del Parini che la Soc. filarmonica pub blicherá pel solenne Te deum, è diverso da quello «dato fuori colle stampe in questi ultimi giorni» il quale «è una sconciatura atta solo a manifestare l’ignoranza e l’impertinenza di chi si è arrogata la facoltá di pubblicarlo»; e anche nell’opuscolo Lo spi rito dell’ab. Parini (1799, pp. 23-24) si riporta il sonetto come è nel foglio volante a stampa, e si avverte: «Questo sonetto si vide girar stampato per le mani di tutti quasi del tutto adulterato, prima ancora che fusse legittimamente pubblicato».
LXXVII. Mss. ambr. II 1 e 2 aut.; III 4, 5 e 8, Mor., Triv. Fu stampato in Ar. (1780), e Triv. informa che fu recitato nel l’Accademia dei Trasformati. Al v. 1, II x, III 5 e 8 e Ar. hanno i sei pianeti; ma in II 2 è giá corretto in a sé i come è poi in III 4.
LXXVIII. Mss. ambr. II 2, III 4 e 8, Triv. Quest’ultimo ci informa che fu recitato nella Accademia dei Trasformati.
LXXIX. Mss. ambr. II 1 aut., III 4 e 8. È probabile che sia stato composto per una seduta dei Trasformati.
LXXX-LXXXI-LXXXII. Ms. ambr. II 3 aut. Nel ms. vi è pure una parziale minuta autografa del primo sonetto (vv. 1-6): Nel di che la fatai tela fornita — ni ’avrá la Parca del mio stame avara, — a te mi raccomando, o Ver gin cara, — che sei la madre dell’eterna vita. — Quella che spesso è di tua luce uscita — grazia sopra di me, deh mi prepara. Vi è poi anche una diversa redazione delle terzine: E s’a lavar cotante opre mal fatte — invece delle lagrime ch’io piagno — furon quest’occhi miei finora asciutti, — or che molli di pianto grondan tutti, — io ti prego, le tergi col tuo latte, — Vergine, tu che sei il nostro bagno. Non è improbabile che questi sonetti sian stati preparati per una seduta accade mica.
LXXXIII. Mss. ambr. II 1 aut., III 4 e 8. S. Caterina Meriggia da Pallanza visse dal 1437? al 1478, e fondò il ritiro della Ma donna del Monte sopra Varese.
LXXXIV. Mss. ambr. III 4, 5, 6, 8; Triv., Racc. p. div. — Triv. informa che fu recitato nell’Accademia dei Trasformati «forse per l’argomento proposto sull’agricoltura».
LXXXV. Mss. II 1 e 2 aut.; III 4 e 8; Mor. — Il titolo è in R. Il sonetto fu probabilmente composto per una seduta acca demica.
LXXXVI-LXXXVII-LXXXVIII. Mss. ambr. II 1 aut. (il terzo son. anche in II 2 pure aut.), III 4, 5, 6, 8; Triv. — In III 6 ha il titolo: «Per una pubblica recita tenutasi dagli accademici Tra sformati, la quale aveva per argomento la malinconia». Nei mss.
III 4, 5, 6, il sonetto terzo è seguito da una coda di nove versi, che però in III 4 è scritta di mano diversa dal resto, e che è preceduta dalla avvertenza: «Per ischerzo il Parini aggiunse da poi a questo sonetto la seguente coda, che si riferisce anco ai due precedenti:
Cosi non fia che possa
quello che mi persegue occhio indiscreto
saper tra’ vivi il mio alto segreto;
cioè che qui di dreto
ieri, ohimè, in piazza, il ciel me lo perdoni,
mi si ruppe la stringa de’ calzoni;
tal che a battuti sproni
io fui costretto per mezzo Milano
correre a casa con le brache in mano.
LXXXIX. Mss. ambr. II 2 aut., III 5, Triv. — III 5 informa che fu recitato nell’Accademia dei Trasformati.
XC. Mss. ambr. I aut., III 4 e 8; Racc. p. div.
XCI. Ms. ambr. III 4 e 8. — L’ultimo verso è tolto dalla Ge rus. lib., XII, 1, cambiando su in per. In III 8 il titolo è can cellato in modo che non si può leggere; ma le allusioni alla Pelosini sono evidenti.
XCII. Mss. ambr. II 1 aut., III 4 e 8.
XCIII. Si trova solo nei mss. Mor. e ambr. III 5; in III 5 vi è poi anche un foglio a stampa, preparato evidentemente per la edizione del R. e poi scartato. Nel ms. III 5 è detto che la co lomba dalle scene «si rifugiò in braccio della Contessa», ma il nome di questa è cancellato. In Mor. si parla solo di «Bella dama»; nel foglio a stampa vi è lo stesso titolo dato nel testo. Non sembra che la Nice di questo sonetto debba identificarsi colla «inclita Nice» dell’ode II Messaggio, come pur fu creduto da qualche studioso del P. Si veda un’altra Nice nel son. O bella Venere (n. CVIII). Cfr. G. Ziccardi, op. cit., p. 93.
XCIV-XCV. Mss. ambr. II 1 aut., III 4 e 8. — Il titolo è in R. Alcuno suppose che la Nice di cui si parla qui, sia la stessa del l’ode Il messaggio-, ma tutto fa credere che si tratti di tutt’altra donna, forse di Francesca Simonetta. Si veda G. Ziccardi, Studi pariniani, nel Giorn. stor. d. lett. il., 1928, voi. XCII, p. 93.
XCVI. Mss. ambr. II 1 e 2 aut., III 4 e 8, Mor.
XCVII. Ms. ambr. III 5 e Triv., derivati dalla pubblicazione fattane in Ar.
XCVIII. Mss. ambr. III 5, Mor. — Bn. lo trae da «una raccolta di cose indubitatamente pariniane». Il titolo è dedotto dalle di dascalie dei mss. e di Bn.
XCIX. Mss. ambr. II 1 aut., III 4 e 8. — R. intitola: «A Clori inspiratrice dell’estro». Il Carducci (XIII, 203) suppose che Clori possa essere Beatrice d’Este.
C. Ms. Mor. — Non si trova questo son. in altro ms., e la sua attribuzione a P. è incerta.
CI. Ms. ambr. II 4 aut. — R. lo pubblica fra gli epigrammi, ma forse è invece la prima quartina d’un sonetto, come sospetta il Mazz. (501). Nello stesso foglio che riporta questi quattro versi, si ha una lezione un po’ diversa dei primi due: Foco gelo velcn salute e morte — piovono i detti tuoi sopra il mio petto.
CII. Ms. ambr. II 9, dove ha la data 1778, probabilmente er rata, se il sonetto si riferisce, come parrebbe, al dott. G. M. Bicetti de’ Buttinoni, che mori appunto in quell’anno.
CHI. Ms. aut. della Queriniana di Brescia, pubblicato in facsi mile da A. Foresti, Bergamo, 1S99.
CIV. Mss. ambr. II 1 e 2 aut., III 4 e 8, Mor. In II 2 segue il son. Precorre Imene (n. CVI).
CV. Mss. ambr. III 5 e Triv. — Il titolo è desunto dalla didascalia dei mss.
CVI-CVII. Mss. ambr. II 1 e 2 aut., III 4 e 8, Mor. Ma non in tutti i mss. i due sonetti si trovano uniti nell’ordine qui dato loro.
CVIII. Mss. ambr. II 1 e 2 aut., III 4 e 8, Mor., Race. p. div.
CIX. Mss. ambr. II 1 aut., III 4 e 8.
CX. Mss. ambr. II 1 aut., III 4 e 8.
CXI. Mss. ambr. II 1 aut., III 4 e 8. In nessun ms. ha titolo.
CXII. Mss. ambr. II 1 aut., III 4, 5, 6, 8, A/or., che ci dá il titolo.
CXIII-CXIV. Mss. ambr. Il 1 aut., III 4 e 8 (il n. 114 è anche in III 3), Triv. Furono pubblicati per la prima volta dal Ga., il quale dice che questi due sonetti furono scritti per dare il tema «a un cospicuo improvvisatore, e ad istanza di alcune dame che lo doveano ascoltare».
CXV. Mss. ambr. III 5, A/or. — Si trova pure in un ms. della collezione Vambianchi (cit. da E. Filippini nella sua Pier mar inianá) preceduto da un altro son. contro il Piermarini, al quale il pre sente serve di risposta. — In A/or. è dato come del Parini, in III 5 è detto «non si crede di Parini»; nel ms. Vambianchi non ha nome di autore.
CXVI. Ms. A/or., dove ha il nome del Parini, colla annota zione: «Alludesi al romanzo inglese intitolato Claris di Richard son». Il romanzo Clarissa Harlowe fu pubblicato a Londra nel 1748. L’attribuzione al P. è dubbia. Il Barbiera (Immortali e di menticatiJ dice che si trova anche tra le carte pariniane di F. Bei lotti, ora in Ambr.; ma non ve lo trovai.
CXVII. Ms. A/or., che lo dá come del P.; ma, come pel son. precedente, la attribuzione è dubbia.
CXVI IL Ms. A/or., che lo attribuisce al Parini. Attribuzione dubbia.
CXIX. Ms. ambr. III 5, dove, di mano diversa da quella del ms. (forse del R.), è detto «non sembra di Parini». — Il titolo è desunto dal ms.
CXX. Mss. ambr. II 1 aut., III 4 e 8.
CXXI. Ms. ambr. II 1 e 2 aut., III 4 e 8; A/or. — Che si riferisca a Carlo Imbonati è ipotesi del Carducci (XIII, 314-15) il quale crede che il sonetto sia anteriore al 1769.
CXXII. Ms. ambr. III 5, dove è detto che il sonetto è deri vato da una raccolta stampata in morte del curato Ciocca.
CXXIII. Mss. ambr. III 5 e Triv. — Triv. ci informa che appartiene ad una corona di sonetti recitati nell’Accademia dei Trasformati «forse a lode del conte Firmian», che fu ministro a Milano dal 1759 al 1782.
CXXIV. Ms. ambr. III 1 e 5. — In III 5 se ne hanno tre copie, una delle quali, di mano di Gius. Carpani, dice: Sonetto dell’ab. Parini al co. di Firmian, mentre un’altra dice: A S. E. Benedetto...
CXXV. Mss. ambr. II i aut.; III 4, 5 e 8; Triv. — In Triv. è detto che fu recitato nell’Accademia dei Trasformati «credo fatto sull’argomento proposto del Corpo umano», e in III 5 e Triv. ha l’epigrafe: «In involumentis nutritus sum... nemo enim ex regi bus aliud habuit nativitatis initium. Sap., c. VII».
CXXVI. Mss. ambr. II 2, III 4, 5, 8, Triv., dove è detto che fu recitato nell’Accademia dei Trasformati.
CXXVII. Mss. ambr. II 1 aut., III 4 e 8.
CXXVI II. Mss. ambr. II 1 e 2 aut., III 4 e 8, Mor., dove ha il titolo: «Ad un poeta».
CXXIX. Mss. ambr. II 1 aut.; III 4, 5, 6, 8, Triv., dove è detto che fu recitato nell’Accademia dei Trasformati «forse sull’argo mento proposto La bruttezza».
CXXX. Mss. ambr. II 2 forse aut., III 5, Race. p. dive, nei due ultimi mss. è dato come del P.
CXXXI. Mss. ambr. III 5 (tre copie), Triv., che ci dá il titolo «In occasione d’una splendidissima festa da ballo data dal dott.
Giletti nella sua casa coll’intervento della piú cospicua nobiltá».
CXXXII. Mss. ambr. II 1 e 2 aut., III 4 e 8, Mor.
CXXXIII. Ms. ambr. X 5, forse aut., dove è cancellato accu ratamente. Fu pubblicato dal R. (Ili, 3x0). Il Mazz. al v. io legge: Ben ch’a Bosis dá rav. por e i mincion.
CXXXIV-CXXXV-CXXXVI. Ms. ambr. II 2, che il Mazz. dice autografo, ma che a me non pare. 11 n. 134 e il n. 136 si trovano anche nel ms. Race. p. div., e 132 e nel ms. ambr. III 5. Certo i tre sonetti sono collegati fra loro, e conviene ammettere o non ammettere la attribuzione al Parini, per tutti e tre. Il R. pubblicò solo il primo sonetto, e non gli altri due, che pure erano nello stesso ms.
CXXXVII. Ms. III 5, di mano del R., che dice «attribuito a Parini».
CXXXVIII. Si trova nelle Opere del P. nella ed. di Monza, Corbetta, 1836, p. 75, dove l’editore annota: «Il presente sonetto non trovasi nella raccolta delle opere pariniane fatta dal signor Reina. È ascritto al P. in una Scelta di poesie italiane stampata in Savona nel 1827, donde l’abbiam tratto; e lo inseriamo qui, senza però farci mallevadori della sua autenticitá».
CXXXIX. Il Sa. dice che è il principio d’un sonetto da lui trovato in un foglio volante, col nome del P. scritto a mano. Il sonetto sarebbe dedicato a Marco Rossetti carmelitano, predica tore. Egirno era il nome arcadico di A. Perotti, anch’egli carme litano. — La notizia si trova in Mazz. (530), il quale però non potè trovare il sonetto né appurare la notizia da lui trovata in un ap punto del Sa.
CXL. Questi frammenti son riferiti da D. Bulferetti in un articolo pubblicato sulla Italia letteraria del 26 maggio 1929, p. 1; ma non dice donde li tragga.
IX
CANZONETTE E ABBOZZI DI CANZONETTE
I. Fu pubblicata per la prima volta dal Ga. (1791) il quale annotò che «fu stesa pressoché improvvisamente nel 1765 per compiacere una persona che la desiderò da mettere in musica per il cembalo»; ma in margine alla stessa canzonetta nel ms. ambr. III 8, che è pure di mano del Ga., si trova la data 1779. Si trova pure nel ms. ambr. III 5. Il titolo è del Ga. stesso e fu poi riprodotto dal R. Convien notare che nei due mss. il principio (vv. 1-10) è un po’ diverso da quello delle ed. Ga. ed R.: La bella primavera — verso di noi ritorna — d’erbe e di fiori adorna — a rinnovar gli amori. — De’ vaghi suoi colori — si veste il colle e il prato: — torna a veder l’amato — nido la rondinella. — E la di lei sorella — torna a’ suoi pianti gravi.
II. Si trova in R. (III, 20). Ma il Mazz. (459) crede che questo sia un rimaneggiamento del R. In ambr. vi sono tre mss. con ab bozzi autografi dello stesso componimento: uno in IV 12, tra gli autografi della Notte, e gli altri due in II 3, scritti uno di fronte all’altro. Il primo ha al v. 2 nascere e al 3 venti; ma poi il P. cancellò tutta la prima strofa e riscrisse: Appena in oriente — tornava l’alba a nascere, — destando i lievi zefiri — ad annunciar il di, — quando sentii repente — all’uscio mio percotere... Poi ri prende: Era appunto in quel momento — quando l’alba esce dal mare — e cominciasi a destare — tra le fronde un lieve zefiro... Poi ancora daccapo: Appena in oriente — tornava l’alba a nascere... — I due abbozzi di II 3 sono i seguenti:
Appunto in quel momento |
Filli, appunto in quel momento |
mentre i’ dormia contento, |
mentre in letto ancor giacea, |
III. Da una minuta aut. del ms. ambr. II, 3, senza titolo.
IV. Ci è data, col titolo, da due mss. ambr., II 5, 8 aut. Vi è poi un terzo ms. II 4, aut. anch’esso, che ci dá una prima minuta del componimento, con qualche variante di non grande importanza.
V. Si trova nei mss. ambr. III aut., III 4 e 8. Il titolo è del R. (II 225-228).
VI. Sono tre abbozzi autografi dello stesso componimento; i primi due contenuti nel ms. ambr. II 3 e il terzo nel ms. II 4, tutti aut. La terza è forse l’ultima redazione del breve frammento, la sciato poi interrotto dall’a. La prima redazione è, nel ms., tutta cancellata con un frego.
VII. Sono due abbozzi dello stesso principio di canzonetta, datici da due mss. ambr. aut. II 4 e II 3. Quest’ultimo parrebbe il piú recente.
VIII. Si trova nel ms. ambr. II 3 aut., donde lo trasse il R.
(II, 239-40) che gli diede il titolo. Un altro aut. dello stesso com ponimento è nel ms. VIII 13, tra i Soggetti di belle arti del P. stesso, e questo ci rappresenta forse la prima redazione: Godo trattar la ce ter a — del vecchio Anacreonte, — e ve fo scudo all’otite — de la fugace etá. — Ei ine la diede, e dissetai: — Tictiti quest’arme a lato...
IX. Ci è dato dai mss. ambr. Il 1 aut., III 3 e 8, e Mor. Nel 1791 il Ga. lo pubblicò tra le odi, col titolo stesso che ebbe poi in R. e che ha pure nei mss. III 3 e 8. Invece in Mor. ha il ti tolo «Canzone sopra l’etá». III 8 ha la data 1778. — In un altro ms. aut., II 3, si trovano, in due mezzi fogli, le seguenti minute cancellate del principio e della fine:
Volano i giorni rapidi |
Le belle che sen volano |
X
SCHERZI
Canzonette per parafuoco.
Il R. (II, 229) che primo pubblicò quasi tutte queste poesiole sul parafuoco, sulle ventole e sui ventagli, dice che furono scritte «ad istanza di Teresa Mussi, amica tenera dell’autore».
Delle sei composizioni per parafuoco, la prima si trova tra scritta tre volte nel ms. ambr. II 3 — e di queste tre trascrizioni due sono di mano del Parini —; e si trova poi anche nei mss. ambr. II 8 aut., III 1, 5, 6. La seconda si trova solo nel m. II 5 aut.; le altre, oltre che in II 5, anche in II 8, pure aut. Le varianti sono di minima importanza. Nel testo si segue II 3, salvo che per la seconda, per cui si segue III 5. Dei due aut. della prima si segue quello che non segui il Mazz.
Scherzi per ventole.
Dei tredici scherzi su le ventole, i primi cinque (VII-XI) si trovano tutti nei mss. ambr. Il 4, 5, 8 aut.; i numeri XII-XV nei due mss. ambr. II 4, 5 aut. soltanto; i numeri XVI-XIX solo nel ms. II 4 aut. Le varianti sono minime. Nel testo si segue II 5, se lo scherzo è contenuto in questo ms., perché sembra che esso ci dia la redazione piú recente; per gli altri segue II 4. — Noto che del numero XII il ms. II 4 ci dá due minute che presentano qualche differenza dalla redazione definitiva di II 5. Si avverta che il n. IX, dopo il v. 5, nel ms. II 4, ha dei versi cancellati in modo da essere illeggibili. R. (forse rifacendo a modo suo) stampa (III, 16):
Ah! se avvien ch’io mai l’adeschi,
si la cruda tenterò
che a mal gioco meco treschi.
Mentre nel ms. lo scherzo è preceduto da questi due versi:
Io giá ventola non sono:
sono amor cambiato in ventola
che devono essere un primo tentativo, poi lasciato interrotto.
Scherzi per ventagli.
I tre scherzi per ventagli si trovano nei ms. ambr. aut. II 4, 5, 8, senza notevoli varianti. Nel testo si segue II 5. Nel ms. II 4 vi è una prima redazione del numero XX, poi cancellata e seguita dalla redazione definitiva: Noi ventagli agli amanti somigliamo; — mutati, raggirati; — dismessi, ricercati, — come piace alle belle a cui serviamo.
IX
EPIGRAMMI
I-II. Furono pubblicati dal R. (Ili, 18 e 24), ma non se ne conosce alcun ms. In nota al I il R. scrive: «Il marito della du chessa Serbelloni Ottoboni, uomo burbero, erasi per capriccio diviso di stanza dalla moglie. Parini, scrivendogli questo scherzo, gli tolse di capo il malumore».
III-IV. Si trovano nel ms. ambr. II 2 aut. Non si ha notizia dell’abate Recalcati di cui si parla nel IV.
V-VI. Che il V si riferisca alla nota poetessa Lesbia Cidonia (1746-1801) appare dal primo verso, e anche dal titolo che gli dá il R. (Ili, 244). Il VI non ha titolo, ma non è improbabile che si riferisca alla stessa persona. — Si trovano rispettivamente nei mss. ambr. II 1 e 4 aut.
VII. Si trova in II 1 aut. Che sia indirizzato a Pietro Martini (1738-1797) appare dal titolo che gli dá il R. (Ili, 243).
VIII. Se ne hanno due trascrizioni nel ms. ambr. II1, una delle quali pare autografa. L’altra ha il titolo: «Contro il curato Rusnati scrittore di cattive odi alcaiche latine», e in margine:
«del Parini, datomi dal Pedrazzini». In fine poi l’annotatore av verte che O dea cicala è anagramma di ode alcaica. Tra le carte ambr. si trovano varie alcaiche latine di Natale Rusnati.
IX. È nel ms. ambr. II 2, e non pare aut. Non si hanno no tizie del Ronna.
X. Fu pubblicato a Milano, nel 1780, nella raccolta in morte di Domenico Balestrieri, insieme col sonetto Sta flutta milanesa.
(p. 265 di questo voi.). Si trova anche nei mss. III 5 e 8 e Mor.
XI. È nel ms. ambr. III 8, col titolo «All’improvviso». È dub bio che sia del Parini.
XII. Si trova, aut., sotto un ritratto del P. riprodotto in al cune edizioni Barbèra. (Cfr. Mazz., 543).
XIII. È nel ms. ambr. II 3 aut.
XII
TRADUZIONI
1. Da La Colombiade, poema di Madame Du Boccage, tradotto dal francese in Milano. In Milano, nella stamperia di Giuseppe Marelli, 1771. Con licenza de’superiori. — L’originale francese era stato pubblicato a Parigi nel 1756.
Nella Introduzione si avverte che «la presente traduzione fu fatta da alcuni accademici Trasformati in Milano, tredici anni or sono, nel tempo del viaggio di madame Du Boccage in Italia... Il ritardo della stampa è provenuto da varie ragioni. I nomi dei traduttori sono i seguenti: del canto I conte N. N., tra gli arcadi Midonte Priamedeo [e cioè Pietro Verri]; del c. II, ab. Pier Dome nico Soresi; del c. Ili, D. Francesco Fogliazzi, r. avvocato fiscale; del c. IV, D. Giuseppe Casati, re d’armi presso S. M. I. R. A.; del c. V, D. Francesco Tommaso Manfredi, accademico Apatista, tra gli arcadi Cinisto Calcidico; del c. VII, conte D. Niccolò Visconti, ciamberlano delle LL. MM. II. e R. A., regio professore di diritto pubblico in Milano; del c. VII, p. Giuseppe Pozzi della Compagnia di Gesú; del c. VIII, D. Giulio Piombanti; del c. IX, abate Giu seppe Parini, regio professore di Eloquenza in Milano, e p. D. Francesc’Antonio Mainoni barnabita; del c. X, conte D. Giorgio Giulini. — Il c. IX com. a p. 191 e va fino a p. 215; seguono delle note fino a p. 226. In principio della p. 209 una nota avverte che com. la traduzione del p. Mainoni. Qui si riferisce solo la parte del c. IX tradotta dal Parini, comprese le note relative che sono anch’esse traduzione dall’originale francese. Il fatto che la tradu zione pariniana non arriva sino alla fine del c. IX, e che essa, evidentemente, non ha ricevuto le ultime cure del traduttore (tanto che il v. 223 è rimasto di sole sette sillabe, e anche il v. 511 ci appare difettoso), ci fa pensare che il P., per chi sa quale ragione, abbia lasciato interrotta la parte di lavoro affida tagli (cosi che fu poi incaricato di condurla a termine il p. Mai noni), non curandosi neppure di rivedere le bozze di stampa. Ciò spiegherebbe, non solo la evidente trascuratezza della traduzione, ma anche la scorrezione della stampa. Quanto alla traduzione delle note, tutto fa credere che non sia opera del P.
II. I frammenti di traduzioni da Orazio si trovano nel ms.
ambr. II i aut. Il R. li pubblicò in parte (III, 191-194), e tosto
l’abate Francesco Venino (di Varenna sul lago di Como, 1737 1820) rivendicò come suoi i frammenti di traduzioni delle odi.
Il R. gli rispose dicendo che erano invece opera certa del P., perché si trovavano in un ms. autografo del poeta, insieme con frammenti di satire d’Orazio non tradotte dal Venino; e aggiunse che il P. aveva bensí visto e corretto da capo a fondo le tradu zioni di Orazio fatte dal Venino; ma dopo avere, per proprio esercizio, tradotte parecchie odi del venosino, tra cui anche quelle da lui fatte conoscere nella edizione delle Opere. Tuttavia il Ve nino insistè nella sua rivendicazione; e allora il R. confermò che si trattava proprio di lavoro del P. Si v. però A. Foresti (Una fonte di metri per il P., nel Mar zocco del 30 ottobre 1921), il quale crede che effettivamente il P. abbia solo ricopiato alcuni versi della traduzione del Venino, per ché gli piacquero i metri che poi, in parte, riprodusse nelle sue ultime odi (cfr. pure II Marzocco del 19 maggio 1929, «Spigo lando nel Marzocco»). In ogni caso resterebbe del P. la traduzione di un frammento della satira I, ix di Orazio, che nel ms. ci si presenta con cancellature e correzioni pure di mano del poeta.
E. Bellorini.