Poesie (Parini)/VII. Odi/III. Alla duchessa Serbelloni Ottoboni

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III. Alla duchessa Serbelloni Ottoboni

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III. Alla duchessa Serbelloni Ottoboni
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III

ALLA DUCHESSA SERBELLONI OTTOBONI

Spesso de’ malinconici sapienti
mi risi entro al mio core,
duchessa, allor ch’io li vedea pensosi,
e con ciglia dolenti,
5incrociando le palme accusar l’ore
de’ nostr’anni affannosi
e gridar: — Nessun ben sperar non osi
qualunque è nato ad abitar quest’orbe
che de’ mondi migliori
10cure, affanni e dolori,
quasi sentina universale, assorbe;
e in cui solo al meschin uom la sventura
dal nascere al morir la via misura. —
Folli, che da sé stessi a sé formáro
15durevole tormento,
e i pasciuti di duol tetri e ferali
occhi mai non alzáro
in viso a la speranza un sol momento,
che con verdissim’ali
20venia da lunge diradando i mali!
Anzi, mirando ognor veste e divisa
mutarsi all’emisfero,
e a gli uomini pensiero,
e voglie alli animai, sol essi, in guisa
25d’eneo colosso, stabile la pena
piantar nel mezzo a si volubil scena.
Qualor vid’io la dura alpina vetta,
bianca d’orribil gelo,
assiderar lo spettator lontano,

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30dissi a me stesso: — Aspetta,
e vedrai tosto al piú tiepido cielo,
sciolto di mano in mano,
scender quel freddo smalto all’oceano. —
E qualor vidi spaventose nubi
35tòme improvviso il giorno,
e folgorando intorno
ir minacciando grandine che rubi
il rustico sudor, mi confortai
dicendo: — Il sol, non andrá molto, avrai. —
40Chi osato avrebbe, in que’ si neri giorni
ch’ora spargi d’obblio,
a te predir, duchessa, ora piú lieta
e dir: — Eia che ritorni
pace al tuo core; e dominar men rio
45vedremo un di pianeta
sul viver tuo c’ha il disperar per mèta? —
lo si lieti presagi avea per certo
formati entro al mio seno;
e tempo piú sereno
50scorgea per entro all’avvenire aperto,
non giá qual Febo all’ebbra mente nostra,
ma qual ragione a’ suoi seguaci il mostra.
Come fermo e costante in contro agli urti
di fortuna rubella
55lungamente reggesti il petto e l’alma!
con quai nobili furti
togliesti a gli occhi altrui la tua procella,
e mostrasti la calma,
doppia ottenendo dal combatter palma!
60E la virtude istessa il tuo mal fea
a te gustar piú lento,
e dell’ermo tormento
nessuno a parte col tuo cor volea:
però che le tue pene e i danni tui
65le parean minor mal che l’onta altrui.