Poesie della contessa Paolina Secco-Suardo Grismondi/Di sua eccellenza don Baldassare Odescalchi

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Baldassarre Odescalchi (1748-1810)

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Di sua eccellenza don Baldassare Odescalchi
Lesbia a suoi versi Lesbia Cidonia a Palide Lidio

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DI SUA ECCELLENZA

DUCA DI CERI

TRA GLI ARCADI PALIDE LIDIO

A LESBIA CIDONIA


CANZONE1


Lesbo andò lieto un giorno
     D’una gentil Donzella
     Ch’oltre il costume bella
     Non pur cogli occhi accese i cuori intorno;
     Ma l’Apollinea cetra
     Trattò con mano ardita,
     E udìr la terra e l’etra
     Del novo canto l’armonìa gradita;
     La sua beltade e i carmi
     Del tempo vinser l’empio dente e l’armi.

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Pur un Garzon crudele
     Alto piagolle il core
     Nume spietato Amore,
     Ond’ella sparse ognor vane querele;
     Saffo nel tristo canto
     Del suo Faon si dolse;
     Ma coll’inutil pianto
     Il cuor ferigno unqua a pietà non volse.
     Il Mar Leucadio asconde
     L’inutil cetra e il bei corpo nell’onde.

Gli antichi tristi esempj
     Euterpe a che rammenti?
     Vano è cercar portenti
     Di beltà di valor ne’ prischi tempi;
     Più delle gemme e l’auro
     Oggi fra noi s’onora
     Serto di verde lauro,
     E al crin lo cinge il molle sesso ancora:
     E tu Bergamo il sai
     Che di Lesbia ne’ carmi eterno andrai.

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Di Lesbia il dolce viso
     Ne’ petti a mille a mille
     Desta d’amor faville,
     E il Ciel serena al lampeggiar d’un riso.
     Non v’ha Faon sì crudo
     Che a que’ possenti strali
     Faccia or del petto scudo,
     Ch’Ella piaga gli Dei non che i mortali;
     E lieto benedice
     Di Lesbia i ceppi il prigionier felice.

Lesbia le ardite penne
     Spiegando a nobil volo
     Alto poggiò dal suolo,
     E di Pindo alle cime ardue pervenne;
     Colà fra i sacri boschi
     Dei sempre verdi allori
     Sciolse i bei modi Toschi,
     E delle Ninfe Ascree si aggiunse ai cori.
     In l’Eliconio speco
     Le sole rime su£ ripete or l’eco.

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Gl’Itali Cigni eletti
     Che d’Ippocrene in riva
     All’armonìa giuliva
     Della mente sposar gli alti concetti,
     Volgon sorpresi il guardo
     A Lei che alt’orme imprime,
     E posa il piè non tardo
     Sulle vietate spaventose cime,
     Vincendo l’ardua impresa
     Al più maschio valor spesso contesa.

Di Lesbia o dotti amici,
     Cui fu dal Ciel concesso
     Bearvi a Lei d’appresso,
     E udendo i carmi suoi trar dì felici,
     Invidiarvi io deggio,
     Che in questa ingrata Terra
     Splender da lunge io veggio
     L’ingegno ond’Ella al tempo rio fa guerra,
     Odo i suoi detti e i versi;
     Ma vietan ch’io la vegga i fati avversi.

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Se il tuo gran cor ti guida
     Donna in lontane parti
     L’opre a mirar dell’Arti
     Cui l’onor degli Eroi virtude affida;
     Prima ti volgi a Roma
     Che fra le sue ruine
     Distrutta sì, non doma
     Primeggia ancor fra le città reine,
     E le dovizie altrui
     Oscura allo splendor de’ pregi sui.

Qui la superba fronte
     Sollevan moli altere
     Che al tardo passeggiare
     Del vinto mondo ancor ricordali l’onte.
     Qui sull’immobil Trono
     Religïone augusta
     Sparge di Fede il dono
     Dal Baltico alla nera Affrica adusta,
     E la possente destra
     Distende ai figli suoi donna e maestra.

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Della serena pace
     Il volto ognor qui ride,
     E ai sacri ingegni arride,
     Nè turba gli ozj lor di Marie face.
     Qui le tranquille Muse
     Sciolgon soavi i canti,
     Natura qui dischiuse
     A mille saggi i suoi celati incanti.
     Sola tu Roma or serbi
     Premio a Virtù ne’ tristi giorni acerbi.

Note

  1. [p. 231 modifica]Questa Canzone del Duca di Ceri essendo già stata pubblicata insieme colle seguenti Terzine di Lesbia, colle quali ha molta relazione, si è creduto essere cosa convenevole unirla ancora in questa edizione.