Poesie della contessa Paolina Secco-Suardo Grismondi/Lesbia a suoi versi

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Lesbia a suoi versi

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A Polidete Di sua eccellenza don Baldassare Odescalchi

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LESBIA

A SUOI VERSI


Dolce stagion, che questi colli, e queste
     Piagge, cui sol tenea poc’anzi il mesto
     Orror del verno, a rallegrar ten riedi,
     E di nuove bellezze, e di novella
     5Ridente luce le cospergi, e indori,
     Il garrir degli augei, dell’aura dolce
     Il sussurar, il mormorìo dell’onda,
     Che con libero piè discorre, tutto
     Me chiama al canto, e a salutarti invita.
     10E tu cetra, che fosti ognor fedele
     Ne’ dì torbidi e avversi a me compagna,
     E che talvolta ancor ne’ mali miei
     Flebil suono destasti a pianger meco,
     Ben è ragion, che que’ dolenti e mesti
     15Tuoi modi ora lasciando, a più soavi
     Oggi ti accordi e più leggiadri accenti.
     Diletta cetra! e voi carmi a me sempre

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     D’un giocondo piacer sarete obbietto,
     O mi arrida la sorte amica, o segno
     20Mi voglia a crudi angosciosi affanni.
     Qual giorno v’ha sì nubiloso e tetro,
     Qual v’ha sì mesta erma contrada, ov’io,
     Qualor dintorno a me spiegate i vanni,
     Mille scherzar non veggia in ogni parte
     25Festosi Genj, e seco il riso, e il gioco?
     Voi mi seguiste infìn su l’ardue cime
     Del Monsenì gelato, e il fiero aspetto
     Di quell'Alpi canute, e il rischio stesso
     Mi rendeste soave, e non temeste
     30A sì immenso spettacolo commossi
     L’Eco destar, che là si asconde in quelle
     Alte paurose rupi, al mugghiar roco
     Di furenti Aquilon soltanto usate.
     Ma qual, vostra mercede, a me si aperse
     35Scena di gioja allor che oltre le ricche
     E sì care al commercio industri rive
     Del Rodano varcai, e là men corsi
     Ove lambendo un regio suol discende
     “Di Parigi al rumor muta la Senna!”
     40Ben mi rimembra, e la cortese voce
     Ascolto ancora, e gli atti umani io veggio,
     Co’ quai Buffon vi accolse, egli, che tutti
     Di Natura i tesor scoprendo, omai

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     De l’Italico Plinio offusca U nome,
     45A voi La Lande a penetrare avvezzo
     Con occhio indagator le vie del Cielo
     A mortali vietate, a voi Le Mierre
     Caro alle Grazie, e delle Muse alunno,
     A voi tanti altri, a cui Febo le chiome
     50Cinse di eterni allor, fer plauso e festa.
     Non fia però, che ad aura lusinghiera
     Di troppo dolce gloria io le mie penne
     Non ben sicure affidi, e per voi creda
     Di tanti illustri Eroi levarmi a paro,
     55O ch’io speri con lor, malgrado a morte
     Alle remote età mandare il nome.
     Allor che morte avrà chiusi quest’occhi,
     E che nel sen di un taciturno avello
     Starà il mio freddo cenere, con esso
     60Giaccia oscuro il mio nome, e su di voi
     Stendasi pure, o versi, eterno obblìo.
     Se voi cari sarete infin ch’io viva
     A fidi amici miei, se a lor saprete
     Molcer l’orecchio, e intenerirne il core,
     65Assai paga sarò. V’oda cortese,
     E qual soleva un giorno a voi sorrida
     Il mio caro Pompei, che là sul margo
     Dell’Adige tremprar gode la cetra
     Dolce sì, che dell’onde uscendo fuori

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     70Quelle Ninfe talor credon rinati
     Il Fracastoro udir, o il lor Catullo.
     Il primo ei fu che voi timidi ancora
     Ed inesperti accolse, e ardir vi diede
     Sicchè movendo fuor de’ patrj boschi,
     75Che sol vi udìan talor, giunger poteste
     Poscia a mercarmi anche in estranie terre
     Di non ignobil pastorella il vanto.
     Ei di plausi onorovvi, e in mille scorze
     Di verdeggianti allori Egli v’incise,
     80E voi del favor suo grati o miei versi
     Dovreste ognora rammentarne il nome.