Prose (Foscolo)/VIII. Scritti vari dal 1805 al 1806/IV. Sul Commentario della battaglia di Marengo scritto dal generale Alessandro Berthier/Parte prima

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IV. Sul Commentario della battaglia di Marengo scritto dal generale Alessandro Berthier - Parte prima

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VIII. Scritti vari dal 1805 al 1806 - IV. Sul Commentario della battaglia di Marengo scritto dal generale Alessandro Berthier VIII. Scritti vari dal 1805 al 1806 - Parte seconda

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PARTE PRIMA

Eleggevasi primo consolo Bonaparte, e Cuneo intanto, estrema piazza in Italia, cadeva. I nostri posti ripiegati sulle vette dell’Alpi; né un palmo di terreno, né una sola piazza piú nostra in Italia; tutta Alemagna sgombra; le armi nostre sulla difesa alla sinistra sponda del Reno; l’inimico dappertutto fortissimo; e, se prospere imprese lo conducevano ne’ Voghesi o sulla Schelda, sarebbero risultati funestissimi effetti alla deplorabile condizione delle cose nostre.

Vide Bonaparte che, prima di ricuperare P Italia, era pur forza di assicurare il Belgio e i dipartimenti aggregati.

L’imperatore di Germania poteva appigliarsi a due partiti, e in amendue doveva provvedere a tutti gli avvenimenti. Riunire le sue principali forze nella Svevia e sul Reno, presentarsi su questo fiume con cento e sessantamila uomini; e, riportati i primi vantaggi, concertarsi con un esercito inglese, sbarcato in Olanda o nel Belgio. Le schiere austriache in Italia, rinforzate, starsi ferme sul Po, parate a rispondere nella pianura a’ francesi, i quali non potevano scendere se non con poca cavalleria e con artiglierie male equipaggiate.

Secondo partito della corte di Vienna si era di stare nell’Alemagna sulle difese; mandare addosso a Genova un esercito potente, indi sul Varo; campeggiare la Provenza; concertare le operazioni con quindicimila inglesi accampati da alcun tempo a Maone; e giovarsi delle sommosse degli scioanni, che nella Francia meridionale cominciavano a risentirsi.

Il primo disegno di campagna minacciava assai piú; quindi Bonaparte convocò sul Reno centoquarantamila combattenti, formando ad un tempo nella Borgogna, alle spalle di questo esercito, un altro di riserva; e lasciò stanziare sui monti liguri le reliquie dell’esercito d’Italia di circa trentamila uomini.

Da tali disposi/ioni apparirà che, qualunque si fosse la mente dell’inimico, la Francia si era premunita a fargli sempre fronte. [p. 214 modifica]

Se l’Austria si appigliava al primo disegno di campagna. Bonaparte accorreva con l’esercito di riserva verso quel del Reno, che allora ascendeva a centosessantamila uomini, opponendo cosí le sue forze maggiori alle maggiori forze nemiche.

Se invece il gabinetto di Vienna adottava il secondo progetto di campagna, le nostre armi sul Reno diventavano superiori agli austriaci.

Ove l’Austria avesse avanzate sul Genovesato le forze principali, Bonaparte avrebbe varcate le alpi con l’esercito di riserva, preoccupato il Po, per prendere il nimico alle spalle, predargli i magazzini e attraversargli la ritirata.

Di questi partiti l’Austria adotta il secondo, e porta il piú forte esercito in Italia. Melas comincia la ostilità; supera la Bocchetta, e si affaccia ad un tempo a Genova ed a Savona.

L’esercito francese sul Reno si prevale della sua superiorità: generali ed ufficiali si segnalarono per valore di braccio e d’ingegno, e riportarono illustri vittorie nella Svevia.

Intanto Melas era sul Varo; tutto lo Stato di Genova conquistato; la Provenza risonava di spavento; Marsiglia. Tolone stesso, credevansi in repentaglio.

Ed ora appunto l’esercito di riserva sta per sormontare le alpi del San Bernardo e preoccupare alle spalle tutta l’Italia; combinazioni ampie e profonde, ideate da lontano con tutta tranquillità ed eseguite con maestria pari all’audacia.

I mezzi tutti erano già preordinati da gran tempo; due milioni di porzioni di biscotto, allestite otto settimane addietro in Lione, si vociferavano destinate per Tolone.

Tutto ciò, che doveva ingannare Melas intorno ai nostri progetti, era già antiveduto.

Non si fanno movimenti, non mostra di soldato, né in Val Morienna né in Val Tarantese.

I confini del Delfínato non accennavano veruno apparecchio.

L’esercito di riserva, tanto preconizzato, supponeasi adunato in Digione, ove Bonaparte si recò, seguito da molti esploratori del nemico, che pur non vedono in questa grande rassegna piú di tre o quattromila soldati; ond’è naturale che tutti [p. 215 modifica] i ragguagli giunti d’ogni lato intorno ai deboli armamenti dei francesi abbiano illuso Melas e la corte di Vienna. Sfilavano intanto i reggimenti a grandi giornate: le divisioni formavansi per viaggio e si riunivano con marce concertate, mentre erano raggiunte da coscritti inviati a rifornire i corpi che le componevano: cosí parimente si dispongono le artiglierie e tutte le aziende di guerra; tutto con pari secreto, tutto mosso a un solo segnale. I biscotti ed i magazzini non sono trasportati a Ginevra se non nel punto che vi compariva la vanguardia.

Quando Melas investí Genova, volle, prima di estendersi verso il Varo, premunirsi di nuovo contro gli allestimenti vociferati de’ francesi. Fece investire Monte Cenisio; e, venendogli riferito che per quattro mesi ogn’intrapresa ci sarebbe stata impossibile, perché non avevamo né magazzini né numero imponente di esercito, stimò di non alterare per nulla il suo progetto, ed andò a Nizza.

Avvertito pertanto che le armi francesi apparivano sulle alpi del San Bernardo, le credè quei tre o quattromila comparsi alla rassegna di Digione, i quali gli s’inviassero per rimuoverlo dall’assedio di Genova, come sei mesi addietro un generale francese avea varcate appunto quelle alpi per distôrlo da Cuneo: stratagemma di diversioni usitatissimo di guerra; onde parve a Melas di mostrare vero carattere di capitano rimanendosi immutabile ne’ suoi primi divisamenti. Difatti dovea egli presumere che Bonaparte volesse entrare in Italia, anteponendo il Gran San Bernardo al Monte Cenisio, impacciandosi in valli piú ardue e destituite d’ogni sussidio? e che d’altronde potesse spianarsi a un tratto l’inciampo del forte di Bard, che doveva per piú giorni indugiarlo?

Vide Bonaparte che la sua presenza poteva sola svelare la sua mente, e macchinò ogni cosa onde persuadere ch’ei dimorerebbe a Ginevra: visitò egli medesimo molte ville: tutti gli esibivano a gara le loro case; e la Svizzera accreditava sí fatte novelle. Fece vociferare, alcuni dí dopo, che una sommossa scoppiata in Parigi sforzavalo a tornare alla capitale: egli intanto era oltre il Gran San Bernardo. [p. 216 modifica]

Né qui diremo degl’ingegni operati per trasportare le artiglierie, né dell’audacia con cui ci siamo schermiti del forte di Bard, né della scalata a quello d’Ivrea, né del combattimento della Chiusella: diremo soltanto che a’ 7 pratile Bonaparte era in Ivrea.

Tutti argomentarono che, valendosi della vittoria della Chiusella, avrebbe marciato per unirsi a’ duemilacinquecento uomini, recentemente adunati dal generale Turreau nelle città del Delfinato, e co’ quali egli aveva presa la volta di Susa, sforzando il passo di Cabrières; il che avria recato a Bonaparte il vantaggio di spalleggiarsi delle piazze e delle strette di Monte Bianco. Ma egli aveva disegno più ampio e decisivo.

La divisione del generale Murat, che era retroguardia, diventa a un tratto vanguardia: passa la Sesia ed il Ticino, ed entra in Milano, ove Bonaparte giunge ai 12 pratile. E tanta era la celerità dei movimenti, che da quarantott’ore appena gli abitanti udivano parlare dell’esercito di riserva e del passaggio delle alpi.

La vanguardia abbandona la Chiusella, passa la Dora, diventa retroguardia, traversa la Sesia e ghiugne a Pavia, dove toglie al nemico un parco d’artiglieria da campo.

In questo tempo era comandato a una divisione, capitanata dal generale Moncey, di tragittare il San Gottardo: giunta la sua vanguardia in Milano, il corpo del generale Murat passa il Po a Piacenza, mentre l’esercito lo varcava a Stradella, ove un grande equipaggio d’artiglierie nemiche fu per essere preso.

Intanto Melas accorreva a gran corsa a Torino; né si dubitava piú omai della esistenza dell’esercito di riserva e della presenza di Bonaparte, ravvisato da molti uffiziali austriaci.

Il generale Massena capitolava appunto a Genova il dí pratile (4 giugno 1800).

E qui principalmente giova di accompagnare sulla carta lo svolgimento delle idee di Bonaparte, ora che il risultato n’è imminente.

Non s’era egli prefisso di sconfiggere soltanto il nimico, ma di tagliargli la ritirata e di stringerlo a una capitolazione [p. 217 modifica] che l’obbligasse di restituire in una volta tutte le fortezze d’Italia; progetto ardito, e piú assai contro un nimico piú forte in numero.

Non sí tosto il corpo del generale Lannes passa il Po (17 pratile), che Bonaparte gli ordina d’impadronirsi della posizione di Montebello, e lo fa sostenere da una divisione. Si viene a un insigne fatto d’armi: il generale Ott, con diciottomila soldati vegnenti da Genova, assale il generale Lannes, che lo rimanda interamente disfatto nella giornata gloriosa di Montebello. Il generale Ott riordina a stento la metà del suo corpo sotto le mura di Tortona.