Prose della volgar lingua/Libro terzo/III
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- Quello, che io a dirvi ho preso, è, messer Ercole, se io dirittamente stimo, la particolare forma e stato della fiorentina lingua, e di ciò che a voi, che italiano siete, a parlar toscanamente fa mestiero; la qual somma, perciò che nelle altre lingue in piú parti si suole dividere, di loro in questa, partitamente e anco non partitamente, sí come ad uopo mi verrà, vi ragionerò. E per incominciar dal Nome, dico che, sí come nella maggior parte delle altre lingue della Italia, cosí eziandio in quella della città mia, i nomi in alcuna delle vocali terminano e finiscono sempre; sí come naturalmente fanno ancora tutte le toscane voci, da alcune pochissime in fuori. E questi nomi altro che di due generi non sono: del maschio e della femina. Quello che da’ Latini neutro è detto, ella partitamente non ha; sí come non hanno eziandio le altre volgari, e come si vede la lingua degli Ebrei non avere, e come si legge che non avea quella de’ Cartaginesi negli antichi tempi altresí. Usa tuttavia gli due, nella guisa che poi si dirà, e di loro se ne serve in quella vece. Ne’ maschi il numero del meno piú fini suole avere. Perciò che egli e nella O termina, che è nondimeno comunemente fine delle altre lingue volgari, e nella I, che proprio fine è della toscana in alquante di quelle voci, che nomi propriamente si chiamano, Neri Geri Rinieri e simili. Perciò che quelli delle famiglie che cosí finiscono, Elisei Cavalcanti Buondelmonti, sono tolti dal numero del piú e non da quello del meno. Termina eziandio nella E, nella quale, tra gli altri generalmente hanno fine que’ nomi, che o maschi o di femina o pure neutri che essi siano, nel secondo loro caso d’una sillaba crescono nel latino, Amore Onore Vergine Margine e questo, che io Genere novellamente chiamo, e somiglianti. Il qual fine, quantunque ragionevolmente cosí termini, perciò che usandosi volgarmente una sola forma e qualità per tutti i casi, meglio fu il pigliar quel fine che a piú casi serve nel latino, che quello che serve a meno, nientedimanco hanno gli scrittori alcuna volta usato eziandio il fine del primo caso; sí come fe’ Dante che disse Grando, e il Petrarca che disse Pondo e altre, e il Boccaccio che Spirante turbo disse. Oltra che s’è alcuna volta detto Imago e Image da’ migliori poeti. Ma tornando alle voci del maschio, egli termina nella E ancora molto toscanamente in molti di que’ nomi, li quali comunemente parlandosi nella O finiscono, Pensiere Sentiere Destriere Cavaliere Cinghiare Scolare e somiglianti. Termina ultimatamente ancora nella A, che tuttavia, fuori solamente alcuni pochissimi, è fine di nomi piú tosto d’uffici o d’arti o di famiglie, o per altro accidente sopraposti, che altro. Quantunque a questo nome d’ufficio, che si dice Podestà, diede il Boccaccio l’articolo della femina, quando e’ disse: Giudice della Podésta di Forlimpopoli, sí come gli aveano altri toscani prosatori dato avanti allui; e posegli oltre acciò l’accento sopra la sillaba del mezzo, imitando in questo non pure altri scrittori, ma Dante ancora, che fe’ nel suo Inferno:
Quando verrà lor nemica podésta.
Nella U niuno toscano nome termina, fuori che Tu e Gru; la qual voce cosí si dice nel numero del piú, come in quello del meno, la Gru le Gru. La Virtú e le Virtú, che si dicono, e dell’altre, non sono voci compiute. Ma tuttavolta, in qualunque delle vocali cada il numero del meno nelle voci del maschio, quello del piú sempre in I cade -.