Puerili (Leopardi)/Epistola di Francesco Petrarca al cardinale Colonna
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EPISTOLA DI FRANCESCO PETRARCA
AL CARDINAL GIOVANNI COLONNA
(Impia mors)
— Quante volte per te, spietata Morte,
stancar gli occhi e lo stil, quante degg'io
mescer lagrime ai versi e versi al pianto!
Oh prole umana! oh, sovra tutte acerba
5sorte di un viver lungo! i volti esangui
de'cari tuoi veder tra'sassi; il crine
lacerar tante volte, il crin caduco,
e vedova condur l'ultima state,
lungamente morendo. Ornai che resta
10che le luci mi chiudi e mi sotterri,
Morte crudel, se tu non cessi? Ed era
questo dunque il mio fato? a tutti i miei
sopravvivere io tristo, e non potermi
consumare il dolor? Magione illustre,
15ahi! ahi! (torniamo ai consueti accenti)
or magione infelice, or tante volte
funestata da morte! Oh pura, oh dolce
fraterna fede, alme fraterne! Oh padre
misero veramente, e voi sorelle
20abbandonate! Or che sospiri e pianti
a le assidue rovine, or che querela
ila pari al danno? Inclita in arme, altèra
stirpe de'Colonnesi; a le minacce
del cielo immota, imperturbata al colpo
25del fulmine di Giove, e non oppressa
da bilustre procella; onor di Roma
in guerra, in pace, e principal suo vanto
fosti alcun tempo; a' buoni aita e schermo,
e terror de' superbi. A poco a poco
30or ti dilegui: in sul volubil fuso,
crudelmente affrettando, a morte oscura
precipitan le Parche i giovanili
stami de' tuoi. Questo al valor, quest'era
il fin dovuto a l'alte imprese, a tanti
35gloriosi tuoi gesti; onde risuona
il tuo nome e la fama in ogni piaggia? —
Così, mescendo a le parole il pianto
e sospirando, io mi doleva. Ed ecco,
non so come, dal ciel per lo sereno
40aere discesa, mi feria l'orecchio
una voce, e dicea: — Contro le stelle
perché mormori invan? Giovani e vecchi
miete del par la morte: ordine e freno,
che lei stringa, non è. L'eterne leggi
45franger presumeresti? o pur non sai
come le triste fila or tragge or taglia
a suo piacer la Parca, ed ora allunga;
né modo ell'ha, né cessa mai? Ne'rischi
estremi, in sul perir, l'arme non gitta
50il guerrier generoso. Intanto stringe
buon nocchiero il timon fra la procella;
né si scolora che per l'acqua sparsi
vede gli alberi e i remi; e lui ben puote
l'onda ingoiar, non atterrire. Al primo
55apparir de' nimici, altri le spalle
danno in trepida fuga; ed altri agghiaccia
un leve mormorar d'austro che sorge,
e de le corde il sibilo sottile
in tempesta nascente. A questi arreca
60essa viltà vili perigli. Al forte
un magnanimo fin diedero i fati.
Tu, di Fortuna al dardeggiar, si tosto
il valor perdi? e de la vita ai flutti
lasci, per picciol vento, il legno in preda?
65arme non hai se non il pianto? indarno
ti fien gli studi, e le trattate carte?
Non in pace il gagliardo, e non s'estima
il nocchier ne la calma: infra i perigli
arte e virtù rifulge. Error non d'uomo,
70ma di fanciul, cose mortali e brevi
stimare eterne. Indi, cadute, il duolo
v'accora e vi consuma: obblio vi prende
e sconoscenza del passato; il bene
che Fortuna vi die' (pur questo solo
75dovria parervi assai), ch'essa il ritoglia
parvi gran torto. Ora il tesor, che in mano
altri ti fida, o tu riceva o renda,
un volto istesso aver conviensi. E poscia
che incerta è l'ora, esser tuttora in pronto
80al cenno di colei, che ridimanda
quel che prestato avrà. —