Racconti (Hoffmann)/Il vaso d'oro/Veglia VI

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Veglia VI

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E. T. A. Hoffmann - Racconti fantastici (1814)
Traduzione dal tedesco di E. B. (1835)
Veglia VI
Il vaso d'oro - Veglia V Il vaso d'oro - Veglia VII
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VEGLIA VI

Il giardino dell’archivista Lindhorst, e alcuni uccelli beffardi. — Il vaso d’oro. — Carattere inglese. — Zampe di mosca. — Il re dei Genii.

Può anche essere, disse lo studente Anselmo, parlando a sè stesso, che il liquore stomatico sopraffino che bevetti con tanta avidità presso il signor Corradi abbia prodotte nella mia testa tutte quelle pazze visioni che mi hanno, spaventato davanti alla porta della casa dell’archivista Lindhorst. È per questo che io non ne beverò una goccia quest’oggi, e sfiderò arditamente tutti gli ostacoli che si troveranno sulla mia strada. [p. 82 modifica]

Come la prima volta ch’ei si preparava a visitare l’archivista, egli mise nella sua saccoccia i suoi disegni a penna, i suoi capi d’opera di calligrafia, i suoi pezzi d’inchiostro della China e le sue penne di corvo, temperate con molta cura, e già egli apriva la porta per uscire quando vide il fiaschetto d’acqua gialla datogli dall’archivista Lindhorst. Tutte le avventure sorprendenti che gli erano arrivate si presentarono in folla al suo spirito, e un sentimento indefinibile di piacere e di dolore lacerava la sua anima. “Non è egli dunque, ahimè! soltanto per vederti, amabile Serpentina, ch’io vado presso l’archivista?” — Gli sembrava in quel momento che l’amore di Serpentina potrebbe essere il premio di un lavoro difficile e pericoloso ch’egli doveva intraprendere, e questo lavoro non era poca cosa, poichè non si trattava di niente meno che di copiare i manoscritti dell’archivista Lindhorst.

Egli non dubitava che al suo entrare nella casa, e forse nella strada non gli accadessero mille stranezze. Egli non pensò più al liquore stomatico di Corradi e mise prontamente l’acqua gialla [p. 83 modifica]nella sua saccoccia, per condursi intieramente secondo le istruzioni dell’archivista, se la mercantessa di pomi dalla faccia di bronzo pensasse di fargli qualche versaccio. E in effetto non vide egli il ricurvo di lei naso allungarsi, e quegli occhi di gatto fiammeggiare nel battitojo quando, allo scocco del mezzogiorno, egli volle portarvi la mano! — Allora senza pensar di più egli gettò il liquore sopra quella sciaurata figura che si appianò sul momento, e divenne un pezzo di metallo levigato e brillante, e la porta si aprì; i campanelli risonarono aggradevolmente in tutta la casa; drelin, drelin: — il mio cugin Cherubin, — è divin, — divin; il mio cugin — drelin, drelin. — Egli salì tutto consolato la larga e bella scala che si trovava davanti a lui, e si inebbriò dello strano profumo del quale la casa era ripiena. Arrivato nel vestibolo, egli si arrestò incerto, tante porte di lavoro maraviglioso si presentavano a lui che egli non sapeva a quale battere; allora comparve l’archivista Lindhorst in un’ampia veste da camera di damasco, e gli gridò: “In fede mia, io sono molto contento, signor Anselmo, che voi mi [p. 84 modifica]abbiate in fine mantenuta la vostra parola; compiacetevi di seguirmi, poichè devo condurvi senza ritardo nel vostro laboratorio.” Egli attraversò rapidamente il vestibolo, ed aprì una piccola porta laterale che conduceva in un corridojo.

Anselmo, tutto allegro, camminava dietro l’archivista, essi passarono dal corridojo in una sala, o piuttosto in una serra meravigliosa; poichè, dalle due parti le mura erano guernite fino al soffitto di piante rare ed anche di grandi alberi coperti di fiori e di foglie singolari. Un chiarore magico ed abbagliante rischiarava la serra senza che si potesse indovinare donde veniva; poichè non si vedeva nessuna finestra. Gettando gli occhi attraverso le piante e gli alberi spessi, lo studente Anselmo credette scorgere degli ampli viali che si prolungavano in lontananza. — Sul cupo fogliame dei cipressi staccavansi dei bacini di marmo sormontati da strane figure che slanciavano dei zampilli di cristallo, e le loro onde romoreggianti ricadevano in gigli dal calice d’argento; strane voci mormoravano e fischiavano in quella foresta [p. 85 modifica]incantata, e lo zefiro conduceva e dissipava ad ogni momento dei soffii di profumi deliziosi. L’archivista era scomparso, ed Anselmo non vide davanti a sè che un cespuglio gigantesco di gigli color di foco. Incantato da quella vista e inebbriato dai dolci profumi di quel giardino di fate, lo studente Anselmo restava immobile. Allora s’innalzò da tutte le parti un riso e un bisbiglio balordo, e piccole voci da flauto dicevano: “Signor studente! da dove venite voi? Perchè vi siete raffazzonato con tanta leggiadrìa, signor Anselmo? — Volete voi chiacchierare con noi? noi vi racconteremo come la nonna schiacciò l’uovo col di dietro, e come il fanciullino ne ebbe una macchia gialla sul suo abito da festa. — Sapete voi già l’aria nuova che vi insegna il papà Staarmatz! — Signor Anselmo! signor Anselmo! voi siete in verità molto ridicolo colla vostra perrucca di vetro ed i vostri stivali colle rivolte di carta sugante!” Quel riso, quel bisbiglio arrivava senza tregua da tutte le parti, e sembrava talvolta innalzarsi vicino allo studente che si accorse soltanto allora che una nuvola di bei piccoli uccelli [p. 86 modifica]volava intorno a lui, e lo inseguiva colle pungenti sue beffe.

In quel momento, il cespuglio di gigli rossi si avanzò verso di lui, ed egli si accorse che era l’archivista Lindhorst, la cui vesta da camera a fiori e a rami rossi e gialli l’aveva in principio abbagliato. “Perdonatemi, diss’egli, caro signor Anselmo, di avervi lasciato solo; ma passando ho voluto vedere il mio bel cactus che deve fiorire questa notte. Ma come trovate voi il mio piccolo giardino!” — “Ah Dio! tutto è qui d’una bellezza al di là d’ogni espressione, onoratissimo signor archivista, riprese, lo studente; ma tutti quei begli uccelli si burlano estremamente della mia disgraziata persona!” — “Che cos’è dunque tutto questo chiacchierìo?” gridò verso il più folto del boschetto l’archivista furioso. Allora un gran pappagallo grigio venne a porsi sopra un ramo di mirto presso l’archivista, e, guardandolo con aria singolarmente grave e seria attraverso agli occhiali che stringevano il suo naso ricurvo, balbettò queste parole: “Non vi incollerite, signor archivista; i miei pazzerelli oggi fanno di nuovo le loro [p. 87 modifica]solite baronate; ma la colpa è del signor studente istesso, poichè....” — “Silenzio! silenzio! gridò l’archivista, vecchio pedagogo; silenzio! io conosco da molto tempo quei bricconcelli, ma voi dovreste tenerli più in rispetto, amico mio! — Andiamo più avanti, signor Anselmo!

L’archivista attraversò ancora molti appartamenti adornati bizzarramente, e lo studente che lo seguiva poteva appena gettare un colpo d’occhio sui mobili preziosi di singolare struttura, e sulle altre curiosità delle quali la casa era piena.

Infine essi entrarono in una gran sala. L’archivista alzò gli occhi e si arrestò; e lo studente Anselmo ebbe tutto il tempo di pascersi del delizioso spettacolo offertogli dall’elegante semplicità del luogo. Lunghesso le tappezzerie turchine sorgeano delle palme col tronco d’oro che gettavano a volta le loro foglie gigantesche, brillanti come smeraldi. In mezzo alla sala riposava sopra tre sfingi egiziane di bronzo oscuro una tavola di porfido e sulla tavola un vaso d’oro di forma semplicissima, dal quale Anselmo, tosto che lo ebbe fissato, non potè più distorre lo sguardo. Mille figure sembra[p. 88 modifica]vano scherzare in riflessi brillanti sulla sua superficie ben levigata e raggiante. Qualche volta ei vi vedeva sè stesso — ahimè — colle braccia stese — sotto il sambuco; — Serpentina saliva e discendeva tra i rami dell’albero, e gli volgeva teneri sguardi. Anselmo non ne poteva più dalla gioia. “Serpentina! — Serpentina!” gridò egli ad alta voce, e l’archivista Lindhorst si voltò rapidamente verso di lui, e gli domandò: “Che dite voi, onoratissimo signor Anselmo? voi vi date la pena, cred’io, di chiamare mia figlia; ma essa è all’estremità della casa, nel suo appartamento, che prende lezione di pianoforte; andiamo più innanzi!” Anselmo quasi senza conoscenza seguì la sua guida; egli non vedeva, non udiva più niente, quando ad un tratto l’archivista gli prese vivamente la mano, e disse: “Eccoci!” Anselmo fu come risvegliato da un sogno, ed osservò che egli si trovava in una camera altissima, i muri della quale erano coperti di libri e di librerie, e che non offriva nessun divario dalle biblioteche e dai gabinetti ordinarj da studio. In mezzo eravi un grande scrittojo e accanto una sedia d’ap[p. 89 modifica]poggio col dorso ripieno di borra. “È qui che voi lavorerete provvisoriamente, disse l’archivista Lindhorst. Io vi condurrò forse un giorno nella biblioteca azzurra dove voi avete così subitaneamente pronunciato il nome di mia figlia; ma vedremo. Però io vorrei convincermi prima della vostra attitudine ad eseguire questo lavoro a norma dei miei desiderj e con tutta la cura voluta dalla sua importanza.”

Lo studente Anselmo riprese interamente coraggio, e non fu senza un interno contento ch’egli cavò dalla saccoccia le sue scritture e i suoi disegni, persuaso che l’archivista resterebbe incantato dei suoi rari talenti; ma appena l’archivista ebbe gettati gli occhi sul primo foglio (era un modello di scrittura inglese del genere più elegante), ch’egli si mise a sorridere con aria singolare, e scosse la testa; fu lo stesso al foglio seguente, tal che il sangue ne saliva al viso del povero Anselmo; e quando infine quel riso divenne, assai beffardo e disdegnoso egli non potè contenere il suo mal umore: “Signor archivista, diss’egli, mi sembra che voi non siate molto sod[p. 90 modifica]disfatto del mio poco talento?” — “Caro signor Anselmo, disse l’archivista Lindhorst, voi avete eccellenti disposizioni per iscrivere bene; ma adesso, io lo vedo, bisogna ch’io conti più sul vostro zelo e sulla vostra buona volontà che sulla vostra destrezza; questo può essere d’altronde una conseguenza delle cattive droghe delle quali vi siete servito.”

Lo studente parlò molto della sua abilità riconosciuta, d’inchiostro della China e di penne di corvo della miglior qualità; allora l’archivista gli presentò il proprio foglio di scrittura inglese, e gli disse! “Giudicate voi stesso!”

Anselmo restò come colpito dal fulmine; tanto la sua scrittura gli parve miserabile in quel momento; nessuna rotondità nei tratti tutte le grossezze, troppo alte o troppo basse, nessun rapporto tra le lettere piccole e le majuscole, infine delle zampe di mosca, degli scarabocchi da scolare sfiguravano linee intere che in principio gli avevano sembrato esser bene, riuscite. “E di più, continuò l’archivista Lindhorst, il vostro inchiostro della China non si attacca [p. 91 modifica]bene.” Egli bagnò il dito in un bicchier d’acqua e passando leggermente sopra qualche lettera egli ne fece scomparire sino alla minima traccia. Sembrava allo studente Anselmo che gli si stringesse la gola con una corda, egli non potè profferire neppure una sola parola: egli era là col suo disgraziato foglio in mano, quando l’archivista gettò un grande scoppio di riso, e disse: non prendetevi tanto dispiacere per sì poca cosa, signor Anselmo, quello che non avete potuto fare sin adesso, lo farete forse qui da me; d’altronde voi troverete qui una fornitura da scrittojo molto migliore di quella della quale vi siete servito; cominciate e prendete coraggio.”

L’archivista andò a pigliare una massa nera fluida, che spargeva un odor particolare, delle penne di colore strano e sommamente aguzze, e un foglio di pergamena di una bianchezza abbagliante; poi egli andò a prendere in un armadio serrato a chiave un manoscritto arabo, e quando Anselmo si mise al lavoro, egli uscì dall’appartamento.

Lo studente Anselmo avea già copiato altre volte della scrittura araba, e questo [p. 92 modifica]primo lavoro non gli sembrò molto difficile. Come mai queste zampe di mosca si sono mischiate alla mia bella scrittura inglese? Ciò è quello che sa soltanto Dio ed il signor archivista Lindhorst!” diss’egli, “ma possa morire se sono di mia mano.”

A misura che le parole si accumulavano felicemente sulla pergamena, egli raddoppiava di coraggio e di destrezza. Infatti si scriveva benissimo con quelle penne, e l’inchiostro misterioso scorreva nero come un corvo sulla pergamena d’una bianchezza abbagliante. Mentre egli lavorava così con zelo ed attenzione, ci trovava sempre più piacere nella solitudine di quel luogo, ed avea già preso gusto a quel lavoro ch’egli sperava di terminar felicemente, quando, al battere delle tre, l’archivista lo chiamò nella camera vicina, ove il pranzo era preparato.

A tavola l’archivista si mostrò d’un buon umore estremo; egli s’informò degli amici di Anselmo, il vicerettore Paulmann ed il registrante Heerbrand, e raccontò, principalmente a proposito dell’ultimo, una quantità di avventure piacevoli. [p. 93 modifica]Anselmo prese amore all’eccellente vino vecchio del Reno della tavola dell’archivista e divenne più parlatore del solito. Allo scocco delle quattro, egli si alzò per ritornare al suo lavoro, e quest’esattezza sembrò far piacere all’archivista. Se tutto andava bene prima del pranzo fu ben altro di poi, egli non poteva comprendere la sua prestezza e la leggerezza della sua mano.

— Ma anche gli sembrava di udire una voce uscire dal più profondo del suo cuore, e dirgli distintamente queste parole: Ahimè! potresti tu dunque condurre a buon fine qualche intrapresa se essa non riempisse il tuo cuore ed il tuo pensiero, se tu non credessi in lei e nel suo amore? — Un soffio leggero sembrava attraversar l’appartamento e dirgli in suono cristallino: “Io son vicina — vicina, — vicina a te! — io vengo in tuo ajuto, — coraggio, — costanza, — caro Anselmo! io vengo in tuo ajuto, e tu sarai mio!” E mentre egli ascoltava, incantato, quei suoni deliziosi, i segni del manoscritto gli sembravano sempre più intelligibili. — Egli non aveva più bisogno che di guardare [p. 94 modifica]appena l’originale. — Gli sembrava che tutte le lettere fossero tracciate sulla pergamena e ch’egli non avesse che da annerirle. E così, circondato da tenere e consolanti armonie e qualche volta percosso da un alito soave, egli continuò il suo lavoro sino al momento in cui sonarono le sei e l’archivista entrò nell’appartamento.

Egli andò verso la tavola, sorridendo in un modo singolare: Anselmo si alzò senza dire una parola, l’archivista lo guardava ancora con un’aria passabilmente ironica; ma appena egli ebbe guardata la copia dello studente che tutti i muscoli della sua faccia si contrassero, ed al sorriso succedette la serietà più profonda e più solenne. Ben presto egli sembrò tutto cambiato. I suoi occhi che poco prima gettavano fiamme, fissavano ora Anselmo con una dolcezza inesprimibile, un leggiero incarnato colorò le sue guancie pallide, e le sue labbra, sulle quali riposava l’ironia, sembravano aprirsi con amenità per pronunciare parole piene di saggezza. Tutta la sua persona era diventata più grande, più maestosa; la sua am[p. 95 modifica]pia veste da camera si spiegava come un reale mantello sulle sue spalle e sul suo petto, ed attraverso ai ricci bianchi che ornavano la sua fronte, aperta ed elevata, passava un cerchio d’oro.

“Giovane!”, disse l’archivista, con tuono solenne “giovane, avanti che tu lo avessi sospettato, io aveva scoperto i legami che t’incatenano al mio tesoro più caro e più santo! — Serpentina ti ama, e tu avrai compito un destino misterioso, al quale si oppongono delle potenze nemiche, se tu ottieni la sua destra, e il talismano inestimabile che ti preserverà da tutti i lacci, in una parola, il Vaso d’oro, eredità di Serpentina. Ma non è senza grandi combattimenti che tu arriverai a questa suprema felicità. I principj del male si legano contro di te, e la forza interiore colla quale tu respingerai i loro attacchi, può sola preservarti dalla disperazione e dall’annientamento. Mentre lavori qui, tu fai il tuo garzonato; la fede e la sapienza ti condurranno a questo vicino scopo, se tu perseveri in ciò che hai intrapreso. Porta fedelmente nel tuo cuore lei che ti ama, e tu vedrai le meraviglie del [p. 96 modifica]Vaso d’oro, e sarai felice per sempre. — Addio! L’archivista Lindhorst ti aspetta domani a mezzogiorno nel suo gabinetto! — Addio!”

L’archivista spinse dolcemente lo studente Anselmo e serrò la porta dietro di lui; lo studente si trovava allora nella sala da pranzo, la cui sola uscita era nel corritojo. Stordito da quella singolare apparizione, egli si fermò davanti alla porta della casa; al di sopra di lui una finestra si aperse, egli alzò la testa... era l’archivista Lindhorst, lo stesso vecchio col pastrano grigio ch’egli avea veduto tante volte: esso gli gridò: “Eh! caro Anselmo, a che pensate voi dunque? io scommetto che l’arabo non vi esce dalla testa. Fate i miei complimenti al vicerettore Paulmann se voi lo vedete, e non mancate di venire domani alle dodici in punto. Gli onorari d’oggi sono nella saccoccia destra del vostro sottabito.”

Lo studente Anselmo trovò in fatti, nella saccoccia indicatagli, un bello scudo da sei franchi, ma non se ne rallegrò niente affatto. — “Io non so”, diss’egli tra sè stesso “che cosa sarà di tutto questo; quando anche tutto ciò che passa [p. 97 modifica]intorno a me non fosse che illusione e pazzia, tu non vivrai meno per ciò nell’anima mia, amabile Serpentina, e piuttosto che rinunciare a te io voglio perire; poichè so che il pensiero è eterno in me, e che nessuna potenza nemica non può annientarlo...”. Ma il pensiero è forse altra cosa che l’amore di Serpentina?”.