Ragionamenti intorno alla legge naturale e civile/Della legge naturale
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DELLA
LEGGE NATURALE.
Gli mi è avvenuto più volte di sentire semplici e rozzi uomini ragionare di quelle cose, che col solo ajuto de'sensi o per mezzo della sola Ragione comprendere si possono, con un certo giudizio, e con una certa precisone, che troppo manca a buona parte di noi altri, i quali le istesse cose abbiamo o da'maestri imparate, o studiate su'libri. La cagione di tale diversità nasce a mio avviso da questo, che l'uomo idiota pensa secondo quello, che la naturale Ragione gli insegna, e si esprime secondo che la semplice sua natura gli addita, laddove le persone letterate sdegnano per lo più la semplicità, e naturalezza, ed amano all'incontro il raffinamento, e vogliono, che la natura in ogni cosa ai principj, di cui essi sono imbevuti, s'accomodi, in luogo di regolare piuttosto eglino stessi i loro giudizj, e raziocinj dietro allo stabilimento e la disposizione della natura,
Dal che viene, che i Letterati essendo o troppo superbi, o troppo parziali della loro scuola, o troppo attaccati ai loro proprj sistemi, giungono o a foffocare del tutto co'loro pregiudizj gli stimoli della verità, o ad oscurarla co'loro raffinamenti, o ad invilupparla co'loro intrighi. Questo riflesso mi spinge a riferire qui per disteso il discorso tenuto da un figlio di un mercatante Affricano, che in età di trent'anni fu da suo padre condotto a Londra, e poi quivi consegnato a due bravi maestri, perchè quelle scienze, che in Europa le più utili venivano reputate, gli andassero a misura del suo talento insegnando pian piano. Io fui prefente, quando costoro presero a dargli la prima lezione sopra la Legge Naturale, dalla quale essi giudicarono, che il giovane dovette incominciare il corso de'suoi studj. La lezione, ch'essi gli diedero, fu fecondo il gusto comune dalle scuole mirabilmente bella, dotta, erudita, ed ingegnosa. Essi con questa miravano ad insinuare nell'animo del loro discepolo un'idea generale della Legge di natura, e però prima dell'Esistenza di questa Legge tolsero a ragionare: e poi passarono a fargli concepire, che la naturale, ed a tutti gli nomini comune Ragione è quel mezzo sicuro, per cui tutto il genere umano può agevolmente giugnere a conoscere la sostanza, l'estensione, ed i limiti di questa Legge. Quindi si misero a spiegargliene i primi principj, e le principali conseguenze che da quelli derivavano; ed alla fine terminarono il loro ragionamento col fargli così all'ingrossa vedere, come i precetti da essi allora esposti andassero
applicati prima alle persone private di ogni Repubblica, e poi alle Repubbliche stesse infrà di loro.
Come costoro ebbero terminata la loro lezione, il giovane, che attentamente ascoltata l'avea, proruppe così di repente in queste parole. Adorabile ed increato Producitore del genere umano! o tu non hai dotato me, nè i miei compagni di natura umana, o quelli dotti Europei sono gran ciurmadori, gran bugiardi, gran dicitori di nulla. Cari maestri miei, se io sono uomo, voi per certo farneticate, facendo discorsi, che niuno uomo, può tenere per buoni, e se non sono uomo farete, gran senno a non v'impacciare più con un animale, che alla vostra spezie non appartiene: che ciance, che sole, che fantasie mi venite voi mai di questa vostra Legge naturale narrando? Io ho concepito alcune poche cose, che me ne avete detto: ma tutto il resto mi parevano sogni, arzigogoli, frenesie. Voi mi avete ragionato di una Legge, che a vostro dire dee essere comune a tutto il genere umano, eppure esaminando me medesimo io non iscuopro in me, se non che pochissime tracce di quella Legge, che voi andate così ampiamente descrivendo. Io son certo, che neppure gli altri miei compagni troverebbero negli animi loro tutti que' vestigj, che voi dite venire da questa Legge impressi a gli uomini tutti. Sicché secondo voi nè io sarò uomo, nè saranno uomini i miei compagni, benché abbiamo, il corpo, e l'anima come voi. Ma egli mi sembra piuttosto, che voi siate ciarloni, e cerretani, che mi
volete vendere le vostre filastrocche per tante verità eterne, o che badate ad inorpellare quel poco di vero, che come a caso vi scappa di bocca, con mille vanissime frottole, e con dicerie, che repugnano all'umana natura. Io ho notato ne'ragionamenti da voi tenutimi chè qualche cosa vi era di vero, e di naturale: ho osservato, che certe vostre proporzioni mi piacevano, e riscuotevano la mia approvazione sì tosto, che me le mettevate dinanzi: la verità di quelle si manifestava da se stessa, e mi davate noja, quando per farmelo capire, e comprendere, allargavate i vostri discorsi: quelle cose mi parevano tali, che io non ne poteva, volendomi anche far forza, dubitare. E tengo per fermo, che niun altro uomo, sentendosele solamente proporre ne abbia dubitato o ne possa dubitare giammai. E quelli, che in queste cose non convenissero con me, e con voi, io direi, che fossero di una natura tutto differente dalla nostra. Quando mi avete detto, che mal fa colui che scanna il suo compagno per torgli il denajo; che ben fà quegli che porge la mano all'altro uomo, benchè ignoto, che sia per cadere, o vicino a soffocarsi nell'acqua; che uno scellerato è da chiamarsi, chi rapisce altrui o la sua donna, o la sua caccia, o qualche altra roba fua, e che tutte queste cose vengono insegnate dalla Legge di natura, io ho nell'istesso momento compreso, che voi dite vero, perciocché niun uomo dare si può, il quale non riconosca la verità di ciò, che voi andavate in questo proposto dicendo. Niun uomo può dubitare della
sincerità di queste vostre proposizioni, perchè tostochè sono sentite, attraggono l'approvazione del cuore umano. E sebbene voi mi diceste, che intere Nazioni, che voi chiamate barbare, rispetto alle cose suddette vanno praticando il contrario, credendo di poterlo giustamente fare, e che anche diversi dotti, ed ingegnosi uomini sono stati, e sono ancora di contrario sentimento, ciò non ostante io non ho scrupolo veruno di sostenervi in faccia che riguardo alle Nazioni voi mentiste di proposto, o raccontaste almeno le altrui menzogne. Io sono viaggiato con mio padre per buona parte non solo dell'Affrica, ma eziandio dell'America: e vi posso assicurare in fede mia, che non ho trovato nissun popolo così inumano, presso cui quelle massime, che di poco prima accennai, non fossero tenute per sante, ed inviolabili. E così credo, che niuna nazione ci fosse giammai, la quale tenesse, e di comun consenso praticasse il contrario. Poiché sebbene voi altri Europei dite di avere de'libri, dove sta scritto, che tanto nella presente, come nelle antiche età ci fossero delle genti, le quali l'ammazzare l'altro uomo, il rapir la moglie, e la roba altrui, il tradire un suo compagno tenessero per azioni lodevoli, od almeno di niun biasimo degne le riputassero, ciò non ostante io sono d'avviso, che costoro hanno solennemeote mentito, poiché mi sembra, che di questo vizio voi altri Europei, e tra voi altri più particolarmente i dotti, forte vi dilettate.
esservi stati, ed esservene ancora degli uomini di dottrina, e d'ingegno, i quali le suddette cose doversi reputare del tutto indifferenti insegnassero, io, non so, che rispondervi su di ciò; e vedendo che voi due, che siete riguardati per doti, mi avete tanto del matto, che io credo oggimai benissimo, che ci avessero una volta, e ci abbiano ancora de'bizzari, e capricciosi uomini, i quali per mattezza sostengano diametralmente il contrario di quelle poche verità, che ho udito nell'odierna lezione da voi; e che tutto l'uman genere riconosce. Io ho osservato, che voi amendue attribuite tanta forza a quella potenza, che voi nominate Ragione, e che tanta pompa, e tanto chiasso fate di questa Ragione, e che così passionatamente vi perdete dietro ad essa, che non badate punto a gli stimoli della nostra natura, e niuna dipendenza mostrate di avere per quello Istinto che proprio è di tutto il genere umano, e che in tutti ad evidenza si manifesta. Sicché non ho difficoltà a prestarvi fede, che degli altri pazzi si dieno, i quali coll'ajuto di questa istessa Ragione si pongano a distruggere di proposito tutto quello, che da voi altri, e da quelli della vostra setta viene tanto bene, che male piantato. Ma questi fono arzigogoli, o baje, o celie, o capricci, che voi altri dotti vi mettete ad esporre nelle scuole, o ne'vostri libri per far stordire, e strabiliare la gente: e credo, che poi nelle vostre azioni anderete del pari col resto del mondo, poiché mi figuro, che quando avete ad operare, seguirete il vostro comune Istinto, e che non istarete là a badare prima,
NATURALE. | 31 |
se l'azione sia conforme ai vostri raziocini, ed a' vostri detti, o scritti. Quindi non mi state a dire, che de’ popoli intieri ci sieno mai stati, i quali tenessero per cose buone, o lodevoli l’uccidere, l’ingannare a bella posta gravemente, il danneggiare senza motivo il prossimo suo, nè mi venite a narrare, che alcun uomo savio abbia mostrato in pratica, e senza essere da alcuna passione contraria sospinto, di porre tutte queste cose perfettamente in non cale, quando anche nissun timore degli altri uomini avesse motivo di avere, che io in ciò nè a voi, nè ad altri presterò alcuna fede giammai. Ma la dissensione di molte Nazioni, e di molti savj caderà bensì sopra quelle cose, o regole, o processi, o massime, o dettami della Ragione, come voi le chiamate, che sono invenzioni, e bizzarie del vostro intelletto, e che voi dite essere Leggi Naturali, benchè l'umana natura non ne sappia nulla, e non meno le riconosca nè punto, nè poco. E certo, che in quella parte que’ popoli, e que’ sapienti, che da voi discordano, fanno gran senno, perchè e' vogliono dare piuttosto ascolto agli stimoli, ed allo Istinto della natura, che alle vostre sottili sofisticherie, che da voi sono nominate massime della Ragione, e Leggi Naturali. Le massime universali, ed approvate da tutti i popoli, vengono dalla nostra costituzione naturale, vengono dalla natura medesima, e vengono finalmente da un Istinto naturale, il quale siccome opera in tutti gli uomini egualmente, così obbliga, e spinge ancora tutto l’uman genere ad essere su di ciò, dell’ istesso senti-
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Laonde io lascierò coteste vostre fantasticagini a voi stessi, poichè voi con migliore esito le potrete spacciare a posta vostra tra la vostra propria gente: ed io mi rimarrò rispetto almeno a questa materia nella mia barbarie, giacchè così piace a voi di appellare la schiettezza, la semplicità, e la naturalezza. Questa Legge, che voi pretendete d’insegnarmi, s’essa è naturale, e comune a tutti gli uomini, la debbo avere, e sapere anche io al pari di voi, e se non è naturale, tenetela per voi stessi, che io mi voglio vivere in libertà più che posso. Se la Legge è naturale, il gran Producitore del genere umano la deve avere per altro mezzo palesata, e comunicata agli uomini tutti, e se questo mezzo ci è, io non ho bisogno delle ciance, e filastrocche di voi due. Se il mezzo di conoscere la Legge non è comune a tutti, comune non è neppur la Legge stessa, poichè niuno è tenuto di ubbidire a Legge niuna, s’egli non ha mai avuto il modo di conoscerla, ed impararla: e se il mezzo di riconoscere questa Legge è comune a tutti, a che mi posson servire le vostre baje, ed i vostri astrusi, ed impercettibili ragionamenti? Se voi dite di aver dall’autore della Natura il dono di comprendere la Legge, e d’insegnarla all’altr’uomo, che non ha l’istesso dono, o mostrate il vostro privilegio, e la vostra patente,
o an- |
Se a voi altri Signori dotti di Europa punto calesse della verità, e non amaste piuttosto il maraviglioso, lo strano, e l’astuto, voi in luogo di andare a caccia di fantasticherie vi fermereste nella natura istessa, nè andereste pazzamente più oltre e colà fermandovi, voi osservereste, che tutte le differenti spezie animali sono forniti di un certo Istinto, che è lor proprio, e che serve per la conservazione di ciascheduno animale, e che al pari degli altri animali anche noi altri uomini di un somigliante Istinto particolare per noi, e proprio pel nostro mantenimento siamo tutti egualmente e per l’istesso modo dotati. Questo Istinto è, che ci rende umani, giusti, misericordiosi, benevoli, ed amici l’uno dell’altro. Questo è, che s’ispira odio, ed abbominazione contra coloro, che sappiano avere commesso alcuna azione contraria all’umanità, ed alla giustizia. Questo è che ci fa amare quelli altri, che sono soliti di bene, ed onestamente operare verso il prossimo suo. Questo Istinto opera egualmente in tutti gli uomini, in tutte le nazioni, ed in tutti i tempi. Se poi avviene, che ogni uomo bene spesso in vita sua operi differentemente dal suo Istinto, la cagione di tal disordine nasce dall’essere in tali casi l’uomo da qualche violenta passione sorpreso, talchè ne resta soffocato l’Istinto. Ma questo non è uno stato ordinario dell’uomo, esso è estraordinario: e lo stato naturale, cioè in cui domina l’Istinto, solamente è ordinario; lo stato della pas-
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giori. |
voi stessi siete da voi stessi discordi, poichè mi vien detto, che le vostre dottrine non s’accordano co’ vostri costumi. Il che tutto è di manifesto indizio, che la giustizia, ed ingiustizia di certe azioni dipende dal capriccio, ed all’opposto quella di certe altre non da altro fonte, che dall’Istinto deriva. Ora io ben veggo, che voi due, che siete destinati per miei maestri mi volete insegnare, come io mi accorgo, tanto la giustizia naturale, che la capricciosa, e che l’istesso nome volete dare a questa, che a quella, anzi l’istessa forza, e l’istesso effetto le volete attribuire: il che io non posso assolutamente per nissun conto soffrire: nè mai permetterò, sin tanto che la mente naturale mi regga, che voi possiate gabbarmi a posta vostra, e che io abbia ad essere infinocchiato, ed ingannato da voi.
Io ho bensì dai vostri discorsi ricavato, che voi da que’ principi, che sono certi, e che sono nell’istessa natura fondati, e come tali vengono riconosciuti in ogni luogo da ogni nazione, pretendete di tirare coll’aiuto della Ragione, ed a forza di raziocinj delle conseguenze, alle quali voi andate attribuendo la medesima certezza, che ai principj, onde sono dedotte. Ma in ciò o voi siete dalla vestra scuola ingannati, oppur volete a posta fatta ingannare il vostro discepolo, poichè una gran differenza vi passa tra i principj, e le consequenze, che ne cavate. Imperciocchè i principj vengono dallo Istinto, e le conseguenze dalla Ragione. L’Istinto è il medesimo in tutto l’uman genere de’ passati, de’ presenti, e de’ futuri secoli: ma la Ragione, ossia l’Intelletto è diverso, e vario secondo la diversità delle nazioni, de’ tempi, de’ climi, e delle teste degli uomini. Quindi è, che in ciò, che ci viene dallo Istinto, tutti s’accordano, ed all’opposto in quello, che viene dalla Ragione, pochi convengono. Sicchè i principj possono essere certi, ma non certe le conseguenze, perchè quello, che alla vostra Ragione parrà certo, a quella di un altro parrà dubbioso, o falso. E sebbene voi siete così superbi, e vani, che vi lasciaste testè uscire di bocca, che male fanno quelle nazioni, e quelli uomini, i quali da qualunque delle vostre massime si discostano, e che mostrano con questo di non fare dell’umana Ragione il debito uso, nulla però di meno ognuno si riderà del vostro orgoglio, e della vostra sciocchezza, la quale vi fa credere, che voi abbiate sortito dalla natura una Ragione più illuminata, e più vasta degli altri, che da voi dissentiscono. Pensateci un poco voi, che volete parere cotanto ragionevoli, s’ella non sia una cosa del tutto contro Ragione il pretendere, che voi soli, e chi sente con voi, abbiate colto il vero, e che tutti gli altri s’abbiano attrappato l’errore. Chi vi ha insegnato a farvi giustizia da voi medesimi, ed a decidere così francamente in vostro favore? Non è ella questa una pazzia, non è ella una cosa, che repugna ad ogni buon raziocinio? E non basta quella mattezza sola per farvi perdere il credito in tutto il resto: poichè chi sarà colui, che possa prestar fede a chi ha il cervello sì guasto, che non dubita di farsi sentenza da se stesso, e non teme di essersi lasciato sedurre dal suo amor proprio, e dalle sue passioni a portare una sentenza ingiusta? Chi si mostra ad evidenza sì matto in una cosa di tanto momento, perchè non potrà essere con ogni fondamento tenuto per matto anche nel rimanente delle cose sue?
Ma se la Ragione ha il diritto di prononziare della giustizia, ed ingiustizia delle nostre azioni, o ella dove essere uniforme in tutti, o la Legge, che voi chiamate naturale, e comune di tutto il genere umano, non obbliga tutti. Ora i giudizj della Ragione non sono uniformi nè in tutti i tempi, nè in tutti gli uomini, poichè vediamo, che anche in materia di Legge naturale l’un popolo, non pensa come l’altro, e che fra una nazione istessa diversi ci sono, i quali non solo dalla maggior parte della gente, ma anche fra di loro discordano. Sicchè è giuocoforza il dire, che la Legge non obbliga tutti, perchè e impossibile, che obblighi coloro, che non la comprendono: e se la lor Ragione non arreca loro su di ciò lumi maggiori, perchè possano riconoscere appieno la Legge, e liberarsi dall’errore, la colpa non è di chi possiede la Ragione, ma di chi loro la diede. Nè mi state a dire, che costoro dovrebbero lasciarsi guidare dalla Ragione altrui; perchè a dirvi schiettamente il vero, egli è proprio una intollerabile insolenza, che uom pretenda di poter con franchezza asserire, ch’egli possegga una più illuminata, e più vasta Ragione dell’altro. Oltrechè costui, che non si rende schiavo alla Ragione altrui, è scusabile, perchè non ha verun modo di venire in cognizione, che l’Intelletto dell’altro uomo sia più copioso di lumi, che il suo, attesocchè la sua mente gli fa credere, ch’egli stia così bene in capitale, come l’altro, che si lusinga di averne di più, nè egli è obbligato di prestare alla cieca fede a colui, che dica di possedere una migliore maniera di Ragione. Laonde se la Ragione ha da essere il giudice delle azioni umane, la Legge da voi chiamata naturale non può obbligare tutti nell’istesso modo, perchè non tutti fanno colla propria Ragione gl’istessi giudizj, tenendo bene spesso un popolo per azione giusta quella, che l’altro popolo riguarda per ingiusta, e venendo secondo quello, che tanto voi, quanto altri mi hanno narrato, riputate da certi dotti, e ragionevolissimi uomini giuste quelle tali azioni, che da altri pur sublimi ingegni vengono come ingiuste biasimate. Dunque ben chiaro vedete, che è uno sproposito il dire, che alla Ragione tocchi di giudicare della giustizia delle umane azioni, poichè da essa niente altro, che una somma, ed universale confusione può nascere, laddove l’Istinto essendo eguale in tutti, in tutti produce l’istesso effetto. E però se i primi principj della Legge naturale vengono dallo Istinto, e le conseguenze sono parti della Ragione, conserviamo i principj, e diamo all’incontro il bando alle conseguenze: che cosi facendo non correremo pericolo di errare noi, nè di tirare altri nel nostro errore.
Se la Ragione è quella Maestra, che ci fa distinguere il giusto dall’ingiusto, come avviene poi, che quelli, i quali fanno maggiore uso della Ragione, sono costantemente più ingiusti di coloro, che meno dalla Ragione, e più dall’Istinto vengono retti? I popoli, che voi chiamate barbari sono senza verun dubbio più umani, più sinceri, più misericordiosi, e meno ingannatori, meno avari, meno traditori, meno crudeli di voi altri Europei, che della vostra Ragione fate tanto uso, e tanto schiamazzo. Io ho osservato, che le persone idiote, che mai furono alla scuola di qualche maestro, e che meno sono da voi altri dotti praticate, sono anche in Europa più oneste, e più giuste, che non sono que’ tali, che uomini d’ingegno, e di dottrina s’appellano. Io ho udito l’altro giorno uno de’ vostri predicatori, il quale in un tempio ed in una grande adunanza di popolo andava raccomandando alla gente la semplicità, e la schiettezza, e sosteneva, che solo i semplici, e gl’idioti sono amatori della giustizia, e della rettitudine; e che all’incontro gli astuti, gl’ingegnosi, gli spiritosi, e gli addottrinati sono per lo più gran scellerati, e gran peccatori. Egli addusse in prova di tal suo detto ben parecchi esempli, e mi ricorda, che citò de’ popoli antichi da lui chiamati Ateniesi, e Romani, de’ quali narrò, che fintantochè eglino rimasero nella loro rozza simplicità, ebbero anche in abborrimento le ingiustizie, le oppressioni, e le fraudi, ma che poi quando si diedero a coltivare con diverse arti l’ingegno, allora cominciarono a diprezzare la giustizia, e ad amare unicamente la furfanteria, e le cose inique. Ecco adunque, quanto bene viene eseguito dalla Ragione quell’ufficio, che voi altri gli attribuite! Se chi usa la Ragione, fa cattive operazioni, e chi non la usa, le fa buone, egli è pure un argomento troppo chiaro, che non la Ragione, ma qualche altra cosa deve essere la maestra del giusto, e dello ingiusto.
Di più se la Ragione c’insegna non solo l’esistenza, ma sippure la natura, e l’estensione della legge naturale, perchè quell’istessa Ragione ha ella somministrato, e va ancora somministrando a tanti uomini dotti tanti argomenti, e cotanto speziosi, come voi testè diceste, per poter impugnare con essi o tutta, od almeno parte della Legge naturale? Non è ella questa una incostante, e stolta direttrice dell’uomo, poichè quel tanto che fa insegnare da certa setta di suoi seguaci, lo fa distruggere da un’altra di suoi non meno appassionati discepoli? Certamente adunque, che la Ragione non è in fatto di Legge naturale la nostra maestra: ma l’è sibbene l’Istinto. E se questo è vero, com’è verissimo, che occorre, che voi vi mettiate ad insegnare di proposito la Legge di natura, e che importa, che io la impari da voi, mentre ho il mio maestro dentro di me, che meglio m’illumina, e meglio m’istruisce che non potete fare voi altri? Ogni uomo sente la sua natura, e quel ch’egli non sente, non è suo, ma della scuola, e de’ vanagloriosi maestri. E se altro non mi sapete voi due insegnare, io me ne vado pe’ fatti miei, e partì.
Il discorso di costui mi ferì mirabilmente la fantasia: e solo compiansi la sua sciagura del non essere egli per tempo stato nella Cristiana Religione istrutto, poichè da questa avrebbe imparato a regolare alquanto meglio il suo raziocinio. Mentre avrebbe saputo, che la Ragione di sua natura dovrebbe servirci di guida, di maestra, e di direttrice nel conoscere, e nell’applicare la Legge naturale, ma che avendola l’uomo per sua propria colpa guastata, essa era divenuta impotente, e debile per modo, ch’essa non è più di per se stessa capace di adempiere compiutamente l’officio suo; ma che deve essere soccorsa tanto dallo Istinto naturale, o per meglio dire da un certo sentimento morale dell’uomo, quanto principalmente dalla Rivelazione. Sicchè la Ragione oggimai nulla può operare da se; ma ella prende i sui lumi dallo Istinto, e ne riceve di maggiori ancora dalla Rivelazione, e fatto ciò ella riacquista la perduta capacità di giudicare, e di servire di guida all’uomo. Ma queste cose non sono note a chi o ignora, o empiamente disprezza la Legge rivelataci dall’eterno Salvatore.
Per altro l’Affricano ha con verità a mio giudizio sostenuto, che la Ragione non possa in materia di Legge Naturale servire all’uomo di guida sicura, poichè a troppi abbagli è sottoposta, quando da se sola si regga, e d’altra parte non venga con chiarezza illuminata. L’Affricano, che non conosceva la Rivelazione, disse però bene, che l’Istinto naturale è in questo punto il vero, e proprio istruttore dell’uomo. Ma per Istinto non vuolsi già intendere gli stimoli del corpo, che il corpo non deve in ciò avere parte veruna. Pertanto quello Istinto propriamente altro non è, che un sentimento morale, che dall’animo nasce, e che viene da se stesso, senza che l’uomo vi faccia riflesso; poichè dalla natural costituzione dell’uomo, e non dal raziocinio deriva. Dai principj, che vengono dall’Istinto, potrebbonsi ricavare, e dedurre molte conseguenze, se la Ragione nostra non fosse stata da noi resa incapace di poter fare così certi, sicuri, ed evidenti raziocinj, che da tutto l’uman genere potessero essere compresi, e riconosciuti per veri, e che tutti gli uomini in particolare li potessero da se medesimi fare; siccome vediamo, che dell’Istinto interviene, il quale in tutti gli uomini opera egualmente, e con la medesima forza, talchè niuno ha bisogno di essere istrutto dall’altro intorno a quelle operazioni, che dall’Istinto provengono. Ma tra noi Cristiani la debilezza, ed impotenza della Ragione viene abbondevolmente compensata dalla forza della Rivelazione, Laonde venendo la Ragione di un Cristiano prima dall’Istinto, e poi dal lume del Vangelo chiarita, non possiamo per rispetto alla Legge di natura così agevolmente cadere in qualche errore.
La conchiusione di quello ragionamento si è, che quando si voglia, o si debba prescindere dalla Rivelazione, allora niun altro principio per conoscere, e rintracciare la Legge naturale rimane, che il solo naturale Istinto, ossia sentimento morale, il quale pochissime bensì, ma però sicure ed a tutto l’uman genere communi idee di certi precetti naturali ci suggerisce.