Rime (Veronica Franco)/Terze rime/XXIII

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Della signora Veronica Franca

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Della signora Veronica Franca
Terze rime - XXII Terze rime - XXIV
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XXIII

Della signora Veronica Franca

Oltraggiata da un vile, in sua assenza, chiede consiglio ad un uomo d’arme, esperto delle questioni d’onore, per vendicarsi, com’è suo diritto.

     Lungamente in gran dubbio sono stata
di quel che far a me s’appartenea,
da un certo uomo indiscreto provocata.
     4Nel pensier vane cose rivolgea
del far e del non far la mia vendetta,
né a qual partito accostarmi sapea;
     7alfin, la propria mia ragion negletta,
che ’l buon camin non sa prender né puote,
da la soverchia passion costretta,
     10vengo a voi per consiglio, a cui son note
le forme del duello e de l’onore,
per cui s’uccide il mondo e si percuote.
     13A voi, che guerrier sète di valore,
e, ch’oltre a Tesser de la guerra esperto,
vostra mercede, mi portate amore,
     16per consiglio ricorro; e ben m’accerto
che mi sareste ancor non men d’aita,
per grazia vostra piú che per mio merto.
     19Ma io non voglio a quel, dove m’invita
de la vendetta il gran desio, voltarmi,
benché la via mi sia piana e spedita:
     22voglio, prima ch’io venga al trar de Tarmi,
il mio parer communicar con voi,
e con voi primamente consigliarmi;
     25e, se determinato fia tra noi
che con gli effetti io debba risentirmi,
non sarò pigra a pigliar Tarmi poi.

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     28Ma saria forse un espresso avvilirmi,
far soggetto capace del mio sdegno
chi non merta in pensier pur mai venirmi:
     31un uom da nulla, e non sol vile, e indegno
che da seder si mova a lui pensando
qualunque ancor che pigro e rozzo ingegno.
     34E pur d’ira m’infiammo, rimembrando
la villania da lui fatta a se stesso,
di doverla a me far forse stimando.
     37Inescusabil fallo vien commesso
da chi dice d’alcun mal in sua assenza,
s’anco ver sia quel che vien detto espresso;
     40perché in ciò l’uom dimostra gran temenza,
e par che ’n quella vece non ardisca
dir il medesmo ne l’altrui presenza.
     43Ma poi, se di menzogne si fornisca
e, nel contaminar l’onore altrui,
con frode e infamia contra ’l ver supplisca,
     46ben certamente merita costui
cancellarsi del libro de’ viventi,
sí che ’l suo nome ad un péra con lui.
     49Oh, se le rane avesser unghia e denti,
come sarian, se drittamente addocchio,
talor piú de’ leon fiere e mordenti!
     52Ma poi, per gracidar d’alcun ranocchio,
di gir non lascia a ber l’asino al fosso,
anzi drizza a quel suon l’orecchio e l’occhio.
     55Se un ser grillo, a dir mal per uso mosso,
de la sua buca standosi al riparo,
m’ha biasmato in mia assenzia, io che ne posso?
     58E se, tratte a quel suon, quivi n’andáro
molte vespe e tafani, e per tenore
di quel suon roco in compagnia ruzzáro,
     61non patisce alcun danno in ciò ’l mio onore,
e, quanto aspetta a me, piú tosto rido;
ma de l’altrui sciocchezza ho poi dolore.

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     64D’una brutta cornacchia a l’aspro grido
trassero altri uccellacci da carogne,
e di sterco l’empièr la strozza e ’l nido.
     67Quest’è proprietá de le menzogne,
che quelli ancor, che son malvagi e tristi,
versan sopra l’autor biasmi e vergogne.
     70Del mio avversario fúr primieri acquisti
sparger detti, in mia assenza, di me falsi,
da nulla veritá coperti o misti.
     73Ad ira contra lui perciò non salsi;
ma m’allegrai, quando contra ’l suo dire
tacendo col mio ver chiaro prevalsi.
     76Ben poi via piú insolente divenire
nel mio silenzio il vidi; e quasi ch’io
d’averlo fatto tale posso dire.
     79Ma qual era in quel caso officio mio,
se non quel dirmi mal dopo le spalle
non curar punto, da un uom vile e rio?
     82Troppo al giudicio mio vien che s’avvalle
il pensier di chi segue tai difretti,
c’hanno precipitoso e tetro il calle.
     85Raffrena, uom valoroso, i ciechi affetti,
e non voler opporti a ciascun’orina
de la malignitate ai falsi detti:
     88segui de la virtú la dritta norma,
che, di se stessa paga, agli altrui errori
generosa non guarda, e par che dorma.
     91Cosi fec’io, che, d’ogni dritto fuori
infamiata e biasmata da un uom vile,
mi confortai co’ miei pensier migliori:
     94e farei piú che mai ora il simile,
se per la mia pazienzia quel villano
non discendesse a via peggiore stile.
     97Ma con armata e minacciosa mano
m’importuna, e mi sfida, e quasi sforza
il pensier di star queta a render vano.

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     100Con l’acqua alfin ogni foco si smorza;
cosi la costui rabbia e l’arroganza
a quel ch’io men vorrei mi spinge a forza.
     103So ch’egli per natura e per usanza
è pessimo e vilissimo a volere
pugnar con una donna, di possanza.
     106E quasí che non porta anco il devere,
ch’ai provocar de l’armi io gli risponda,
non usa il ferro ignudo in man tenere.
     109Ma tanto piú d’audacia ei soprabonda,
quanto farmi paura piú si crede,
e con nuove insolenzie mi circonda.
     112Non so quel che in tal caso si richiede:
il parer vostro non mi sia negato,
ch’a lui son per prestar assenso e fede.
     115Io sono stata in procinto, da un lato,
di disfidarlo a singoiar battaglia,
comunque piú gli piace, in campo armato.
     118Ma dubitai che di piastra e di maglia
ei proponesse grave vestimento,
e ferro che non punge e che non taglia.
     121So ch’egli è un asinaccio a questo intento
d’assicurarsi centra i colpi crudi,
dove vi sia di sangue spargimento:
     124del resto sovra’l dorso se gli studi,
s’altri volesse ben con un martello,
come s’usa di far sopra le incudi.
     127Questo m’ha messo a partito il cervello,
ch’io non vorrei con sferza o con bastone
prender a castigar un uom si fello,
     130Non so se in ciò potessi con ragione
rifiutar armi non micidiali,
ma solamente a bastonarsi buone:
     133so ch’ei dina ch’a lui si denno tali,
e ch’io non debbo ricusarle, quando
d’ogni lato le cose vanno eguali.

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     136Io sono andata a questo assai pensando,
ed ho discorso che, s’io’l disfidassi,
da l’insultar s’andria forse arretrando:
     139forse ch’ei volgerebbe altrove i passi,
e meco fuggiria d’entrar in prova,
perch ’ancor col baston non l’amazzassi.
     142Ma s’ei temprate ha Tossa a tutta prova
contra ogni copia di gran bastonate,
si ch’altri a dargli stanco alfin si trova;
     145senz’aver le devute sue derrate,
rendermi stanca in guisa alfin potrebbe,
che Tarmi avessi in mio affanno pigliate.
     148E poi di me qual cosa si direbbe?
Ch’io non sia buona per un uom codardo,
cui con la verga un fanciul vincerebbe:
     151un, che fa l’invincibile e’l gagliardo
contra una donna, che sopporta e tace,
senza pur minacciarlo con Io sguardo.
     154Dunque’l debbo lasciar seguir in pace,
e sommettermi in guisa al suo talento,
ch’egli m’offenda come piú gli piace?
     157Quest’è strana maniera di tormento,
e tal, ch’offese a non sopportar usa,
a questa men ch’ad altra atta mi sento.
     160Dunque sarò da si vii uom delusa,
senza prender vendetta in parte alcuna
di quanto egli m’offende e si m’accusa?
     163In questo punto il mio pensier s’aduna,
e per incaminarmi a buona strada
trovo scarsa e contraria la fortuna.
     166Ma s’io sto queta, e, come avien ch’accada
un giorno, che passar quindi gli avenga,
incontra armata a ucciderlo gli vada?
     169Forse la sete fia che ’n tutto io spenga
di quel sangue maligno, e con diletto
senza contrasto alcun vittoria ottenga.

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     172Dunque commetterò si gran diffetto
di bruttar di quel sangue queste mani,
ch’è di malizia e di viltate infetto?
     175Cessin da me pensieri cosí strani.
Ma che farò? S’io taccio, mal; e poi
s’io faccio, peggio. Oh miei discorsi vani!
     178Datemi, signor mio, consiglio voi.