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Rime (Veronica Franco)/Terze rime/XXII

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Della signora Veronica Franca

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Della signora Veronica Franca
Terze rime - XXI Terze rime - XXIII
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XXII

Della signora Veronica Franca

La crudeltá dell’amante l’ha spinta a rifugiarsi in campagna: quivi ogni spettacolo naturale, rivelandole la potenza d’Amore, la richiama alla sua trista sorte e a Venezia, miracolo unico di bellezza; onde sospira il ritorno.

     Poi ch’altrove il destino andar mi sforza
con quel duol di lasciarti, o mio bel nido,
ch’in me piú sempre poggia e si rinforza,
     4con quel duol, che nel cor piangendo annido,
con la memoria sempre a te ritorno,
o mio patrio ricetto amico e fido:
     7e maledico l’infelice giorno,
che di lasciarti avennemi; e sospiro
la lentezza del pigro mio ritorno,
     10Dovunque gli occhi lagrimando giro,
lunge da te, mi sembra orror di morte
qualunque oggetto ancor ch’allegro miro.
     13Tutto quel che ristoro e gioia apporte,
per questi campi e per le piagge amene,
reca a me affanno e duol gravoso e forte.
     16L’apriche valli, d’aura e d’odor piene,
l’erbe, i rami, gli augei, le fresche fonti,
ch’escon da cristalline e pure vene,
     19l’ombrose selve, e i coltivati monti,
che da salir son dilettosi e piani,
e piú facili quant’uom piú su monti,
     22e tutto quel, che con industri mani
qui l’arte e la natura e ’l ciel opráro,
sono per me deserti alpestri e strani.

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     25Non può temprar alcun dolce l’amaro
ch’io sento de l’acerba dipartita,
ch’io fei dal natio suolo amato e caro:
     28quivi lasciai nel mio partir la vita,
ch’ai piè negletta del mio crudo amante
da me giace divisa e disunita.
     31E pur tra questi fiori e queste piante
la vo cercando, e di quell’empio Torme,
ch’ovunque io vada ognor mi sta davante.
     34E par ch’io ’l vegga, e poi ch’ei si trasforme
or d’un abete, or d’un faggio, or d’un pino,
or d’un lauro, or d’un mirto in varie forme;
     37parmelo aver negli occhi da vicino,
e le mani a pigliarlo avide stendo,
e la bocca a basciarlo gli avicino:
     40in questo lo mio error veggio e comprendo,
ché, da Timaginar e da la speme
delusa, un tronco o un sasso abbraccio e prendo.
     43Se cantando posar gioiosi insieme
duo augelletti sopra un ramo veggo,
con quel desio, ch’Amor dolce al cor preme,
     46del mio misero stato, e piú m’aveggo
che col rimedio de la lontananza,
dov’altri non m’aita, invan proveggo.
     49Stan pur duo uccelli in lieta dilettanza,
godendo di quel bene unitamente,
ch’ai lor desire agguaglia la speranza:
     52ne le selve e nei boschi Amor si sente,
dal consorzio degli uomini sbandito,
tra i bruti, i quai pur s’aman parimente;
     55un concorde voler al dolce invito
de la gioia d’amor le fiere tragge,
con affetto in duo cori egual partito;
     58per monti e valli e selve e lidi e piagge,
quinci e quindi congiunta in modo stretto
coppia sen va di due bestie selvagge:

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     61e l’uom, dal cielo a dominar eletto
tutti gli altri animali de la terra,
dotato di ragione e d’intelletto;
     64l’uom, che, se non vuol, rado o mai non erra,
fa, nei desir d’amor dolci, a se stesso
cosi continua abominosa guerra,
     67si ch’a lui poi d’amar non è concesso,
senza trovar di repugnanti voglie
de la persona amata il core impresso.
     70In ciò contrario a le donne si voglie
piú ch’agli uomini ’l ciel; ch’amano senza
sentir quasi in Amor altro che doglie.
     73Far non può de le donne resistenza
la natura si molle ed imbecilla,
di Venere del figlio a la potenza;
     76picciol’aura conturba la tranquilla
feminil mente, e di tepido foco
l’alma semplice nostra arde e sfavilla.
     79E, quanto avem di libertá piú poco,
tanto ’l cieco desir, che ne desvia,
di penetrarne al cor ritrova loco;
     82sí che ne muor la donna, o fuor di via
esce de la comun nostra strettezza,
e per picciolo error forte travia.
     85Quanto a la libertate è manco avezza,
tanto in furia maggior l’avien che saglia,
s’Amor quei nodi violento spezza;
     88né per poco vien mai che donna assaglia
per tirar il suo amante al suo desio,
ma ciascun mezzo prova quant’ei vaglia.
     91Cosi sforzata son di far anch’io,
d’amor ne la difficile mia impresa,
per ottener il ben ch’amo e desio;
     94e, se ben fatt’a me vien grande offesa,
nullo argomento usato in espugnarti,
amante ingrato, mi rincresce o pesa.
G. Stampa e V. Franco, Rime. 21

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     97Per darti luogo, venni in queste parti,
ed al tuo arbitrio di te cassa vivo,
sperando in tal maniera d’aequistarti.
     100Qui, dov’è ’l prato verde e chiaro il rivo,
venni, e de le dolci onde al roco suono,
e degli uccelli al canto e parlo e scrivo.
     103In luogo ameno e dilettevol sono,
ma non è quivi l’allegrezza mia,
se non quanto di te penso e ragiono;
     106anzi ’l pensar di te dagli occhi invia
lagrime amare, e de l’altrui piacere
sento piú farsi la mia sorte ria.
     109L’altrui gioie d’amor tante vedere
a le fiere, agli augelli, ai pesci darsi
mi fa nel mio dolor piú doglia avere:
     112non può l’invidia mia dentro celarsi,
ma con sospiri e pianto, e con lamenti
vien per la bocca e gli occhi a disfogarsi.
     115Ben piú, che degli altrui dolci contenti,
allargo ’l pianto e senza fin mi doglio
de l’acerba cagion de’miei tormenti;
     118ma, poi d’ammollir tento un aspro scoglio,
che piú s’indura, e piú s’impietra, quanto
piú mostro il sospiroso mio cordoglio,
     121e poi che’l mio dolor ti giova tanto,
io mi vivrò, tra queste selve ombrose,
sol de la tua memoria e del mio pianto.
     124Qui fará l’ore mie liete e gioiose
veder che ’l prato, il poggio, il bosco e ’l fiume
dian ricetto a l’altrui gioie amorose;
     127veder per naturai dolce costume
gli augei, le fiere e i pesci insieme amarsi
in modo, che da Buona non si costume;
     130e senza alcun sospetto insieme andarsi
liberamente ovunque Amor gli guide,
e l’uno in grembo a l’altro riposarsi.

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     133Nulla il gran lor piacer toglie o divide,
ma sempre il sommo lor diletto cresce;
di che me, con duol mista, invidia uccide.
     136Ecco, che fuor d’un antro, or ch’io parlo, esce
coppia felice di due dame snelle,
cui sempre star in un sol luogo incresce;
     139e lá due rondinette unirsi anch’elle
veggo in un ramo verde. Ahi del mio amante
voglie contrarie al mio desir rubelle!
     142Dove parlan d’amor l’erbe e le piante,
dove i desir d’ognun sono concordi,
in quest’almo paese circostante
     145m’addusse Amor, perch’io piú mi ricordi,
ne la dolcezza de l’altrui venture,
dei pensier d’uom crudel dai miei discordi.
     148Né questo accresce sol le mie sventure,
per prova intender dai boschi e dai sassi
quanto sian meco acerbe le sue cure;
     151ché sempre avanti a la memoria stassi
quanto, per fuggir l’odio di colui,
da la patria gentil mi dilungassi:
     154da quell’Adria tranquilla e vaga, a cui
di ciò che in terra un paradiso adorni
non si pareggi alcun diletto altrui:
     157da quei d’intagli e marmo aurei soggiorni,
sopra de l’acque edificati in guisa,
ch’a tal mirar beltá queto il mar torni;
     160e perciò l’onda dal furor divisa
quivi manda a irrigar l’alma cittade
del mar reina, in mezzo ’l mar assisa,
     163a’ cui piè l’acqua giunta umile cade,
e per diverso e tortuoso calle
s’insinua a lei per infinite strade.
     166Quivi tributo il padre Ocean dálie
d’ogni ricco tesoro, e ’l cielo amico
ciascun’altra a lei pon dopo le spalle;

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     169sí che nel tempo novo o ne l’antico
non fu mai chi tentasse violarla,
ch’ai pensar sol confuse ogni nemico.
     172Tutto’l mondo concorre a contemplarla,
come miraeoi unico in natura,
piú bella a chi si ferma piú a mirarla,
     175e, senza circondata esser di mura,
piú d’ogni forte innaccessibil parte
senza munizion forte e sicura.
     178Quanto per l’universo si comparte
d’utile e necessario a l’uman vitto,
da tutto l’universo si diparte;
     181ed, a render recato a lei ’l suo dritto,
di quel, che in lei non nasce, ella piú abonda
d’ogni loco al produr atto e prescritto,
     184si ch’eterna abondanzia la circonda,
e di tutti i paesi fruttuosi
piú ricca è d’Adria l’arenosa sponda.
     187Altro che valli amene e colli ombrosi
sembrano d’Adria placida e tranquilla
i palagi ricchissimi e pomposi.
     190II mar e ’l lito quivi arde e sfavilla
d’amor, che tra nereidi e semidei
quell’acque salse di dolcezza instilla.
     193Venere in cerchio ancor degli altri dèi
scende dal ciel su questa bella riva,
con l’alme Grazie in compagnia di lei.
     196E senza che piú avanti io la descriva,
per fortuna noiosa e violenta,
gran tempo son di lei rimasta priva:
     199per far la voglia altrui paga e contenta
io diparti’, sperando alfin quell’ira,
se non estinguer, far tepida e lenta.
     202Or, che quanto si piange e si sospira
per me infelice è tutto sparso al vento,
ché ’l mio amante la vista altrove gira;

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     205poi che ’l crudele ad altro oggetto è intento,
perché lontan da la mia patria amata
vo facendo piú grave il mio tormento?
     208Ma, se t’ho follemente, Adria, lasciata,
del cor l’arsura alleviar pensando,
dal mio danno veder allontanata,
     211I’ardor piú tosto è in ciò gito avanzando,
e con la gelosia e col sospetto
s’è venuto piú sempre riscaldando.
     214L’altrui d’amor goduto a pien diletto
per questi campi, e ’l temer che compagna
l’empio, a me, non faccia altra del suo letto,
     217e de la patria mia celebre e magna
gli alti ornamenti e lo splendor superno
qui ’l bosco odiar mi fanno e la campagna:
     220ad Adria col pensier devoto interno
ritorno e, lagrimando, espressamente
a prova del martir l’error mio scemo.
     223Ma, se ’l suo fallo scema chi si pente,
d’esser da te partita mi pentisco,
o mio bel nido, e me ne sto dolente;
     226e, dapoi che non cessa il mio gran risco
per lontananza, il meglio è ch’io mi mora
del gran dolor che per amar soffrisco,
     229senz’a’ miei danni aggiunger questo ancora,
di far da le mie cose a me piú care
per tanto spazio si lunga dimora.
     232Perch’alfin mi risolvo di tornare,
e, se non m’è contraria a pien la sorte,
se ben un’ora un secolo mi pare,
     235spero tornar in spazio d’ore corte.