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Rime di Argia Sbolenfi/Libro secondo/L'idillio di Orlando

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L'idillio di Orlando

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Libro secondo - Coltrici festive Libro secondo - Ai reduci dallo Scioa
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L’IDILLIO DI ORLANDO


Che non può far d’un cor ch’abbia soggetto
Questo crudele e traditore Amore,
Poichè ad Orlando può levar dal petto
La tanta fè che debbe al suo Signore!
                    Ariosto, Orl. Fur. C. IX, I.



Apparia tremolando all’orizzonte
          La tenue luce della nuova aurora
          E la vaghezza delle rosee impronte
          4Crescea più viva coll’andar dell’ora,
          Quando, sul fido Brigliadoro, il Conte
          Uscì pensoso di Baldacco fuora
          E d’ignoti sentier sull’erba molle
          8Lentamente discese il verde colle.

Come giovine sposa, allor che il sole
          Fra le cortine del balcon s’affaccia,
          Lascia lenta le coltri e volger suole
          12Al conscio letto con desio la faccia,
          Ma, rivestita poi, non più si duole
          Rimemorando i baci e il sonno scaccia,
          Indi lieta intrecciando il crin disciolto
          16Canta allo specchio e amor le ride in volto;

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La natura così malvolentieri
          Dai notturni riposi uscir parea
          Semivelata dai vapor leggeri
          20Che lenta l’aura del mattin movea,
          Ma poi ridesta e de’ color primieri
          Rifiorendo col dì, tutta fremea
          In un gaudio fecondo, in una ebbrezza
          24Di gioventù, d’amore e di bellezza.

Non sgomentati del cavallo ai passi
          L’inno di gioia ripetean gli augelli
          Pareano susurrar tra l’erbe e i sassi
          28Giocondi epitalami anche i ruscelli,
          E i caprifogli penduti dai massi,
          Scotendo i rami a guisa di capelli,
          Gocciavan perle di sottil rugiada
          32Sulle nozze de’ fior lungo la strada.

Nel tripudio d’amor ringiovanita
          La pianura parea tutta un giardino
          Che vaporasse tepida e squisita
          36La fragranza de’ fiori al ciel turchino,
          Sì che pien di desìo, gonfio di vita,
          S’apriva il chiuso cor del Paladino
          E conquisa cedea l’anima fiera
          40Alle lusinghe della primavera.

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Dimenticò Re Carlo e i suoi baroni
          E il santo gonfalon del fiordaliso,
          I giganti le fate e gli stregoni,
          44Gano schernito ed Agramante ucciso.
          Dimenticò gli assalti e le tenzoni
          Tra lo stuol battezzato e il circonciso
          E vide col pensier mille rosate
          48Imagini di donne innamorate.

Rivide Olimpia, offerta all’esecrando
          Mostro, chieder mercè nuda e tremante
          E passar sorridendo e sospirando
          52Fiordispina, Isabella e Bradamante.
          Vide Marfisa non curar pugnando
          Le salde nudità del petto ansante
          E d’Angelica sua gli occhi procaci
          56Languir di gaudio di Medoro ai baci.

Allor si sentì solo e in cor gli scese
          Gelida un’onda di malinconia,
          Tal che a se stesso dubitando chiese
          60Se la gloria non fosse una pazzia;
          Ed una voce in fondo al core intese
          Dirgli: «Che val la tua cavalleria,
          Che valgon le tue gesta e il tuo valore
          64Senza un bacio di donna e senza amore?»

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Discendeva così fantasticando
          Intorno a questa sua doglia novella,
          e sospirava fieramente, quando
          68Vide dal bosco uscire una donzella
          Che raccogliendo fior venia cantando
          Soavemente, e la persona bella
          Di tal vivo desio lo prese e punse
          72Che spronò Brigliadoro e la raggiunse.

Si trasse l’elmo, dall’arcion si sporse
          E con voce tremante amor le chiese.
          Lentamente a mirarlo il viso torse
          76La giovinetta ed a sorrider prese.
          L’occhio le scintillò, ma quando scorse
          La croce sull’usbergo e sul pavese,
          La scintilla si spense ed il sorriso
          80Subitamente le sparì dal viso.

E disse: «Cavalier, tu porti in petto
          Del Dio che adori il segno e la dottrina.
          Tu segui Gesù Cristo, io Maometto;
          84Tu sei di stirpe Franca, io Saracina;
          Io cingo fiori al capo e tu l’elmetto,
          Tu sei nato possente ed io tapina;
          Vanne e ti basti sol ch’io ti confessi
          88Che t’amerei se tu a Macon credessi.»

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Oh, come lieti tra le verdi fronde
          Cantavano gli augelli i novi amori,
          Come all’aura d’april le rubiconde
          92Corolle aprivan tripudiando i fiori,
          Come splendeano al sol le chiome bionde,
          Come ridevan gli occhi incantatori,
          Allor che il Paladin vinto si diede
          96E per un bacio rinnegò la fede!