Saggio di curiosità storiche intorno la vita e la società romana del primo trentennio del secolo XIX/Avvisaglie di rivolta
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Avvisaglie dì rivolta
Restaurato nel 1815 in tutti gli stati della Chiesa il potere temporale dei Papi, si credè cosa facile di poter anche ristabilire tutto l’antico stato di cose; ma il nuovo regime di libertà, goduto durante l’impero Napoleonico, e le fortunose vicende degli anni passati, avevano sensibilmente modificato gli animi dei fedelissimi sudditi della Chiesa. Già, prima ancora dell’occupazione Francese, avevamo cominciato a vedere non dubbie manifestazioni di sentimenti di libertà e di novità in ogni classe sociale, ora, dopo la restaurazione del Governo pontificio, che ben presto ritorna nell’antica via, questi sentimenti s’intensificano e prorompono di tanto in tanto in piccoli moti e ribellioni, forieri della prossima rivolta generale. Sono piccoli segni rivelatori di un avvenimento che matura, ma non per questo sono meno importanti e meritano meno studio; il Potere Temporale era destinato a perire, e queste periodiche manifestazioni mostrano chiaramente che il tarlo roditore, che ne minava l’esistenza, seguitava sempre la sua opera di distruzione. Noi vediamo questo povero Governo dibattersi tra i briganti, diventare lo scherno dei Barbareschi che ne saccheggiano audacemente il litorale adriatico e mediterraneo, cedere davanti ai tumultuanti di Rimini e d’Ancona, che ne avevano cacciato tra i fischi il Delegato. Ogni piccolo incidente di simil genere getta l’allarme e lo spavento in ogni angolo; il nostro stesso Diarista non nasconde nelle sue notazioni l’interno orgasmo che cagionavano simili fatti: ai primi di marzo 1817 i lavoranti della Stamperia Camerale si rifiutarono di proseguire i lavori, intimando che venisse loro prima assicurata una paga mensuale, ed egli, con parole gravide di spavento, nota a questo proposito che in Roma vi è stata una specie di cospirazione; e quando, più tardi, i garzoni macellai fecero una consimile manifestazione, ritirandosi inoperosi sopra il monte Pincio, lo stesso spavento s’impossessò dei cittadini e dell’autorità. Ma non era la sola classe operaia che disturbava i pacifici sonni del Governo Pontificio, «Questa mattina, così troviamo nel Diario, il 6 Giugno 1820, di buon ora, essendosi ammutinati i ragazzi e ragazze dell’Ospizio S. Michele, dopo aver commesso delle insolenze contro il presidente di quel luogo Pio, Monsignor Olgiati, e gettati dei sassi alle sue finestre, si sono avviati, portando avanti la Croce, verso Monte Cavallo, e propriamente dal Card. Segretario di Stato, visitatore apostolico dell’Ospizio, il quale ha ammessi solo alcuni degli uomini, annunziando che oggi dopo pranzo si sarebbe recato personalmente a S. Michele, come ha fatto, non sapendosi ancora bene quali siano le provvidenze che abbia prese. Si dice che il malcontento abbia per cagione il poco buon trattamento ed anche il cambiamento fatto di recente del Maestro di casa».
I piccoli ribelli furono presto domati, ma la sollevazione costituzionale napoletana, scoppiata un mese dopo, ebbe non piccola ripercussione nello Stato Pontificio e mise l’Autorità in grande spavento; le stragrandi misure prese e l’arrivo delle truppe austriache scongiurarono la rivolta temuta, ma le manifestazioni isolate contro l’autorità seguitarono anche dopo con un crescendo impressionante.
Nel giorno 20 marzo 1823 Monsignor Cristaldi, Tesoriere, avendo saputo che doveva tenersi nel cortile della Sapienza una adunanza di studenti, mandò colà alcuni soldati; ma, riscaldatosi l’ambiente, si venne tra questi alle mani ed uno studente restò ferito. Grande fu la commozione di tutta la classe studentesca per questo fatto; il giorno 22 a mattina gli scolari in numeroso gruppo obbligarono vari professori a recarsi in carrozza con otto dei loro al Palazzo di Montecitorio per richiedere da Monsignor Tesoriere sodisfazione per l’insulto loro fatto dai soldati di finanza, mentre gli altri, in numerosa truppa, armati di bastoni, attendevano minacciosi sulla stessa piazza. Il Tesoriere cercò acquietarli, assicurandoli che si era ordinato il processo dei soldati, ma questi non si dettero per vinti. Nel dopopranzo tornarono di nuovo a riunirsi nei cortili della Sapienza, e, credendo soldato travestito un passante, lo bastonarono di santa ragione coi loro noderosi randelli; nè deposero la loro attitudine di minaccia, se non quando il Segretario di Stato fece arrestare i soldati provocatori.
Il principio d’autorità era minato, la dissoluzione si avanzava. Nei conventi perfino spirava il vento della ribellione.
«12 Giugno 1827. Il discorso del giorno è una battaglia seguita l’altro ieri tra i frati cappuccini nel loro refettorio, per mettere fine alla quale si assicura che fu necessario chiamare buon numero di carabinieri. Si dice che vi siano 7 od 8 feriti dai piatti e boccali, che furono le armi con le quali si combattè. Per quanto non si sappia positivamente qual fosse la cagione di tale disgustoso avvenimento, la voce più comune si è che sia stato un malcontento in genere e non recente contro il governo del loro generale Micara.»
Il giorno in cui in tutto il popolo fosse penetrato questo nuovo sentimento, il Governo pontificio doveva inesorabilmente cadere e per sempre.