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Guglielmo Avenas

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Necrologie - Tacito Martini Iscrizioni e poesia

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GUGLIELMO AVENAS


― 18421


La vita al fine, e il dì loda la sera.


Galantuomo e persona di garbo sono vocaboli di origine aristocratica, ma in principio non ebbero valore morale, e furono tra i tanti segni, che distinguevano la razza fine dalla ignobile. A quei tempi il vassallo e il popolano non potevano chiamarsi galantuomini, nè persone di garbo; e non è molto riscontrai questo fatto. Un Duca Napoletano narrandomi come in certo luogo fosse stato trattato con leggerissima differenza, e forse al livello degli altri, che non erano Duchi, chiudeva il discorso così: in quel luogo il galantuomo non è rispettato. Io feci atto al Duca come per dirgli: pur troppo! e pensai tra me, che, come uomo di secolo XIX, il Duca era almeno 200 anni addietro, e parlava una lingua morta; ma come Duca de la vieille souche era nel suo elemento, e aveva ragione.

Galantuomo in séguito trasmigrando dall’uso privilegiato di una casta all’uso comune vestì senso diverso, ma sempre assai limitato, e significò, e significa ancora l’Uomo puntuale a pagare. [p. 197 modifica]

Oggi però il vocabolo ha fatto la più grande ascensione possibile, e galantuomo s’intende propriamente colui, che senza fasto nè seconde intenzioni adempie tutti i doveri dell’Uomo, e del Cittadino.

Il ritratto d’un galantuomo è più difficile forse d’ogni altro. Voi non avete quasi mai la statura grandiosa, il portamento solenne, le parti angolose, il colorito avventato, ed i contrasti da scuotere i sensi, e la fibra di chi guarda. Invece avete una estrema regolarità di contorni, castigatezza di forme, colori tranquilli, conseguíti per via di gradazioni infinite, e tutte soavi; avete un perfetto equilibrio di quantità, e di qualità; avete ogni cosa al suo posto, avete l’ordine morale nella sua più semplice e più giusta espressione.

In somma voi non potete farne una figura di spolvero. – Già un galantuomo non trova mai il vento fresco della fortuna, che lo porti per aria, e fornisce a piedi il suo terrestre pellegrinaggio; e così non avendo un cocchiere, che gridi in pubblico – bada alla vita, – nessuno si volta a vederlo, nessuno conosce il suo nome, nè dove stia di casa. È provato, che una pariglia di buoni cavalli si fa largo, e attira gli sguardi meglio di una pariglia di buone azioni.

Un galantuomo non può mai ferir dritto allo scopo, perchè ha sempre delle distrazioni col pudore, e colla coscienza. – Un galantuomo generalmente ha disgrazia al giuoco, e in amore.

Un galantuomo facendo e dicendo cose, che i più non fanno, e non dicono, offende la moda, e la moda lo consegna al braccio del ridicolo.

Quindi a fare il galantuomo ci vuol coraggio, e pazienza. Ma la maggiore difficoltà per farne il ritratto è che se ne vede di rado l’Originale, e così, [p. 198 modifica]mancando l’occasione frequente di copiare dal vero, non è dato acquistare quella franchezza e valentia, che l’eccellenza dell’Arte richiede.

Noi pertanto atterriti da tanti ostacoli disegneremo alla meglio un profilo.

Dovendo fare l’inventario delle parti, che compongono un galantuomo, la prima di tutte a presentarsi è la fisonomia, parte essenziale, che merita studio e considerazione. La fisonomia, è il prodotto dell’uomo interiore, – lo spirito modella la materia. Scrutate chiunque con occhio diligente e inflessibile, e dopo più o meno prove avrete resultati quasi infallibili, penetrerete la maschera la più ingegnosa, la meglio incarnata e immedesimata col volto umano. Questa scienza, che val quanto un’altra, perchè consiste tutta di osservazioni e di confronti, è stata chiamata vana e temeraria come l’astrologia. Ma gli uomini talvolta sanno pur troppo quel che si dicono; – gli uomini la più parte hanno interesse a non essere indagati.

Quì nel caso nostro la facciata era di buono stile.

Dopo avere attentamente esaminata quella testa di parti larghe e virili, l’effetto dell’insieme era un senso di conforto, come quello che tu provi incontrando una giornata tepida e luminosa nel verno. A veder quella testa uno si sentiva invitato a metter giù le armi, che l’uomo è solito portare viaggio facendo in questo mondo; uno sentiva le dolcezze inconsuete della sicurezza, dell’abbandono e del riposo.

La facciata era di buono stile, e l’interno corrispondeva in ogni sua proporzione; e per amore di brevità dirò, che i molti e svariati lineamenti dell’animo suo si riassumevano finalmente in due tratti, o potenze, che sporgevano eminenti, e gli davano espres[p. 199 modifica]sione distinta. Egli ebbe queste due potenze dalla Natura, e le corresse e ritemprò alla scuola dell’esperienza, la quale i buoni rende migliori, e i cattivi maggiormente intristisce.

Una era la potenza di sopportare, e l’altra quella di compatire; due virtù uniche forse ad aver titolo legittimo a tanto nome, e certamente indispensabili nel consorzio sociale; poichè sopportare in sè stesso con dignità le traversie e le amarezze, onde si riempie la vita, è segno di forza; e compatire, non in senso sterile e inerte, ma in senso attivo e benefico, compatire gli errori, le colpe, e le sventure nel prossimo, è segno di amore, e ambedue sono i cardini sui quali gira l’umana bontà.

In somma a veder quella testa non si poteva sbagliare, e quella fronte pensierosa, ma di pensieri sereni, non gridava – addietro, – come quasi tutte gridano, ma portava scritto a caratteri scintillanti – entrate. –

Chi ha sofferto veramente di cuore, e ha provato come il mondo abbia le mani troppo ruvide, anche quando intende di medicare, colui solo sa quanto faccia buono trovare un asilo siffatto, quando l’anima è smarrita dal dubbio, o lacerata dal dolore, o assiderata dal bisogno.

E il dubbio, e il dolore, e il bisogno, trovarono in Lui onesta accoglienza, e sollievo pronto, e cordiale.

Il povero segnatamente andava a colpo sicuro, nè riportava indietro il – non ne ho spiccioli, o l’ – andate a lavorare, – monete di conio moderno, ma di lega inferiore assai all’antico – Dio vi consoli, – perchè questo almeno conteneva un’ombra d’affetto, e se non dava nulla alla bocca, dava qualche cosa al cuore, e il cuore anch’esso ha bisogno di qualche cosa. [p. 200 modifica]

Ma prendiamo il punto di luce più giusto, – vediamo l’uomo in azione.

Egli fu Negoziante. La parola Negoziante tiene un piccolo spazio, ma in quello spazio entra una folla di cose infinite a ridirsi. Negoziante è colui che traffica la roba sua, e l’altrui, ma più spesso quest’ultima sola. Passare per la roba degli altri è uno stretto pericoloso, e non farvi naufragio o avaria è un bel fare. Se tutti nascessimo fasciati d’un bel patrimonio, la parte di galantuomo sarebbe facile, ma non avrebbe merito. Il merito sta nel combattere e vincere, specialmente quando i mezzi della difesa non sono proporzionati a quelli dell’offesa. Già il sistema di proprietà non è passato finora nella mente degli uomini a stato di convinzione, e il tuo e il mio sono così complicati, e confusi tra loro, che spesso ti avviene, anche non volendo, di prendere in iscambio l’uno per l’altro. Oltre di che voi avete dalla vostra la coscienza sola, la quale non istà sempre bene di voce, ma come può bada a suggerirvi – non rubate, – mentre dalla parte avversa avete il bisogno, l’istinto, l’occasione, e le mani. Il bisogno è bestia, che non intende ragione; l’istinto disgraziatamente porta per in giù; quello che faccia l’occasione, ve lo dica il proverbio, che corre per la bocca d’ognuno; e le mani, guardate la struttura delle mani, e le vedrete flessibilissime configurarsi a gancio ogni momento, e le vedrete create destinate apposta a prendere tutte le cose, inclusive il fuoco.

Facciamo alto un minuto, o Signori. Un Negoziante che per 76 anni è rimasto fermo sul suo è una parentesi nella storia del Commercio, – è il re dei galantuomini, – e merita una corona di punti ammirativi.

E torniamo a vedere l’uomo in azione. Un padre [p. 201 modifica]e una madre morivano, e lasciavano a Lui, all’Amico, quattro figli di tenerissima età, destinandolo tutore. Oggimai il progresso e le leggi hanno provveduto in guisa, che se un pupillo ha qualche cosa nell’uscire di minorità la ritrova, e un tutore di garbo oggi, basta volerlo, si trova dappertutto, e subito; – è un vestito bell’e fatto.

Ma quarant’anni addietro il tutore nasceva sotto il pianeta di Saturno; e un tutore che non divorasse i suoi pupilli era una cosa inaudita, un mostro, una cosa da farsi vedere.

Egli amministrava pertanto severamente, e restituiva ai pupilli un patrimonio accresciuto.

Ma la bontà profonda dell’indole sua operò in Lui quello, che la Natura non può consentire se non per miracolo; quello, che un padre e una madre morendo non osavano, nè potevano sperare, cioè, che l’amico e il tutore si convertissero sostanzialmente in Padre affettuoso, e continuo. E fatto Padre non pensò solamente alla roba, e alla educazione ordinaria degli orfani, ma accolse questi figli dell’anima sua, e li difese, e li diresse a princìpi sani, e a vita onorata, ammaestrandoli coll’insegnamento efficacissimo dell’esempio, e diffuse sulla loro giovane esistenza le cure, e il tepore, che i padri e le madri diffondono sulla prole. E così quegli Orfani non sentirono l’aria fredda dell’indifferenza, ed Egli provò le gioie e gli affanni della paternità.

Io l’ho veduto non è gran tempo questo vecchio venerabile nella morte d’uno dei suoi pupilli, – ho veduto il suo dolore, dolore senza lacrime, e senza parole, – che di quando in quando alzava gli occhi al cielo, – unico appello e refugio delle anime afflitte profondamente. [p. 202 modifica]

E cosa merita un uomo siffatto? l’uomo, che per i figli non suoi ha saputo sublimare il cuore, e crearvi dentro l’intelligenza, l’amore, e il dolore di padre? – Il premio vero della virtù è in un mondo migliore, e intanto un uomo siffatto tra noi merita una corona dei più bei fiori, che germoglino sulla terra, – una corona di benedizioni.

Egli ebbe nome GUGLIELMO AVENAS. Nacque in Nizza, e visse lungamente in Livorno, dove morì il 21 Gennaio 1842. Morì come muoiono i giusti, senza terrori, e senza rammarichi, colla coscienza sicura del fatto suo, e coll’anima verso Dio.

I Fratelli Pachò mossero queste poche parole per onorare la memoria del tutore dilettissimo, e soddisfare in parte all’amore, alla riconoscenza, e al desiderio, che di sè ha lasciato vivissimo quest’uomo dabbene.

Voi tutti poi pregate per lui, onde egli preghi per noi in quel luogo dov’è un Giudice solo, una legge sola, e una verità sola, dove non è anticamera, che trattenga, o disperda le suppliche dei poveri mortali.

Note

  1. [p. 206 modifica]Livorno, Tipografia Sardi, 1842. Seconda edizione. – nella Rosa di Maggio, 1843.