Scritti politici e autobiografici/Per l'unificazione politica del proletariato italiano

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Per l'unificazione politica del proletariato italiano

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Per l'unificazione politica del proletariato italiano
Un altro passo verso il precipizio
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PER L’UNIFICAZIONE POLITICA

DEL PROLETARIATO ITALIANO1


«Giustizia e Libertà» è un movimento politico nuovo senza riscontro nella geografia politica tradizionale. È l’unico tra i movimenti antifascisti sorti nel corso della lotta contro il fascismo che sia riuscito ad affermarsi stabilmente. Ciò dovrebbe bastare a provare che nella natura del suo apporto v’è qualche cosa di originale e di necessario che gli altri partiti non hanno e che appunto ci proponiamo di mettere in luce in questo articolo.

Essenzialmente quel che essa porta di nuovo è una coscienza più chiara di ciò che sia il fascismo, di ciò che il fascismo significhi nella vita contemporanea non solo sul piano dei valori politici, ma dei valori [p. 190 modifica]umani; assieme ai modi più efficaci per combatterlo e sradicarlo. «Giustizia e Libertà» si potrebbe definire come il primo movimento europeo integralmente antifascista, perché nel fascismo vede il fatto centrale e la novità tremenda del nostro tempo, e perché la sua opposizione deriva non già da una difesa di posizioni precedentemente acquisite o da una semplice estensione degli schemi della lotta anticapitalistica, ma da una volontà di liberazione che si sprigiona dallo stesso mondo fascista e dalla concreta esperienza della lotta.

Di qui il carattere spregiudicato, quasi sperimentale, di tutta la sua azione; l’inquietudine intellettuale che lo pervade. Gli uomini di G. L. sono un poco gli «enfants terribles» dell’opposizione (sbizzarritevi su questa definizione, ipercritici a corto di argomenti!) ora graditi agli uni, ora agli altri, incapaci di metter giudizio, cioè di ripiegare su qualche formuletta stereotipa e su un’attività che dispensi dal pensare e dall’affrontare i nuovi problemi sollevati dal fascismo.

Nessun dubbio che «Giustizia e Libertà» abbia molto evoluto, molto cambiato in questi otto anni di vita. Muterà certo ancora, almeno fino a che non si sia riusciti a fare seria presa sul colosso fascista.

Tuttavia, nonostante la varietà degli atteggiamenti e delle esperienze, che non intendiamo difendere in blocco, una fondamentale coerenza di motivi e di sviluppo c’è; ma difficilmente la si coglie dall’esterno.

G. L. è la storia degli sforzi, dei sacrifici di un numeroso gruppo di giovani antifascisti che dopo la [p. 191 modifica]liquidazione ingloriosa delle vecchie opposizioni parlamentari si sono gettati nella lotta rivoluzionaria. Non provenivano da un solo partito, ma da tutti i partiti: socialisti, comunisti, democratici, repubblicani, sardisti, allievi di Gobetti, di Gramsci, di Salvemini, intellettuali senza partito, giovanissimi arrivati alla ribellione per vie proprie nella solitudine tirannica, operai rivoluzionari formatisi attraverso le lotte di fabbrica e di strada, vecchi militanti insofferenti di attesa. Più che un programma comune li legava agli inizi uno stato d’animo: la rivolta contro gli uomini, la mentalità, i metodi del mondo politico prefascista, responsabile della fine miserabile dell’Aventino; una volontà attiva di lotta, che voleva essere anche di riscatto dall’umiliazione per la battaglia non data e la sconfitta non meritata; una convinzione non precisa nei termini, ma chiarissima nei motivi, della necessità di un rinnovamento «ab imis» della vita sociale e morale del paese.

Fu il periodo «unitario» e romantico di G. L., fronte unico di azione demo-social-repubblicano (1929-32); contrassegnato da un grande sforzo di propaganda e di organizzazione illegale, da azioni ardite (evasioni, voli, ecc.), da iniziative senza posa rinnovate.

È in questa fase che G. L., che ha la sua base pressoché esclusiva in Italia, impone l’esigenza e la preminenza della lotta in Italia. Il principio dell’autoliberazione degli italiani come secondo Risorgimento che deve spezzare i compromessi del primo e aprire [p. 192 modifica]la via all’emancipazione sociale, è caratteristicamente suo. Come sua è la tesi che nella lotta contro lo stato totalitario, dove così difficile è il lavoro sistematico di massa, si debba ricorrere a metodi nuovi, capaci di colpire la fantasia del popolo e di suscitare energie, utilizzando tutti i ritrovati della tecnica moderna.

I progressi iniziali grandissimi, attirarono però ben presto la brutale e sistematica reazione poliziesca. Uno dopo l’altro vennero colpiti, talvolta a due o tre riprese, i centri di Milano, Como, Pavia, Parma, Bergamo, Venezia, Treviso, Trieste, Fiume, Torino, Vercelli, Cuneo, Novara, Genova, Savona, Bologna, Reggio, Cesena, Firenze, Livorno, Pisa, Siena, Grosseto, Roma, Ancona, Cagliari, per limitarsi ai maggiori.

L’atteggiamento stupendo tenuto nei vari processi dai Rossi, Bauer, Fancello, Calace, Traquandi, Andreis, se valse a rivelare tempre eccezionali di capi e ad incitare altri alla lotta, non riuscì tuttavia ad evitare la depressione inevitabile, tanto più che in quegli anni il fascismo si rafforzava e si estendeva all’Europa.

G. L. fece allora la dura esperienza di tutti i movimenti rivoluzionari nascenti, che l’entusiasmo degli iniziali successi porta a trascurare la prudenza indispensabile: del come sia lenta e faticosa in regime di persecuzione la formazione di nuovi capi e la sostituzione dei gruppi caduti. D’altronde alla stessa sorte non sfuggirono i centri comunisti nonostante la maggiore esperienza.

Col 1932 si può dire prenda fine, anche per as[p. 193 modifica]senza di quadri efficienti, la lotta sulle posizioni di concentrazione democratica socialista. Le feste del decennale, l’ingresso di 6.000.000 nuovi membri nel partito fascista, la nuova demagogia corporativa, ingenerarono in larghi strati dell’opposizione la convinzione che ormai il fascismo sia stabilizzato, una nuova generazione si affaccia, con la quale è necessario fare i conti. Anche quando è antifascista lo è con mentalità e preoccupazioni diverse da quella dell’opposizione combattiva del periodo post-aventiniano, con la quale ha perduto, oltretutto, quasi ogni contatto. Il fascismo, ai suoi occhi, non è più la parentesi irrazionale; è la norma, il quadro necessario dell’esistenza, il punto di partenza per ogni azione. Essa si rende conto dell’insuccesso della generosa ma tardiva controffensiva dell’opposizione. Non si accontenta più di una propaganda generica spicciola, basata sulla speranza del rapido sviluppo di un moto insurrezionale. Vuole degli ideali, e più ancora delle idee, una autonomia di posizioni, una lotta meno legata all’attualità.

Fu per G. L. un periodo delicato di passaggio. Da alleanza di azione basata su un minimo comune denominatore politico, doveva trasformarsi in movimento politico, darsi un programma, sopratutto ridare all’antifascismo che sembrava esaurito, un serio contenuto intellettuale. Se non si voleva improvvisare era giocoforza passare attraverso una fase di studio e di discussioni, senza tuttavia mai abbandonare il lavoro pratico. [p. 194 modifica]

Nacquero così i «Quaderni di G. L.» (1932-1935), la cui redazione fu assicurata soprattutto dai compagni italiani. Il primo Quaderno conteneva uno schema di programma che fornì alimento alla prima discussione. Era un programma socialista rivoluzionario, imperniato sui concetti di autonomia e dei Consigli ereditati dall’«Ordine Nuovo» e dalla «Rivoluzione Liberale». Il suo difetto era non la genericità — ché anzi abbondava in precisazioni — ma piuttosto un’eccessiva prudenza nelle formulazioni dovuta al desiderio di non compromettere all’improvviso il carattere unitario del movimento in sede di azione, tanto più che G. L. all’estero era giunta nel frattempo ad un accordo con la Concentrazione.

Chi sfogli oggi la collezione dei «Quaderni» vedrà come il programma venne criticato e superato e come, pure attraverso la varietà e talora la contraddittorietà dei contributi, il movimento si maturasse politicamente: la libertà nella fabbrica, la riforma agraria, la funzione del proletariato, la struttura dello stato, furono i temi principali attorno a cui fervé la discussione. Ma soprattutto i Quaderni servirono a farci misurare per la prima volta la portata del fenomeno fascista, la necessità di una lotta su un fronte infinitamente più largo di quello della stretta politica, la inanità dei partiti tradizionali, organi della lotta politica in clima democratico.

Dopo essere stata tutta azione, G. L., sotto il contraccolpo del trionfo hitleriano e il dilagare del fasci[p. 195 modifica]smo in Europa, rischiò di diventare tutto pensiero e critica; cioè, in una lotta com’è quella che ci confronta, quasi utopia.

A richiamarla alla realtà, a ridare speranza ai compagni italiani e a offrire nuove occasioni di propaganda e di lotta, vennero le giornate di Vienna, l’insurrezione delle Asturie, la riscossa francese; mentre la rottura della Concentrazione, ormai ramo secco, e la nascita del settimanale, la costringevano a darsi anche all’estero una prima ossatura organizzativa favorendo l’incontro tra un gruppo di intellettuali e gruppi di operai.

È appunto tra il 1934 e il 1935 che G. L. acquista quei caratteri che ha tutt’oggi e che ne formano la vera originalità: l’unione, per la prima volta tentata, tra un’energica, ostinata volontà di azione e di lotta pratica, con una grande larghezza e intensità di vita intellettuale. Di questa unione il giornale, di cui proprio in questi giorni si compie il primo triennio di vita, e la partecipazione alla lotta armata in Spagna, costituiscono i due esempi più significativi.

G. L. aspira ad essere ad un tempo organizzazione rivoluzionaria e sforzo di cultura; movimento politico e centro di vita. Si potrebbe definire «un partito in formazione» se l’espressione «partito» non implicasse una visione sezionale della politica, un formalismo e anche un fanatismo che possiede in troppo scarsa misura.

Ciò che preme agli uomini di G. L. non è la for[p. 196 modifica]tuna del loro movimento come tale, ma lo sviluppo della Rivoluzione Italiana, l’autoliberazione, l’autoemancipazione del popolo italiano, il sorgere, sulla rovina dei fascismi, di una nuova Europa. G. L. è per loro uno degli strumenti, un quadro d’azione che mai potrà sostituirsi al fermento di liberazione del popolo. Essi sono talmente convinti che dopo quindici anni di fascismo la Rivoluzione Italiana procederà per vie imprevedibili, creando nuove forme e organi di vita politica, espressione della nuova realtà sociale, che considerano assurde e miopi le querele e le accademie di esilio. Perciò favoriscono in ogni modo, su tutti i settori, l’avvicinamento tra le forze antifasciste per unificare la lotta e in particolare la fusione, non improvvisata, non meccanica, delle correnti proletarie.

G. L. — già avemmo occasione di scriverlo all’inizio di questa serie di articoli — è un movimento che ha ormai un netto carattere proletario. Non solo perché il proletariato si dimostra dovunque come l’unica classe capace di operare quel sovvertimento di istituzioni e di valori che si propone; non solo perché nel seno del movimento gli elementi proletari hanno sempre maggior peso; ma perché nell’esperienza concreta della lotta ha misurato tutta l’incapacità, lo svuotamento della borghesia italiana come classe dirigente.

Certo non è facile definire G. L. in base alla terminologia usuale dei partiti proletari. In base a questa terminologia dovremmo definirci ad un tempo socialisti e comunisti e libertari (socialisti-rivoluzionari, co[p. 197 modifica]munisti-liberali) nel senso che riconosciamo quel che di vitale ciascuna di queste posizioni, in sia pure varia misura, contiene. Nel socialismo vediamo l’idea forza animatrice di tutto il movimento operaio. La sostanza di ogni reale democrazia, la religione del secolo. Nel comunismo la prima storica applicazione del socialismo, il mito (assai logorato, purtroppo), ma soprattutto la più energica forza rivoluzionaria. Nel libertarismo l’elemento di utopia, di sogno, di prepotente, anche se rozza e primitiva, religione della persona.

Affermiamo la necessità di una nuova sintesi, e crediamo che nei suoi termini essenziali, G. L. si avvii a darla. In ogni caso ci sembra che nessuno dei vecchi movimenti proletari sia capace, da solo, di assolvere ai compiti centrali della lotta contro il fascismo.

Questa lotta, ideale e pratica, chiede oggi di essere condotta contemporaneamente su due terreni: un terreno elementare, che sia di risveglio, di iniziazione del popolo alla libertà e alla difesa delle sue condizioni di vita; e un terreno ideale, finalistico che sia di educazione di una nuova classe dirigente, della nuova «élite» rivoluzionaria, di contrapposizione del mondo dei valori umanistici del socialismo al mondo inumano del fascismo.

Le due lotte non sono diverse, staccate nel tempo e negli obbiettivi; ma aspetti necessari e legati di una lotta unica che trascende le possibilità di ogni singola corrente. [p. 198 modifica]

Per condurre la prima si propone la costituzione di un Fronte Popolare Italiano non ricalcato su quello francese, e adeguato alla situazione italiana.

Per condurre la seconda si fa affidamento, oltre che sui partiti, sullo sviluppo e sull’allargamento dell’unità di azione proletaria.

Siamo favorevoli a entrambi, ma come espedienti provvisori o come avviamento a formazioni assai diverse.

Ad abbattere il fascismo non saranno né il Fronte Popolare — che presuppone la vita democratica e dei forti partiti — né l’unità d’azione — che sinora ha più favorito l’irrigidimento dei partiti sulle loro posizioni rappresentative formali, che il loro effettivo riavvicinamento.

Che cosa, allora?

Una formazione nuova, originale, capace di condurre contro il colosso totalitario una lotta ad un tempo pratica, politica, culturale.

Di questa formazione il proletariato sarà il pernio. Ma non bisogna pensarla in termini di partito tradizionale. La nozione tradizionale di partito è insufficente, sorda a troppe esigenze che la lotta contro il fascismo, e lo stesso successo fascista, ci hanno rivelate. È una forma politica nuova quella che si dovrà elaborare; e non già a tavolino, ma nell’esperienza del lavoro comune, attraverso la fusione progressiva delle varie frazioni proletarie e il potenziamento di tutti i motivi vitali di opposizione. [p. 199 modifica]

Il partito unico del proletariato, se vorrà essere una forza rinnovatrice autentica, dovrà essere più che un partito in senso stretto, una larga forza sociale, una sorta di anticipazione della società futura, di microcosmo sociale, con la sua organizzazione di combattimento, ma anche con la sua vita intellettuale dal respiro ampio e incitatore.

G. L. che cosa vi porterà?

In primo luogo l’esigenza di questo rinnovamento sostanziale della lotta proletaria.

Una tradizione ininterrotta di azione e di iniziativa.

Un’interpretazione lucida, disincantata del fascismo, non solo come reazione di classe, ma come sprofondamento sociale.

Un rapporto intimo con la coltura e la storia del nostro paese, non nel senso del patriottismo volgare ma dell’adesione a quella realtà nazionale da cui la Rivoluzione Italiana trarrà la sua originalità creatrice.

La coscienza acuta di alcuni problemi che possono dirsi quelli della modernità dell’Italia (formazione di classe dirigente; riscatto del sud; alleanza proletariato urbano-contadini-intellettuali; federalismo) e soprattutto una preoccupazione centrale di libertà non astratta, non formale, basata su una concezione attiva, positiva, emancipatrice, della libertà e della giustizia (autonomie, Consigli).

Nell’attesa che l’unificazione maturi, sempre collaborando ad ogni sforzo disinteressato di unione, G. L. svilupperà la sua organizzazione politica proponendosi [p. 200 modifica]di fornire un esempio modesto ma stimolante di ciò che dovrà essere l’organo, e più che l’organo, l’organizzazione della rinascita proletaria in Italia attraverso il riscatto morale e sociale dell’intero paese.

Note

  1. Questo è il quinto articolo di una serie che Rosselli aveva pubblicato nelle settimane immediatamente precedenti il suo assassinio. La serie rimase interrotta dalla sua morte. L’articolo apparve in «Giustizia e Libertà», il 14 maggio 1937.