Sessanta novelle popolari montalesi/VIII

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VIII. Il Mago dalle Sette Teste

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VII IX

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NOVELLA VIII


  • Il Mago dalle Sette Teste

(Raccontata dalla ragazza Elena Becherini)


C'era una volta un omo pescatore, che aveva una moglie soda; nun gli faceva punti figlioli, abbeneché maritata da dimolto tempo. Un bel giorno il pescatore con le su' reti se n'andiede a pescare nel lago vicino, e gli rinuscì d'acchiappare un pescio di gran bellezza e grossezza, che a mala pena messo fora dell'acqua principiò frincando a suppricare il pescatore, che lui si contentassi di lassarlo andar via, e in concambio gli prometteva d'insegnargli uno stagno lì in que' dintorni, addove arebbe possuto in un mumento fare una pescagione ricca. Il pescatore, in nel sentir parlare un pescio, s'impaurì a bono, e gli parse un gran miracolo, sicché senza manco pensarci su diede passo libbero all'animale, che subbito sparì dientro l'acqua; ma lui, vienuto allo stagno che gli aveva detto il pescio, in due o tre retate, de' pesci ne chiappò una quantità smensa, e carico più d'un ciuco se n'andette a casa con quella preda insolita. La su' donna volse sapere quel che mai 'gli era accaduto al pescatore, che aveva riporto tatto quel pescio; e lui per filo e per segno gli disse ugni cosa. Scrama la donna a quella nova, e 'mbizzita contro il su' marito: - Che mammalucco! Tu ti sie' lasso scappare un pescio bello a quel mo'! Bada bene di ricercarlo domani, ch'i' lo vo' qui, e ci vo' ammannire un intingolo squisito da cavarmi la fame per un pezzo. Deccoti, il giorno doppo il pescatore ritorna al lago per contentar la su' moglie e butta le reti, e daccapo tira su il [62] pescio [p. 62 modifica]che parla: ma anco questa volta lui si fece scommovere dalle suppriche e da' pianti, e al pescio gli diede la via, e poi della pescagione n'ebbe quanta ne volse in nel solito stagno. La su' donna però, quando il pescatore viense a casa e gli disse quel che aveva fatto, nuscì da' gangheri, mettiede le mane 'n su' fianchi, e con una faccia malandrina principiò a sbergolare: - Bue! Che sie' tu un omo di stoppa? Nun te n'addai che qui sotto gatta ci cova, e che è la fortuna che ti viene 'ncontro e te la spregi? O domani tu mi porti il pescio, o ti nimicherò in sin che campi. Tu ha' 'nteso? Pinto e incoraggito dagli sberci della moglie, a bruzzolo il pescatore rideccolo al lago; butta le reti, tira su, e il pescio ce lo ritrova dientro; e senza badare alle su' parole e a' pianti, il pescatore corre diviato a casa e dà vivo quel pescio in nelle mani della moglie; lei lo prese e lo messe subbito in un catino d'acqua fresca. Lì que' dua stevano d'attorno al catino a riguardarlo il pescio e ci facevano de' ragionamenti, e la donna fantasticava cercando qual era il meglio modo di cocerlo. Il pescio allora tirato il capo un po' fora dell'acqua, disse: - Siccome i' veggo che nun c'è rimedio per me e mi toccherà a morire, almanco lassatemi far prima testamento. Il pescatore e la donna gliel'accordorno questa grazia, e il pescio parlò accosì: - Quand'i' sarò morto, sparato e cotto, che la mi' carne se le mangi la donna, la broda della lessatura datela a bere alla cavalla, buttate le mi' ossa alla cagna, e le tre teghe più grosse piantatele ritte in nel vostr'orto. Ma ubbidite e nun ve ne scordate. Doppo ammazzato e cotto il pescio, que' dua stiedano appuntino a quel che lui aveva detto; e accadette che la donna, la cagna e la cavalla ingravidorno e al su' tempo partorirno ognuna tre mostri della su' propia specie, e dalle teghe piantate nell'orto crebban su tre belle lance; e tutti questi mostri si rassomigliavan tanto tra di loro, che nun era possibile ricognoscergli insenza mettergli un segno addosso. Quand'i ragazzi furno giovanotti grandi, il babbo gli diede un cavallo, un cane e una lancia per uno, e del suo ci aggiunse uno stioppo da caccia: ma nun passò dimolto tempo che il primogenito si straccò di starsene a casa poero, e volse andar [ [p. 63 modifica]63] per il mondo in cerca di fortuna. Lui dunque monta a cavallo, piglia con seco il cane, la lancia e lo stioppo a armacollo, saluta tutti quelli di casa e se ne va. Nunistante lassò una boccetta piena d'acqua chiara innanzi della partenza, e disse: - Caso mai quest'acqua s'intorbidisca, vienite a ricercarmi, perché io, o sarò morto o mi sarà intravvienuta qualche gran disgrazia. Addio. E via a galoppo. Il primogenito, doppo aver camminato dimolti giorni per paesi 'gnoti, s'abbattiede alle porte di una città ismensa e popolosa, addove entrato che fu, si meravigliò in nel vedere che tutti gli abitatori vestivano a bruno, tienevano il viso addolorato e pareva che piagnessero. Lui subbito ne domanda la ragione, e gli dissano, che un Mago ispaventoso con sette teste compariva da del tempo ugni dì in nel giardino reale al tocco di mezzogiorno e che divorava quanta gente gli capitassi 'n tra' piedi; che il Re, per rimedio di più gran male, s'era obbligato con il Mago a fornirgli a sorte un corpo umano al giorno; e che in quella medesima mattina la sorte appunto era toccata alla figliola del Re; e però la città intiera piena di rammarico s'era vestita a bruno. Il giovane, coraggioso dimolto, disse: - Oh! che nun c'è versi di salvare la figliola del Re e nell'istesso tempo libberar la città da un simil fragello? Gnamo, menatemi dal Re. Subbito il giovane lo condussano alla presenzia di Sua Maestà, e lui gli chiese il permesso di combattere con quel Mago e di ammazzarlo; ma il Re gli arrispose: - Giovanotto ardito, sappi che dimolti prima di te hanno tentato la 'mpresa, e ci rimessan, poeri sciaurati, la vita. Se però ti garba di risicarla, i' nun te lo 'impedisco. Anzi, se tu vinci, quella mi' figliola, oggi destinata per pasto del Mago, te la do in isposa, e tu sara' anco l'erede del Regno alla mi' morte. Niente 'mpaurito il giovane e di più messo al punto di diventare genero del Re e su' erede, si fece menare in nel giardino, addove già la Principessa steva lì per le terre in ginocchioni a raccomandarsi l'anima a Dio, a ugni mumento aspettando l'apparita del Mago. Quando il giovane la vedde, gli si accostò e la chiamò per nome, e poi gli disse che era vienuto per libberarla dalla morte e po' sposarla. A questi discorsi la [64] [p. 64 modifica]Principessa arrivolse gli occhi in verso del giovane, e tra' pianti arrispose: - Disgraziato! va' via; insennonò il Mago avrà oggi dua invece di me sola da divorare. 'Gli è un Mago tutto pieno d'incantesimi; come vo' tu fare a ammazzarlo? Il giovane, che nel guardare la Principessa se n'era subbito innamorato a bono, gli disse: - Tant'è, oramai vo' correre questo risico per amor vostro, e sarà poi quel che è destinato. Nun ci corse dimolto tempo da questi ragionari, che scoccò il tocco di mezzogiorno all'orologio del palazzo, e la terra principiò a strabalzare, e di repente e con gran fracascio si spalanca una buca e da quella tramezzo al foco e al fumo scaturisce fora il Mago dalle sette teste; e insenza pencolìo andiede infurito verso la Principessa con tutte le sette bocche aperte per azzannarla, e intanto fistiava dalla gioja, perchè aveva visto che in quel giorno c'eran du' corpi da farne pasto. Ma il giovane nun istiede a aspettare. Salta di balzo a cavallo, sprona contro il Mago, gli aizza il cane per imbrogliarlo e con una lanciata lo passa parte parte; e in quel mentre che il cane lo tratteneva co' denti, il giovane, sceso giù dalla sella, con la scimitarra mozzò in un attimo tutte e sette le teste di quel Mago infame, sicché l'ebbe morto, perché con quella furia di levargli le teste s'era rotto l'incantesimo; e accosì la Principessa scansò la su' fine e la città viense liberata da quel fragello. Quando il Mago nun deva più segno di vita, disse la Principessa al giovane: - Ora tu sie' 'l mi' sposo: ma piglia i contrassegni della vittoria e portagli al Re, sicché lui cognosca che hai ammazzato il Mago e ti permetta di darmi l'anello. Allora il giovane tagliò le lingue dalle sette teste del Mago, le ravvolse in un pannolino, e rimontato a cavallo se n'andiede a un albergo per mutarsi i panni tutti polverosi e insanguinati, e poi comparire alla presenzia del Re in ficura garbata e pulita. O sentite i casi. In una casuccia vicina al giardino reale ci abitava un ciabattino maero, sudicio e stralinco, ma di gran furbizia e cattiveria. Lui da lontano aveva visto il combattimento e sentuti i discorsi tra la Principessa e il giovane, e mulinò in nella su' testa un chiapparello da birbone. Dice: - Approfittiamo di questo bue, che ha lasso per le terre le teste del Mago e sciupa il tempo per vestirsi alla splendida. Subbito il [ [p. 65 modifica]65] ciabattino si cala dalla finestra, raccatta le sette teste mozzate, le nisconde dientro a un sacco, e pigliato un coltellaccio in mano, che prima tuffò ben bene nel sangue, corre in furia dal Re e con un'aria da gesuita gli dice: - Sacra Corona! Decco dinanzi a voi l'ammazzatore del Mago; e queste sono le su' sette teste che col coltello che vo' vedete gli staccai a una a una dal corpo. Dunque, Sacra Corona, mantienetemi la parola reale e datemi la vostra figliola per isposa. Il Re si sturbò in nel trovarsi tra' piedi quel brutto pitocco e alle parole temerarie che lui profferì. Nun sapeva capacitarsi come la faccenda fusse ita: credette anco che il giovane ardito l'avesse divorato il Mago e che il ciabattino profittando della disgrazia avesse dato l'assalto al Mago e l'avesse con poca fatica finito: a ugni modo la parola reale c'era, sicché al Re gli conviense arrepricare: - Se proprio la cosa sta così, e pare a' contrassegni, la mi' figliola 'gli è tua. Pigliatela. In quel mentre deccoti la Principessa in nella sala d'udienza, che a sentire il trattato principiò a urlare, che il ciabattino era un bugiardo e che lui il Mago nun l'aveva punto morto; bensì il giovane, che tra un po' vieniva al palazzo con le lingue del Mago. Dunque nascette un gran battibecco; ma il ciabattino stiede forte e mostrava le teste dientro al sacco come prova che lui raccontava la verità; e il Re per cagione del contrassegno nun si potette disdire, e gli bisognò, abbeneché con dispiacere, ordinare alla su' figliola di chetarsi, e che s'apparecchiassi pure a essere sposa di quel ciabattino 'gnorante. Subbito il Re comandò che s'annunzi al popolo l'avvenimento e che si preparino tre giorni di corte bandita con tre grandi conviti ugni otto giorni, e all'ultimo si sarebban celebrate le nozze. Infrattanto il giovane vincitore vero del Mago s'avviò in verso il palazzo reale: ma quando fu al portone, le guardie nun volsan farlo passare in nissun modo, e anco sentì in nell'istesso momento il banditore che per le piazze deva l'annunzio dello sposalizio della figliola del Re col ciabattino. Il giovane 'gli ebbe un bel protestare, e addimandava con impeto che lo lassino discorrere col Re: le guardie nun gli diedano udienza, rimasan dure come massi, e finalmente apparso il ciabattino, lui disse che senza indugio il giovane fusse [66] discacciato [p. 66 modifica]per forza. Gli conviense dunque a quel poero allocco fuggir via con la su' rabbia e mezzo piagnente, e rifatti i su' passi tornò all'albergo, e si mettiede a ruminare quel che poteva almanaccarsi per impedir le nozze del ciabattino e assieme discoprire tatto lo 'nganno, e che lo ricognoscessano per l'ammazzatore del Mago. In quel mentre a Corte la mensa era ammannita e dimolti gl'invitati; il ciabattino lo messano accento della Principessa, vestito alla ricca e con sette cuscini sotto 'l culo, perché lui istesse più erto e più comido. Il giovane, nell'albergo, doppo resto un po' a pensare, si rivolse al cane che gli era a cuccia a' su' piedi, e a un tratto gli dice: - To', Fido, corri su. Va' dalla figliola del Re, festeggia lei sola, e prima che comincino a mangiare butta all'eria la mensa, e scappa subbito e bada che nun ti chiappino. Il cane, che intendeva la parole del padrone, ubbidiente partì di corsa e saltò diviato in grembio alla Principessa, e lì a accarezzarla, e squattire, a leccarla nelle mane e nel viso. Lei lo ricognobbe e si rallegrava, e lisciandogli il groppone al cane gli chiedeva del su' libberatore: ma il ciabattino n'ebbe sospetto di tutti questi daddoli e voleva che in ugni mo' il cane fusse scacciato di sala. Deccoti che intanto si mette la zuppa in tavola; il cane allora addenta una cocca della tovaglia e giù, tira via con quella tutto l'apparecchio sul solaio, e rompe e guasta ugni cosa; e po' via a gambe per le scale, sicché nissuno lo potiede raggiungere e nemmanco vedere addove lui fusse andato. Figuratevi lo scompiglio e il trambustìo tra' convitati! Nun si pole raccontare il chiasso che ne seguì, tanto fu smenso. Passorno otto giorni e si viense al secondo banchetto. Il giovane disse al su' cane: - To', Fido, corri, e fa' come quell'altra volta. Quando la Principessa rivedde il cane, si mettiede a ridere dal contento: ma il ciabattino 'gli era pieno di temenza e di sospetto, e voleva assoluto che il cane fusse preso e scacciato via a son di busse; la Principessa invece lo difendeva con tutte le su' forze, e il ciabattino nun ebbe l'ardimento di contraddirla, abbeneché stesse di mal animo. Insomma, portata la zuppa in tavola, il cane lesto al solito addenta la tovaglia, tira ugni cosa sul solaio, sfragella l'apparecchio e scappa più del vento. Gli ebbano un bell'ansimarsi le guardie e i [ [p. 67 modifica]67] servitori, ché nun gli potiedan dar dietro e lo persano di vista. Al terzo banchetto disse il giovane al cane: - To', Fido, corri e fa' il medesimo dell'altre volte; ma questa, lassati pigliare all'uscio di cammera mia. Il cane stiede agli ordini, e le guardie quando presano il cane a quel modo, sentito che 'gli era di quel giovane, pure lui l'arrestorno e lo menorno davanti al Re. Il Re in nel vedere il giovane lo ricognobbe, e gli disse: - Nun sie' tu quello che ti profferisti di salvare la mi' figliola dal Mago e libberare da quel fragello tutta la citta? - Sì, Maestà, i' son io, - gli arrispose il giovane; - e di fatto i' feci com'i' avevo promesso. A quelle parole s'alza inviperito il ciabattino e principia a bociare: - Nun è vero, nun è vero. I contrassegni dell'ammazzamento son io che gliegli ho porti al Re, e il Mago l'ho morto con le mi' propie mane. Il giovane però senza sconturbarsi si arrivolse al Re e gli dice: - Bene! che si portino qui le sette teste mozzate del Mago e si vedrà chi ha ragione. A male brighe le sette teste le depositorno a' piedi del Re; fa il giovane: - Oh! guardate un po' se queste teste abbino le su' sette lingue dientro la bocca. Ma siccome le sette lingue nun ce le trovorno, il giovane tirò fora di seno il pannolino addove lui l'aveva rinvolte, e poi per filo e per segno raccontò quel che gli era accaduto. Il ciabattino nunistante nun voleva darsi per vinto; pretese che le lingue e' l'aveano da misurare a' su' posti per ricognoscere se ci andevano; e ugni volta che la prova via via gli rinusciva a traverso per lui, dalla rabbia scaraventava di sotto al su' culo uno de' sette cuscini, e quando fu all'ultimo, gambe mia! s'attentò per iscappare: ma lo presano subbito e per comando del Re fu impiccato in piazza in quel vero mumento. Tutti allegri il Re, gli sposi e i convitati si siederno a mensa a far baldoria, e poi conclusan le nozze, e vienuta la sera ognuno andette a dormire. Quando fa a mala pena giorno il giovane si levò, aperse la finestra e vedde dirimpetto una selva piena d'uccelli, sicché gli viense la voglia di cacciar là dientro: ma la moglie lo scongiurava a dismetterne il pensieri, e gli disse, che quella selva era incantata, e qualunque ci si [68] [p. 68 modifica]trovava per su' disgrazia, nun arritornava più a casa. Il giovane però, coraggioso e temerario, appunto perché in nella selva ci si correva pericolo, s'incaponì d'andarci, e pigliato con seco il cane, la lancia e lo stioppo, fece partenza. Lui aveva di già morti dimolti uccelli, e a un tratto deccoti si leva un temporale, che pareva il finimondo, con lampi, troni e saette da isbalordire, e l'acqua pioveva giù a bocca di barile. Il giovane, molle insino all'ossa, s'accanava per nuscir dalla selva, ma la via e' l'aveva spersa; sicché, acchiappo dalla notte, vedde una grotta e pensò meglio di bucar dientro e lì aspettarci il giorno. La grotta era piena di statue di marmo bianco con diversi atteggiamenti; ma il giovane nun ci badò troppo, stracco e fradicio a quel modo: invece, ravviò delle legna secche e con l'acciarino accese un po' di foco per rasciuguarsi e cocere gli uccelli morti, ché la fame nun gli mancava, e intanto ripensava alla su' moglie e si pentiva dimolto di nun avergli dato retta. Di lì a un po', eccoti che apparisce una vecchiarella nella grotta, e la sbatteva i denti come intirizzita dal freddo e tutta fradicia da capo a' piedi. Adagio adagio s'accosta al giovane e lo pregò di lassarla riscaldare. Dice lui: - Vienite pure, nonnina, che mi tierrete compagnia. La vecchiarella si siedé e offerì al giovane del sale per gli uccelli arrostiti, del pane per il cane e della sugna per ugner l'armi; ma a mala pena che il giovane ebbe mangiato gli uccelli, il cane il pane, e l'armi furno unte, tutti diventorno statue di marmo lì appiccicati addov'erano. Sicché la Principessa nun vedendo più arritornare il marito, lo credé morto, e il Re addolorato da questa perdita diede ordine che la città si vesta a bruno. Ora 'gli è tempo di sapere quel che 'gli accadeva infrattanto nella casa de' genitori del giovane sciaurato. Dal mumento che lui fu partito, ugni giorno guardavano la boccetta dell'acqua chiara, se mai la s'inturbassi, e un giorno, pur troppo! l'acqua la s'inturbò a bono. A quello spettacolo dice il secondogenito: - Il mi' fratello maggiore o è morto, o gli è intravvienuta qualche disgrazia. Vo' ire a cercarlo. Tienete; anch'io vi lasso questa boccetta d'acqua chiara, e se mai la fa come quell'altra, vo' sapete che dovete pensar di me e quel che vi tocca a fare. [ [p. 69 modifica]69] Addio. Monta subbito a cavallo, e col cane, la lancia e lo stioppo a armacollo parte di galoppo. Il secondogenito dappertutto addove passava, oppuramente si fermava, faceva delle domande sul su' fratello, dicendo alla gente: - Uno compagno a me che l'avete visto? E ognuno rideva e scramava: - Oh! bella; nun siete forse voi l'istesso dell'altra volta? Accosì il giovane capiva che anco il primogenito era passato per di lì da que' loghi, e cammina cammina sempre con questo ripiego, alla fine viense alla città reale, addove il primogenito aveva morto il Mago dalle sette teste e sposata la figliola del Re; e quando la gente lo vedde nentrare, tutti facevano le meraviglie e badavano a bociare: - 'Gli è lui, 'gli è lui! Nun è sperso; è salvo. Viva il Principe! Lo menorno diviato alla presenzia del Re, e tanto il Re, che la Principessa e la Corte, per l'inganno della gran somiglianza, lo sbagliavano per il primogenito; e lui, zitto, nun cognoscendo se 'gli era in mezzo a persone di garbo o a gente traditore: ma la rigirò accosì bene con furbizia nel domandare e nel rispondere, che viense a capo di raccapezzarsi a un bel circa sul conto della sorte del proprio fratello, delle su' nozze colla Principessa e del su' smarrimento in nella selva incantata. La notte, il secondogenito fece le viste di essere dimolto sturbato da' disagi sofferti e dimolto stracco, e si mettiede sur una sponda del letto e discosto dalla Principessa per nun toccarla, e di lì a un po' s'addormì. A bruzzolo, a mala pena sveglio, s'alza e anco lui apre la finestra e vede dirimpetto la selva, e voglioloso di ricercarvi a ugni patto il fratello, dice alla Principessa: - I' vo' ire a caccia laggiù. E la Principessa piagnendo: - Ma che nun ti bast'egli il pericolo che ha' scansato una volta e le pene ch'i' ho sofferto per cagion tua? Nun ci andar nella selva. Il secondogenito però nun gli diede punta retta, e partì in verso la selva assieme col cane, e con la lancia e lo stioppo. Costì, per nun raccontare le medesime cose troppo alla lunga, vo' avete a sapere, che gli accadé l'istesso che al primogenito, e rimanette anco lui dientro la grotta trasmutato in istatua di marmo; e la Principessa nun lo vedendo arritornare, lo tiense per perso affatto, e la città daccapo si vestì a bruno per comando del Re. [70] [p. 70 modifica]Infrattanto nella casa de' tre fratelli anco la boccetta d'acqua del secondogenito la veddano intorbidita, e però il terzogenito nun istiede a cancugnare; volse partire alla ricerca de' fratelli, e sellato il cavallo ci montò su, prese con seco il cane, la lancia e lo stioppo, e via a galoppo. Cammin facendo anco il terzogenito domandava alla gente delle nove: - Ci son egli mai passati per di qui du' giovani in tutto e per tutto compagni a me? E la gente: - Che omo buffo, che vo' siete! In che maniera vo' ricercate sempre delle medesime cose? Oh! non siete voi quello dell'altre volte? Che matto! Accosì il terzogenito capiva la strada tienuta da' su' fratelli e finì con l'arrivare nella città, che lo ricevette con gran festa, come un morto risuscitato, e lo condussan dal Re, e al solito, tanto il Re, che la Principessa e la Corte lo credettano, per la gran somiglianza, il primogenito. Lui pure la sera se n'andiede a letto con la Principessa, ma si finse stracco e dormì sur una sponda insenza toccare la sposa, e poi la mattina di levata aperse la finestra, vedde la selva e disse: - I' ci vo' ire a caccia. Figuratevi se la Principessa a quel proposito si disperò! Scrama: - Ma dunque, proprio ti garba d'andare in perdizione? Decco il gran bene, e tu vo' farmi morire dalla paura e dall'ascherezza. Il terzogenito però, che aveva in core di vedere se i su' fratelli si potevano ritrovare, non gli diede retta, e partì col cane e le su' armi in nelle mane. Quando il terzogenito fu nella selva tirò delle stioppettate e ammazzò dimolti uccelli; ma tutto a un tratto si leva il solito temporale, sicché molle gli conviense rifugiarsi nella grotta, addove guardate ben bene le statue ci ricognobbe subbito anco i su' due fratelli. Dice allora intra di sé: - Qui c'è dicerto qualche inganno; dunque, starò con gli occhi aperti. Intanto accese il foco per rasciugarsi e per cocere la caccia, e di lì a un po' deccoti apparisce la vecchina, che con de' daddoli gli addomandò che la lassasse riscaldarsi; ma il giovane gli diede un'occhiataccia di traverso e con mal garbo gli disse: - Fatti in là, brutta strega, accanto a me non ti ci voglio. La vecchiarella parse scombussolata a quell'accoglienza; frignando arrispose: - Oh! che vo' nun avete punta carità del prossimo? Eppure i' ho da offerirvi come cenar meglio; del sale [ [p. 71 modifica]71] per gli uccelli arrosto, del pane per il cane, e di più anco della sugna per ugner l'armi, ché non arrugginiscano. Bocia a quelle parole il giovane: - Eh! vecchiaccia malandrina, me non mi cucchi, sai! - e insenza dargli tempo, gli salta addosso, la butta per le terre, con un ginocchio la tiene lì inchiodata, e in quel mentre gli strizzava la gola con la man manca, e con la man ritta cava la scimitarra e gliela mette accosto al collo, e a denti stretti burbotta: - Stregaccia infame! O tu mi rendi i mi' fratelli, o ti scanno in nel vero mumento. La vecchiarella badava a protestare che lei non n'aveva fatto del male a nissuno: ma il giovane non si scommosse e steva lì lì per segargli le canne della gola, sicché la vecchiarella impaurita gli confessò tutto l'incantesimo e gli promesse che l'avrebbe obbedito, salva la vita almanco, e subbito dalle tasche tirò fora un vaso d'unguento per ugnere le statue e ridargli a quel modo la vita. Il giovane nunistante non la lassò ire per affatto la vecchiarella, e con la scimitarra alle reni volse che da sé facessi l'unzione; e n'accadé che dopo poco tutte quelle statue di marmo ridoventorno persone vive e la grotta ne fu empiuta. I fratelli a male brighe si veddano s'abbracciarono stretti e allegri, e gli altri non sapevano trovar parole bastanti per ringraziare il terzogenito della su' opera bona. Ma in quel trambustìo la strega pensò di svignarsela, e quasimente ci rinusciva, se non se ne fussano accorti a tempo i tre fratelli, che gli corsano addosso e in senza misericordia la squartorno addirittura, e così ruppano l'incantesimo della selva; il primogenito anco gli prese il vaso dell'unto che rendeva la vita a' morti. In nel ritorno alla città reale tutti in un branco que' libberati dall'incanto parlavano intra di loro, e i tre fratelli si raccontorno quel che gli era accaduto; ma il primogenito quando sentì che gli altri fratelli avevano dormito con la Principessa su' moglie, s'adirò forte per la gelosia, e cieco di rabbia sfodera la scimitarra e ammazza que' du' sciaurati. A male brighe però commesso il delitto scellerato, gli nascette un gran rimorso nel core, si buttò su' corpi inanimiti, diede in disperazioni e si voleva a ugni mo' segar la gola, abbeneché glielo impedissano a forza tutti quegli altri signori. Rivienuto in sé, il primogenito si rammentò allora del vaso d'unguento preso alla [72] vecchiarella, [p. 72 modifica]e gli viense in capo di provarlo co' su' fratelli; sicché gli ugnette le ferite, e miracolo! eccoteli che s'arrizzano in piedi rinsanichiti e vispoli, come se non fusse stato nulla. Pieno di grand'allegrezza il primogenito chiese perdono del su' malestro a' fratelli e loro gliel'accordorno, e gli dissano che lui sbagliava, perché la Principessa non l'avevan tocca nemmanco con un dito; poi seguitorno a camminare, finché giunsano alla presenzia del Re. Feste e baldorie ne fecian tante, che troppo ci abbisognerebbe a raccontarle; le campane sonorno alla distesa, che pareva un nabisso; il primogenito si riunì per sempre con la Principessa e il Re trovò delle signore per mogli al secondo e al terzogenito, e gli nominò impiegati della Corte con dimolti quattrini e con de' poderi al loro comando. E a questo modo la mi' novella è finita.