Sessanta novelle popolari montalesi/XXIX

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XXIX. Adelame e Adélasia

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NOVELLA XXIX


  • Adelame e Adelasia

(Raccontata da Ferdinando Giovannini sarto)


Adelame 'gli era un cavaglieri a servizio d'un Re, e l'Adelasia 'gli era la figliola unica e bellissima di questo medesimo Re. Si sa che i cavaglieri usano di fare una settimana per uno a stare negli appartamenti reali e a lato del Re; sicché dunque Adelame in nel praticare il Palazzo vedde spesso l'Adelasia, e finì col diventarne innamorato e l'Adelasia di lui. Ma però loro all'amore facevano di niscosto, perché Adelame nun era di sangue regio. Il Re nun ne sapeva niente di questi amori, e ci furno di quelli della Corte, che per invidia, o che so io, gliel'andorno a ridire: lui però nun ci voleva credere, ma gli messan tante prove in nelle mane, che bisognò che per forza ci credessi. Che ti fa il Re? Chiama l'Adelasia e gli dice: - I' so che te discorri con Adelame. Dice lei: - Che! nun è vero, signor, padre. Arrispose il Re: - Eh! di quel ch'i' dico i' ne sono sicuro, e nun vale negare. Dunque, con Adelame i' nun vo' che te ci discorra, e se te seguiti, lui l'esigilo dal Regno e te ti serro dientro una torre. Ha' tu capito? Passa qualche tempo, e Adelame seguitava a discorrere con l'Adelasia di niscosto, perché gli rinusciva farla pulita; ma un giorno che si trovorno assieme in un boschetto del giardino, furno visti da un servitore del Re, che lesto diviato corse dal Re a fargli pippo, e gli disse: - Vienga, Maestà, la su' figliuola sta in nel giardino con Adelame. Il Re subbito andette con le guardie e sorprese que' dua, che nun se l'aspettavano, e scramò: - Cavaglieri, tempo tre giorni a nuscire da questo Regno, pena [ [p. 255 modifica]255] la testa se disubbidite o ci ritornate più mai. In quanto poi a voi, figliola disubbidiente, anderete carcerata dientro la torre e a mi' volontà. La ragazza fu menata via 'nsenza indugio dalle guardie, e la serrorno in nella torre, addove c'era una bella cammera tutta mobigliata da Regina, e con una sola finestra dimolto alta da terra, e 'n cammera nun ci poteva nentrar nissuno, e anco da mangiare e tutto quello che bramava alla figliola del Re glielo devano per la rota. Il cavaglieri Adelame dovette infrattanto, poero disgraziato! sortire dal giardino, 'nsenza nemmanco dire addio alla su' Adelasia; nescì poi dalla città per andarsene fora di Stato e, cammina cammina, arriva a una campagna, in dove c'erano dimolti contadini a vangare. Dice Adelame: - Quale di voi vole mutare i su' vestimenti co' mia? Si farà a baratto. - Io, io, - dicevan tutti assieme, perché nun gli pareva vero di fare quello scambio. Dice Adelame: - Adagio. Il baratto i' lo farò con quello che ha de' vestiti che mi tornano addosso. Difatto si mutò il su' vestito da cavaglieri con un contadinotto che aveva il su' listesso personale, e messosi a quel modo alla contadina, che nun pareva più lui, seguitò a camminare dimolti giorni, insintanto che perviense a un'altra città fora dello Stato del su' Re tiranno. Guà! nun ène cosa nova, dappertutto le città ci si scontrano degli omini che fanno il mestieri, come sarebb'a dire, di mezzano, ovverosia di sensale a trovare impieghi a chi ne vole; sicché un di quest'omini, quando vedde Adelame girottolare qua e là per le strade e per le piazze, e' s'accorgette che lui era forastiero, gli s'accostò e gli disse: - Ohé! quel giovane, che vi mancherebbe un impiego? I' son bono a trovarvelo, se vi garba. Arrispose Adelame: - E' nun mi parrebbe vero! Appunto i' son disoccupato. Dice il mezzano: - E che sapete vo' fare? - Di tutto, - disse Adelame. Dice il mezzano: - Bene, bene! C'è appunto una signora, che gli manca l'ortolano e giardinieri, e forse lei sarebbe contenta d'avervi al su' servizio. Ora vo subbito a sentirla, e voi aspettatemi qui. Il mezzano va, picchia e lo fanno passare dalla signora, e per nun la render tanto stucca i' dirò, che presto si trovorno d'accordo di pigliare Adelame al su' servizio. Dunque [256] [p. 256 modifica]anco Adelame andiede da quella signora a presentarsi, e lei appena lo vedde gli domandò: - Come vi chiamate? Dice Adelame: - I' mi chiamo Antonio, - perché il su' vero nome non glielo volse manifestare per nun essere scoperto. - E quanto volete voi di salario a farmi da ortolano e da giardinieri? - gli domandò la signora; e lui arrispose: - In quanto al salario, lei prima mi provi per un mese e io proverò lei, e doppo, se si resta contenti tutt'addua, combineremo, che nun ci sarà nulla da ridire. - Sì, sì, come vi garba, - dice la signora; poi dà la mancia al mezzano e mena Antonio ovverosia Adelame, che s'era appiccico quel soprannome, nell'orto e giardino. Che frasconaia! Pareva un serpaio, tanto 'gli era trascurato e tutto in disordine. Adelame ci si mettiede con l'arco della stiena, e tanto lavorò, che in pochi giorni il terreno e le piante era una maraviglia a vederle, e 'n capo a tre settimane ci raccoglié dimolta robba primaticcia, come insalate, cedri, limoni e fiori della stagione. Adelame pigliò ugni cosa e andiede dalla padrona, e gli disse: - Se lei me lo permette, i' vo a vendere 'n campagna tutte queste delizie. Dice la signora: - Va', vai pure. Dunque Adelame con un corbello e dientro la su' mercanzia, nescì fora delle porte in campagna, e a cinque o sei miglia di distanza trovò un paese e lì ci vendette tutto, e col corbello vôto arritornò a casa e si presenta alla signora: - Padrona, decco i quattrini che ho preso della vendita, - e gli mette in mano una ventina di lire. La signora rimané. Lei nun aveva ma' ricavo nulla da quel terreno; sicché a quella vista scramò: - Bravo! i' son proprio contenta di te. E però i' ho deliberato di darti questo salario; lire trenta al mese e tutto spesato. Che te ne pare? Dice Antonio: - Io per me son più che contento. Passano de' giorni e l'orto e il giardino prosperavano a vista d'occhio, sicché Antonio va dalla padrona e gli dice: - Senta: io addosso nun ce la posso portare dimolta robba, e ce n'averei una gran quantità da vendere e da pigliarci quattrini al doppio. Se lei me lo permette, i' compererò un ciuchino da mettergli la soma, e un du' ceste, una di qua e una di là del basto; i' potre' caricarlo a mi' modo. Dice la signora: - Fa' pure. Antonio dunque comperò un ciuco piccino, e [257] [p. 257 modifica]gli accomidò la ceste al basto, che poi ripienò d'ugni ben di Dio, e ci aggiunse anco un bel mazzo di fiori; doppo sortì al solito fora delle porte della città, e camminò dimolti giorni insino a che viense a nentrare in nello Stato del Re, e diviato se n'andiede alla su' propia città nativa, e lì comincia a urlare: - Ortolano, ohé! chi vole di be' cavoli, pera, limoni primaticci, e d'ugni cosa un po'? A quel bocìo la gente corriva da tutte le parte, e chi voleva una cosa e chi un'altra. Quando Antonio fu in sulla piazza del Palazzo reale, lì sì che sbergolava, sicché a quegli urli deccoti anco il Coco del Re, che insenza tanti discorsi prese tutto 'l carico. Dice Antonio: - E lei chi è? Dev'essere un gran signore. Arrisponde il Coco: - Che! i' sono il coco del Re. Dice Antonio facendo lo 'gnorante: - Del Re? Chi ène il Re? Che vole dire un Re? Scrama il Coco: - Senti che domande! Il Re 'gli è quello che comanda tutto lo Stato e abita in quel palazzo. Dice Antonio: - Come? In quel palazzo con tutte quelle finestre lui ci sta solo? Dice il Coco: - Già, ci sta lui solo. Lui, per codesto, arebbe anco una figliola; ma siccome lei faceva all'amore di niscosto con un cavaglieri che nun era di par suo, il Re su' padre l'ha serrata in una torre, e nun si pole né vederla, né parlargli. Scrama Antonio: - Poera ragazza! Con che animo lei starà lassù dientro serrata. - Figuratevi! - arrispose il Coco. Dice Antonio: - Tienga: gli voglio dare questo bel mazzo di fiori a lei che ha compero tanta robba. Guà! se crede, lo mandi a quella sventurata. - Eh! questo si potrà anco fare, - disse il Coco. - Dunque, addio! - Addio, e a rivederci! - arrispose Antonio, e ognuno se n'andiede per i su' versi. Adelame aveva intanto saputo accosì, che l'Adelasia 'gli era sempre viva e carcerata dientro la torre. Arritornato Adelame, o Antonio, che ora si voglia sopracchiamare, alla su' padrona, lui gli profferse un monte di quattrini della robba venduta, e figuratevi se quella signora 'gli stava allegra! Dice Antonio: - Padrona, le vendite vanno bene; ma i' ho bisogno di caricar di vantaggio. Se lei me lo permette, scambio del ciuco compero un cavallino e un barroccino, e lei vederà poi quanti ma' quattrini gli porto. Dice la signora: - Sì, sì, i' son contenta. Fa' come ti pare. [258] Antonio [p. 258 modifica]dunque vendiede il ciuco e comperò il cavallino con il su' barroccino, e quand'ebbe da caricarlo di robba propio bona e avvistata ve la metté sopra assieme a un bel mazzo di fiori, ma toghi e appariscenti per regalargli al solito Coco; poi rifece la strada di prima, e doppo dimolti giorni deccotelo daccapo in nella su' città dinanzi al Palazzo reale. Il Coco del Re a male brighe lo vedde Antonio, subbito corse per compere e gli pigliò tutta la robba. Dice Antonio: - Questo 'gli è un altro mazzo per lei; ma i' are' bisogno d'un consiglio e d'un aiuto. Dice il Coco: - In quel ch'i' posso, i' vi servirò. Dice Antonio: - Fora della porta i' ho riscontro una poera donna inferma, che voleva vienire al Palazzo reale a presentare da sé un disteso, perché il su' marito dev'essere condannato e lei chiede la grazia alla figliola del Re. La piagneva questa donna, che nun si poteva movere, e m'ha suppricato tanto ch'i' gli facessi ricapitare questa lettera sigillata alla figliola del Re. Come dunque si pole contentarla? Arrisponde il Coco: - Sentite, 'gli è dimolto difficile. Il Re 'gli ha proibito di parlargli alla su' figliola, e poi 'n cammera e' nun ci si pole rientrare. Dice Antonio: - Se si potessi trovare un ripiego, quella donna m'ha detto che mi darà la mancia, s'i' rinusco. Io la mancia la do a voi, quella che m'ha impromesso la donna, e po' ve n'aggiungo un'altra di mio, se vo' fate ricapitare questa lettera alla figliola del Re. Dice il Coco: - Nun c'è altro ch'i' la metta tra' piatti del desinare che gli si dànno a traverso la rota. Dice Antonio: - Fate come vo' credete più meglio. Ma i' ho bisogno della risposta. Se dunque la lettera sigillata ritorna con la soprascritta graziata, allora vo' me la porterete, e io vi do la mancia. Domani alla listess'ora i' sarò giù di qui per la piazza. D'accordo dunque pigliò il Coco quella lettera e la niscose tramezzo a' piatti del desinare, che era destinato per la figliola del Re, siccome lui avea imprumesso a Antonio, e dientro la lettera ci diceva: "Adelame vole sempre bene all'Adelasia; e se l'Adelasia è sempre del medesimo sentimento, Adelame intende menarla via con seco, se lei ha core di calarsi dalla finestra della torre. Quando questo gli garbi all'Adelasia, scriva graziata in sulla sopraccarta e la rimandi, e domani a mezzanotte Adelame sarà sotto la torre a ricevere [ [p. 259 modifica]259] la su' Adelasia." Figuratevi i pensieri dell'Adelasia quando lei lesse questo foglio! Lei delibberò subbito di scappare, e scrisse graziata in sulla lettera e poi la rimettiede tra' piatti, e infrattanto fece i su' preparativi per calarsi giù dalla finestra della torre: tagliò le lenzola a strisce, le annodò capo per capo e accosì gli ci viense una bella fune lunga, che arrivava insino a piè della prigione. Il Coco poi, avuta 'n mano la lettera, il giorno doppo la diede 'n piazza a Adelame, o Antonio per finto nome, e dice: - Deccovi, galantomo, il vostro disteso. Arrisponde Antonio: - Oh! che c'è egli scritto sopr'esso? Leggetemelo, via! di grazia, ch'i' nun so leggere. Ma nun era' vero che lui nun sapeva leggere; lo faceva per furbizia da 'gnorante. Dice il Coco: - Guà! e' c'ène scritto graziata. - Davvero! - scrama Antonio. - Datemela la lettera e che Dio ve ne rimeriti, e infrattanto deccovi di mancia questo zecchino da me, per il vostro incomido; poi arerete la mancia che m'ha 'mprumesso anco quella donna. Addio, addio. Nun istiede a perder tempo Antonio, ma va diviato in un chiassettolo e apre la lettera, e vede che l'Adelasia acconsentiva a tutto; e lui nun poteva stare alle mosse che vienisse la mezzanotte. Quando poi la mezzanotte sonò, Antonio, e da ora in là è meglio ridargli il su' vero noma, Adelame steva già sotto la finestra della torre a aspettare, e decco prima cala da quella una cassettina tutta piena di gioie e quattrini, e con diversi panni dell'Adelasia; poi si ciondolò giù anco lei, sicché Adelame la ricevé tra le su' proprie braccia, e lesti se n'andorno alla stalla, addove attaccato il barroccino da ortolano, vi montorno 'n fretta e sortirne fora della città; e cammina cammina, viensano a giorno alla spiaggia del mare. Qui Adelame lassò dibandonato cavallo e legno, e vista una barchetta ci saltò dientro con l'Adelasia e la su' cassina, e a forza di remi e di vele fuggirno a più nun posso. Ma doppo un pezzo che loro erano 'n mare, deccoti principia una fiera burrasca, sicché que' poeri 'nnamorati gli ebban di catti se furno spinti a un logo deserto, che nun ci si vedeva un'anima viva. Sbarcano, e Adelame, presa con seco addosso la cassina, assieme all'Adelasia, si dirizzorno in verso un bosco folto, che ricopriva tutta una montagna, e sali sali, 'gli era già buio fitto, e nun sapevano [260] nemmanco [p. 260 modifica]addove loro mettevano i piedi e addove gli spigneva la fortuna. A un tratto gli parse di scorgere un lume da lontano e s'avviorno per laggiù, e doppo un po' di tempo arrivano a una capanna di frasche, che dientro c'era un Eremita vecchio in ginocchioni a fare orazione, e con una barba bianca lunga lunga che gli scendeva in sul petto. Dice Adelame: - Abbiate, padrino, la finezza di ricoverarci questa notte; no' siemo du' smarriti e nun si sa in dove battere il capo. Alza gli occhi l'Eremita a quello parole e guarda Adelame e l'Adelasia, e poi scrama: - Sciaurati! che avete vo' fatto? Rimasero sbalorditi i du' amanti e come di sasso in nel sentire un simile saluto; ma l'Eremita seguita a dire: - Sciaurati! vo' siete in peccato. Vo' avete trasgredito alla legge umana e alla legge divina. Alla legge umana, perché disubbidisti al padre e al Re, e sappiate che il Re vi fa cercare dappertutto per darvi la pena di morte. Alla legge divina, perché vo' siete assieme insenza essere moglie e marito. Que' dua allora, tutti 'mpauriti, gli si buttano a' piedi, e lì a scongiurarlo l'Eremita, che gli aitasse in qualche mo', che oramai il male 'gli era fatto e nun e' ora più rimedio. Dice l'Eremita: - Ma che veramente volete vo' essere sposi? Risposano assieme: - Sì, sì, sposi e per sempre. - Ebbene! - dice l'Eremita, - i' vi sposerò io, o per questa notte i' vi darò ricovero; ma domani bisogna che andiate via, perché qui con meco vo' nun ci potete stare. Allora l'Eremita gli sposò e gli benedisse, e gli mettiede a dormire in su dello foglie in un canto della capanna, e quando poi fu giorno, Adelame e l'Adelasia dovettano dilontanarsi, doppo ricevuta un'altra nova benedizione dall'Eremita. Ora 'gli è tempo di sapere che infrattanto al Palazzo reale gli eran iti a portar da culizione alla rota della cammera dell'Adelasia; ma la culizione e' v'era sempre lì ferma al mumento del desinare. Impauriti i servitori vanno subbito dal Re e gli raccontano quel che è successo. A questa nova il Re ordinò che la cammera s'apra per vedere se la su' figliola ha male; rientrati però dientro, tutti s'accorgono che la ragazza gli è scappata via e che nun c'è più nimo. Figuratevi! Il Re montò sulle furie, che pareva un cane arrabbiato, perché luì capì che l'Adelasia gliel'aveva menata con seco Adelame; sicché mandò [261] [p. 261 modifica]soldati per ugni logo dello Stato a cercarne, e mettiede fora un bando, che gli fussano riportati que' dua o morti o vivi, nun gl'importava, tanto lui gli voleva in ugni mo' ammazzati. Dunque a male brighe che Adelame e l'Adelasia seppano del bando in nella capanna dell'Eremita, badorno di scansare i confini dello Stato del Re, e seguitorno a camminare dimolti giorni, campando alla meglio con il vendere le robbe dell'Adelasia, e dormivano per le capanne, fino a che si trovorno da ultimo in un logo salvatico e deserto in vetta a un monte che pianeggiava in sul cucuzzo: lì risolverno di fermarsi. Adelame ci rizzò una capanna, e scoperto che a qualche miglio più giù in nella vallata c'era un paesuccio, si mettiede a tagliare legne e far carbone, e poi scendeva a venderlo per comprarci il necessario al campamento. Da più mesi oramai quegli sposi abitavano su quel monte, quando l'Adelasia s'accorgé d'esser gravida, e al su' tempo parturì un bel mastio, e se lo battezzorno con le propie mane, e gli messan nome Germano. E Germano cresceva a vista d'occhio, vispolo e giudizioso, e quando fu negli otto anni il su' babbo se lo menava con seco al bosco, e poi col carico delle legne o con le balle del carbone a vendere ugni cosa al paesuccio; arrivo a' diciott'anni, e' lo mandava anco solo. Dice un giorno Germano: - Babbo, perché nun comperate un ciuco per portar la soma? Si durerebbe meno fatica e si potrebb'anco fare un carico più grosso. Dice Adelame: - Compriamolo pure. E accosì comprorno un ciucarello di poca spesa, e con quello scendevano a vendere nel paesuccio. Un giorno Germano col ciuco carico se n'andiede da sé solo al paesuccio, e a un tratto incontra un omo che aveva in mano una gabbia con dientro un uccellino raro. A Germano gli viense voglia di quell'uccellino, sicché dice: - Galantomo, che me lo venderesti codesto uccellino? - Magari! - quell'omo gli arrispose. - Oh! quanto ne volete? - Oh! si fa lesti. I' vo' il ciuco con tutto 'l carico. - D'accordo, - scrama Germano, e gli dà il ciuco con tutto 'l carico, e piglia in scambio l'uccellino con la gabbia; poi arritorna diviato a casa. Quando la su' mamma lo vedde, disse: - Oh! del ciuco che n'ha' tu fatto? Addov'è? Dice Germano: - Badate! i' l'ho barattato, la [262] [p. 262 modifica]soma e tutto, con un omo, e lui m'ha dato in scambio questo bell'uccellino 'n gabbia. - Oh! sciaurato!... - scramò l'Adelasia. - Quando torna il babbo dal bosco e sa il tu' operato, t'ammazza di sicuro. Germano a quelle parole della su 'mamma s'impaurì; sicché, lassata la gabbia con l'uccellino, nescì dalla capanna e via! alla ventura addove lo portavano i piedi: ma l'Adelasia credeva che lui fuss'ito a riscontrar su' padre. Deccoti in sulle ventiquattro viene Adelame, e l'Adelasia gli domanda: - Germano addove l'ha' tu lasso? - I' nun l'ho visto da stamane 'n qua, - gli arrispose Adelame. - Oh! pover'a me! - scramò l'Adelasia: - addove sarà ito mai? I' l'ho gridato un po', perché lui ha dato 'n baratto di quest'uccellino 'n gabbia il ciuco col carico e tutto, e gli ho detto, che se te tornavi, te l'aresti ammazzato di sicuro. E lui allora è fuggito, e i' credevo che fussi vienuto a riscontrarti. Oh! me sciaurata! Addove sarà ito il mi' figliolo? Dice Adelame: - Vedi! tu ha' fatto male a dirgli quelle parole e a rimbrontolarlo. Lui ha operato secondo il su' sangue; ha operato da Re, abbenché lui nun sappia che è di stirpe reale. Insomma, aspetta aspetta, Germano nun lo veddano più, e s'arrabattorno inutile a ricercarne e a domandarne per i contorni. Erano que' du' poeri genitori disperati a morte, figuratevi! Ma lassamo Adelame e l'Adelasia fra mezzo a' pianti e all'ascherezza e si vadia rieto a Germano. Lui camminò dimolti mesi e campava in sulle limosine, e finalmente arrivò, insenza saperlo, alla città del Re su' nonno; e siccome 'gli era vestito tutto con la pelle di bestia salvalica e pareva una stranezza, tutta la gente gli si faceva d'attorno per cognoscere chi era e da che paesi vieniva, se era solo, oppuramente se lui aveva il babbo e la mamma. Lui arrispondeva sì e no, secondo i casi, ma non potiede dire mai da che paese lui era vienuto. Con tutto questo fracasso di popolo Germano arriva in sulla piazza del Palazzo reale, che appunto il Re steva alla finestra, e quando vedde la raunata mandò subbito un servitore a sentire quel che era successo. Dice il servitore: - Maestà, 'gli è un giovanotto forastiero tutto vestito di pelli, e gli fanno mille domande; e lui arrisponde pronto, che nun si sgomenta. Dice il Re: - Fatelo salir su, ch'i' lo vo' vedere e gli vo' [ [p. 263 modifica]263] parlare. Il servitore ubbidiente va e chiama Germano e lo fa salire alla presenzia del Re, e il Re gli disse: - Chi siei e d'addove vieni? Il babbo la mamma gli hai? E loro che mestieri fanno? Dice Germano: - I' sono figliolo di du' boscaioli, ma il nome di loro i' nun lo so, non l'ho ma' sentuto arricordare. Io mi chiamo Germano e i' sono figliolo unico, e son fuggito da casa e, cammina cammina, mi sono sperso. Nun so nemmanco in che paese i' ero. Dice il Re: - Vo' tu stare al mi' servizio? Dice Germano: - Sì, volentieri, perché fino a ora i' ho campato con la limosina.' A farla corta, Germano fu messo per mozzo di stalla, e doppo qualche mese lui passò aiuto del coco, poi diviense credenzieri di Corte, e il Re gli deva un bon salario. Ma lui ci s'era annoiato lì, e un giorno disse al Re: - Senta, Maestà, i' me ne vo' ire, perché a servir accosì m'annoio. Dice il Re: - Ma come mai? Eppure i' ti do un bon salario e nun ti manca nulla. - Tant'è, - arrisponde Germano, - che vôle? I' nun posso durarla a questo mo'. Dice il Re: - Ma che faresti volentieri qualche altr'arte? Dice Germano: - Per dire il vero, mi garberebbe la vita del militare. Dice il Re: - I' ho da contentarti a tu' piacimento. Nentra nell'esercito e addio. Dunque Germano nentrò soldato comune nell'esercito e in pochi anni diviense Maggiore, e quando fu Maggiore, un giorno il Re lo fa chiamare e gli domanda: - Dimmi un po', Germano, ma che a' tu' genitori nun ci pensi mai? Nun t'è egli ma' vienuto in capo di ricercargli? - Altro, Maestà; 'gli è il pensieri mio d'ugni mumento, - arrispose Germano; - ma i' non so che strada prendere per ritrovargli questi mi' genitori. Dice il Re: - Piglia quel che t'abbisogna e va' a vedere se tu gli trovi; e se tu gli trovi, menamegli qui. Germano dunque, avuto il permesso del Re, trascelse a su' fido compagno un vecchio Capitano, e tutt'addua montati a cavallo sortirno per tempo la mattina dalla città. Dice il Capitano: - Ma sie' sicuro, Germano, che quest'è la porta d'addove la prima volta te nentrasti in questa medesima città? - Sì, sì, ne sono sicuro, e nun mi sbaglio dicerto, - gli arrispose Germano. Camminorno dimolto tempo, de' mesi, e finalmente Germano e il su' compagno arrivano a un lego deserto e [264] salvatico a piè [p. 264 modifica]d'una montagna, e nun c'erano viottoli per rinuscire su, sicché dice il Capitano: - A me mi pare che te scambi la strada. Oh! nun vedi che nun c'è modo di rampicarsi per il bosco? E poi, no' siemo propio per un deserto salvatico. Dice Germano: - Abbeneché da tanto tempo, e tavìa mi pare che questi sono e' posti ch'i' attraversai nel fuggire da casa. Dice il Capitano: - Guà! e' sarà: ma i' dico che te ha' scambiato. Germano innunistante principiò a salire su per il monte, e il Capitano gli andeva dreto alla meglio, e, sali sali, arrivorno 'n vetta. Scrama Germano: - Deccoli, son propio i mi' posti; e la capanna de' mi' genitori deccola 'n fondo laggiù 'n questa spianata. L'Adelasia in quel mentre era lì a raccattar delle foglie, e quando vedde que' du' soldati si sconturbò tutta, perché lei credeva che fussan vienuti per arrestarla, e gli parse propio di scorgere tutta l'effigie del su' babbo, e 'mpaurita corse dientro alla capanna, ne' serrò l'uscio 'n furia e cadette stramortiti per le terre. Germano, che aveva ricognosciuto su' ma', gli si mettiede a' tacchi con il cavallo al trotto e di fora urlava: - Mamma, mamma, i' son io, sono il vostro figliolo Germano. Che nun mi ricognoscete? Aprite e nun avete paura. Ma quella, che! lì svienuta nun arrispandeva, sicché Germano con un calcio buttò giù l'uscio, e prendette l'Adelasia tra le braccia, e badava a chiamarla e a dirgli, che la stasse di bon animo e che lui 'gli era il su' figliolo. L'Adelasia finalmente soccallò gli occhi e guardava ben bene Germano, e poi disse: - Sì, ti ricognosco. Ma tu m'ha' tradito. Dice Germano: - Perdonatemi. Ora i' son qui da voi per condurvi dal Re assieme col babbo. E l'Adelasia piagnendo: - Lo vedi? S'i' lo dico che tu m'ha' tradito. In questo mentre deccoti anco Adelame che ritornava dal bosco, e in nel vedere que' soldati anco lui si credette che fussano vienuti lì per arrestarlo, sicché si buttò 'n ginocchioni a domandare pietà per lui e per la moglie. Ora, bisogna sapere che quel Capitano vecchio 'gli era stato padrino dell'Adelasia, e in nel sentire tutte quelle stranezze finì con ricognoscerla, e rimané quando s'accorgette che Germano 'gli era figliolo di Adelame e della Adelasia, e però nipote del su' Re. Dunque, nentrò di mezzo anco lui e si manifestò, e fece tanto, che Adelame e l'Adelasia [ [p. 265 modifica]265] s'addomestichirno e la paura principiò a andargli via d'addosso, e anzi si lassorno persuadere a tornar tutti alla città dal Re, e messo assieme la po' di robba di valsente tienuta in nella capanna, la brigata s'avviò al su' destino. Arrivi che furno, il Capitano dapprima fece nentrare Adelame e l'Adelasia in nel Palazzo reale per una scala segreta e gli mettiede in una cammera in disparte; poi con Germano si presentò al Re. Dice il Re: - Ben tornati! Che gli avete scoperti i genitori di Germano? Nun me gli avete menati, come ordinai? Dice Germano: - Trovati i' gli ho, ma che vòle, Maestà? Loro sono gente avvezza al bosco e mezzo salvatichi, e nun son volsuti vienire con meco. - Male, male! Avete fatto dimolto male a nun gli condurre con voi, - scramò il Re mezzo scorrucciato. Dice il Capitano: - Senta, Maestà, il vero è, che que' dua son vienuti con noi; ma io nun glieli presento davvero, se prima lei nun mi concede una grazia della vita di tre persone. Dice il Re maravigliato: - Che domanda è ora questa? E il Capitano: - A lei, Maestà, nun gli costa nulla questa grazia e me la pole fare addirittura. Dice il Re: - Ebbene! in vista che vo' siete il più vecchio de' mi' uffiziali, la grazia è concessa. - Scusi veh! Maestà, - dice il Capitano, - ma lei mi deve anco giurare sulla su' corona, che la imprumessa lei me la mantierrà a ugni patto. Al Re gli parse un po' ostica questa prutenzione del su' Capitano, ma per nun contraddirlo, giurò come volse lui. Allora il Capitano fece nentrare Adelame con l'Adelasia, e loro si buttorno a' piedi del Re a chiedere perdono; ma quando il Re gli ricognobbe, tutto incattivito sbergolò: - Bricconi! ci siete capitati in nelle mi' mane. Ora poi sarà il tempo delle mi' vendette. Tira fora, nel dire accosì, la spada e va per ammazzare l'Adelasia per la prima. Germano che vedde quel furore nun potiede rattenersi, e anco lui cava la spada e l'appunta al petto del Re: - Se nun si ferma su' Maestà e mi vole ammazzar la mamma, io in scambio ammazzerò lui. In quel mentre il Capitano 'gli aveva agguanto il braccio del Re, e gli disse: - Su' Maestà s'arricordi del giuramento. E poi ripensi che questo 'gli è su' sangue, e che Germano è su' nipote, e unico erede che lei ha. Al Re a poco per volta gli sfumorno le furie, e [266] sentuto che Germano [p. 266 modifica]era figliolo legittimo dell'Adelasia e di Adelame, e quanti stenti e patimenti avevano loro sofferto per tant'anni, finì con perdonargli e rimettergli in nelle su' bone grazie; sicché se ne stiedero loro con il Re, e morto lui, Germano diviense padrone dello Stato.

E così termina la novella: Ditene, se vi pare, una più bella.