Sole d'estate/Il moscone

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Il moscone

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Il vestito nuovo Caccia all’uomo
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IL MOSCONE

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Un appezzamento di terreno coltivato, del valore di ottocentomila lire, non è da disprezzarsi: e non lo disprezzava il suo proprietario, il vecchio signor Massimo, che anzi gli dava un prezzo ancora più inestimabile: poiché vi fermava le basi della sua vita giornaliera, ed anche la sicurezza economica per l’avvenire: sebbene quest’avvenire non si prospettasse straordinariamente spazioso, contando il signor Massimo i suoi bravi ottantacinque anni; vegeti, però, e sani e, diremo, anche freschi come gli alberi, le agavi, i rosai del suo giardino. Ed era appunto questo giardino che costituiva il suo prezioso patrimonio: ottocento metri quadrati di terreno, considerato fabbricabile, nel centro della città; a lire mille il metro quadrato. [p. 62 modifica]

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La città gli batteva intorno sulle alte cancellate rivestite di reti metalliche e foderate di edera: gli batteva intorno, giorno e notte, come un mare in continua risacca: e al signor Massimo pareva, a volte, di essere davvero sul ponte di una nave, che andava lieve e sicura verso un porto ancora lontano. Seduto sulla panchina verde, al margine del praticello inglese, sulla cui erbetta vellutata ondulava il riflesso azzurro del cielo di giugno, aveva anche l’illusione di vedere un po’ d’acqua marina; e si cullava in questo sogno, sebbene l’atmosfera fosse alquanto inquinata dal caratteristico odore fumoso delle metropoli; puzza di asfalto, di carbone, di benzina, di macchine e veicoli in rotazione: che del resto poteva essere appunto l’odore della grande nave in rotta.

Quella mattina, però, soffiava una brezza fresca, che veniva dal nord, e spazzava l’aria, lasciando che i tigli in fiore, intorno al praticello, esalassero tutto il loro magico profumo.

Nulla quindi mancava, al gaudio innocente del vecchio: neppure la speranza che la signora Annetta, la sua fedele governante, andata di persona al mercato, portasse a casa [p. 63 modifica]una bella aragosta piena. — poiché si era appunto al plenilunio, — e la cucinasse come lei sola sapeva fare.

Ed ecco infatti la signora Annetta ritorna: egli ne sente la voce maschia, e si volge a guardare verso la casa che s’intravede fra gli alberi come nel fitto di un bosco: poiché gli alberi sono grandi e la casa è piccola, tale quale era quarant’anni prima, col tetto spiovente, i comignoli dei molti camini, la loggia di ferro panciuta e dorata; la cucina e le stanze terrene al piano del marciapiede intorno, comodissime per chi è vecchio e non ama salire neppure un gradino di scala: quasi una casetta di campagna, insomma. color caffelatte; che pare si nasconda tra le fronde, vergognosa e paurosa delle grandi costruzioni che la circondano.

— Ecco l’aragosta: venti lire al chilo, se le piace.

È sempre la voce della signora Annetta, chiara e potente, anzi prepotente in modo insolito. Anche il viso di lei, placido e grasso come quello di un canonico, è increspato di sdegno: si direbbe ch’ella sia irritata per il prezzo dell’aragosta; ma il padrone, sapendo ch’ella, pur di contentarlo, non lesina sulla spesa, la guarda inquieto, prevedendo qualche cosa di peggio. Il brivido di una oscura minaccia turba la dolce quiete [p. 64 modifica]intorno alla panchina, sulla quale si è assisa, con tutto il peso solido dei suoi novanta chili, la brava signora Annetta. Ella tiene in mano, come un granchio enorme, l’aragosta grigia che ha ancora qualche guizzo di vita, e la fissa con gli occhi bovini, inquieta pur lei e quasi ansante. Il padrone non fiata; anzi fa il finto tonto, sapendo per esperienza che questo è un ottimo sistema per scongiurare pericoli e minacce.

Non è la prima né la seconda né la trentesima volta che la signora Annetta minaccia di andarsene: egli sa che è un proposito senza fondamento, eppure ogni volta gli desta un occulto terrore; non perché, dati lo stipendio e la cresta abbondante di cui la donna usufruisce, non sia facile sostituirla con un’altra, magari più svelta e piacevole di lei, ma perché ella rappresenta, per il signor Massimo, tutta un’èra di abitudini quotidiane, di piccole gioie, magari anche di tribolazioni, poiché non c’è strada d’uomo priva di sassi e di spine; insomma un’epoca di vita che, andata via lei, si chiuderà melanconicamente e per sempre. Per adesso ella siede ancora accanto a lui, sulla panchina refrigerante, si piega sul grosso corpo caldo in subbuglio e respira forte; ma la minaccia è sulle sue labbra, viene, scoppia calma, sì, ma inesorabile e definitiva: [p. 65 modifica]

— Questa volta, caro il mio signor Massimo, è proprio vero che ce ne andiamo.

Egli perde la sua forzata prudenza: ed è lo strano, insolito modo di parlare di lei che più lo turba: batte il suo bastoncino di canna d’india sul piede della panchina, come si tratti di castigare un animale, e vuole, a sua volta, dimostrarsi sicuro, padrone di sé, anche lui prepotente.

— E buon viaggio, — disse quasi gridando.

Ella lo guardò con una certa dignitosa compassione.

— A chi lo dice, buon viaggio?

— Ma a lei, pregiatissima signora Annetta. Tutti gli anni, di questi tempi, le vengono le smanie. Fin da quando è giunta dal suo bel paese natio, nel tempo dei tempi, arrivato il caldo, diceva che la sua famiglia la richiamava a casa, che suo padre la aspettava per aiutarlo nei lavori campestri. Balle. Tutte le ragazze di servizio, giunta la dolce stagione, tirano fuori questa scusa per tornare all’aperto e darsi un po’ di sfogo. E si capisce: in campagna è un’altra cosa; c’è libertà sfrenata, ci sono i maschiacci, pronti a tutti i pizzicotti, e le notti fatte apposta per gli intrugli d’amore. Quando poi sono soddisfatte, queste signorine tornano dai padroni imbecilli. E anche lei, signora Annetta, tutti [p. 66 modifica]gli anni ripete la stessa storia. E che vada pure; ina la vorrei vedere a mietere, ad arrampicarsi sui gelsi per cogliere la foglia. ad attingere acqua dal pozzo, a.... a....

Uno scoppio di riso satiresco gli sconvolse il viso congestionato: e avrebbe riso anche la signora Annetta se lo sdegno, ed anche la meraviglia per il coraggio impudente del padrone, non le avessero destato piuttosto un immediato desiderio di vendetta. Disse, a denti stretti:

— Parla di me? Ma lei si sente male, stamattina; e più male si sentirà quando le avrò detto che è proprio lei che deve andarsene. di qui, e in conseguenza deve sloggiare anche la povera Annetta.

— Ma dove vuole che andiamo? Al manicomio?

Allora la donna non parlò più: con lentezza crudele, dopo aver deposto per terra l’aragosta, si frugò nelle tasche profonde e ne trasse un ritaglio di giornale: lo spiegò, lo decifrò, come cosa che riguardasse lei sola, infine lo mise sotto gli occhi del vecchio. Ed egli vide un disegno topografico, con strade, muri, piazze, edifizi, segni cabalistici: aveva le branche come l’aragosta; e sotto c’era scritto:

«Nuovo piano regolatore». [p. 67 modifica]

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Allora capì; e gli parve che la rete del disegno gli si riproducesse sugli occhi, velandoli di nero: sì, altre volte anche quella minaccia lo aveva atterrito, ma vaga e superficiale come quella della sua governante: adesso era lì, palpabile, paurosa, e gli tagliava il cuore con la spada delle due grandi strade che segnavano una croce attraverso la sua casa e il suo giardino. Quando si riprese dal suo stordimento si accorse che la donna era rientrata in casa: ne sentiva di nuovo la voce che brontolava come un tuono lontano contro la giovane serva sorniona, anche questa sempre sulle mosse di partire: e adesso capiva il perché del malumore della signora Annetta, e si pentiva di averla maltrattata; ma in fondo le serbava rancore per la cattiva notizia, quasi fosse dipesa da lei. Cattiva notizia? Ma no, ché un grosso moscone di metallo verdazzurro piomba a picco da un tiglio, come un minuscolo uccello ronzante, e gli volteggia attorno, gli sfiora la testa, gli ricama rasente alle orecchie una musica insistente, con vibrazioni quasi di chitarra: una musica che gli ricorda [p. 68 modifica]qualche cosa di remoto, nel tempo e nello spazio, come di una vita anteriore, dolce e meravigliosa. Sì, è il moscone che porta le buone notizie, ai bambini, come anche lui lo è stato, ai cuori che aspettano, alle donne innamorate, ai vecchi, come lui, che sono pur essi ancora innamorati della vita e pur essi aspettano....

Ripreso da questo alito di speranza rilesse meglio il giornale: e infatti l’inizio dei lavori del piano regolatore era di là da venire: c’era tempo da sloggiare con calma, forse anche con gioia, e tornarsene, come le giovani serve di passaggio, al bel paese natio, dove il grande Padre ci aspetta.