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Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli (1920)/XI. Immanuel Romano

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XI. Immanuel romano

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X. Giuntino Lanfredi XII. Guercio da Montesanto
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XI

IMMANUEL ROMANO

I

Nulla può frenare la prepotenza d’Amore.

Amor non lesse mai l’avemaria;
Amor non tenne mai legge né fede;
Amor è un eor, che non ode né vede,
4e non sa mai che misura si sia.
Amor è una pura signoria,
die sol si ferma in voler ciò, che chiede;
Amor fa com’ pianeto, che provvede,
8e sempre retra se per ogni via.
Amor non lassò mai. per paternostri
né per incanti, suo gentil orgoglio;
11né per téma digiunt’è, per ell’i’giostri.
Amor fa quello, di che piú mi doglio:
ché non s’attène a cosa, ch’io li mostri,
14ma sempre mi sa dir: — Pur cosí voglio. —

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II

Non s’occupa di fazioni politiche, ma vuole godersi la vita.

In steso non mi conosco, ogn’om oda,
che Tesser proprio si è ghibellino:
in Roma so’ Colonnes’ed Ursino,
4e piacemi se l’uno e l’altro ha loda.
Ed in Toscana parte guelfa goda;
in Romagna so’ciò, ch’è Zappettino;
mal giudeo sono io, non saracmo:
8ver’li cristiani non drizzo la proda.
Ma d’ogni legge so’ ben desiroso
alcuna parte voler osservare:
11de’ cristiani lo bever e ’l mangiare,
e del bon Moises poco digiunare,
e la lussuria di Macon prezioso:
14che non tèn fé, de la cintura in gioso.

III

Non ha preferenze per nessun partito: sta per chi vince.

Se san Pietro e san Paul da l’una parte,
Moises ed Aaròn da l’altra stesse,
Macón e Trivican, ciascun volesse
4ch’io mi rendesse a volontá né a parte;
ciascun di lor me ne pregasse in sparte:
duro mi pare ch’io gli ne credesse,
se non da dir a chi me’ mi piacesse:
8— Viva chi vince, ch’io so’ di sua parte! —
Guelfo né ghibellin, nero né bianco;
a chi piace il color, quel se nel porte:
11che ferirò da coda e starò franco.
E mio compar tradimento stia forte:
ch’i’.di voltar, mai non mi trovo manco
14aitar ciascun, che vince, infin a morte.

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IV

A MESSER BOSONE DA GUBBIO
Piange ed invila ogni gente a piangere per la morte di Dante.

Io, che trassi le lagrime del fondo
de l’abisso del cor, che ’n sii le ’nvea,
piango: che’l foco del dolor m’ardea,
4se non fosser le lagrime, in che abbondo.
Ché la lor piova ammorta lo profondo
ardor, che del mio mal fuor mi traea;
per non morir per tener altra vea,
8al percotcr sto forte c non affondo.
E ben può pianger cristiano e giudeo,
e ciaschcdun sedere ’n tristo scanno:
11pianto perpetuai m’è fatto reo.
Per ch’io m’accorgo che quel fu il mal’anno;
sconfortomi ben, ch’i’ veggio che Deo
14per invidia del ben fece quel danno.