Sopra la morte
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SOPRA LA MORTE
Contenuto: Ch’è mai la morte? Il maggiore di tutti i mali pel vile e pel reo, e vendetta del cielo pel tiranno (1-4); non per l’infelice, che l’invoca e aspetta ridente (5-8). Il forte la sfida in guerra e ne’ rischi della vita; il sapiente l’attende impavido (9-11). Ch’è dunque? Un bene, un male, secondo i vari affetti umani (12-14). — Questo sonetto fu, come afferma il Vicchi (VI, p. 258), recitato in Arcadia il 20 maggio 1784 per la commemorazione funebre della pastorella Ruffina Battoni; ma fu composto alcun tempo prima e probabilmente nell’83, in cui fu stampato nell’ediz. che de’ Versi del p. fece il Pazzini in Siena. — Il sig. M. A. Tancredi, in un suo articoletto (La Morte. Imitazione o plagio?), stampato nel Fanfulla della Dom., del 6 gennaio 1889, scrive a proposito del contenuto di questo celebre sonetto: «I poeti greci e latini, e i nostri classici avevano tutti, e spessissimo, parlato della morte.....: ma nessuno di essi aveva messi in relazione con la morte i vari affetti e le condizioni dell’uomo. Crébillon, per quanto io sappia, fu il primo a far ciò. Egli fa dire a Catilina: La mort n’est qu’un instant Que le grand coeur défie, et que le lâche attend. Voltaire è colpito dalla novità di questi due versi del suo rivale: li amplifica, li sviluppa, e nell’Orphelin de la Chine il Mandarino Zampti esclama: La mort? Le coupable la craint, le malheureux l’appelle; Le brave la défie, et marche an-devant d’elle: Le sage qui l’attend, la reçoit sans regrets. Byron intanto, grande ammiratore di Voltaire, fa dire al Giaurro: «Che cosa è la morte? l’audace la sfida, il debole la subisce, l’infelice la implora». V. Monti ha scritto un sonetto su la falsariga [!] dei versi di Crébillon, o meglio di Voltaire e di Byron». L’imitazione, specie dei versi del Voltaire, appare non dubbia, come non dubbia appare la mossa del sonetto da quello di Giulio Bussi: «Gloria, che se’ mai tu?»: ma il p. nostro ha il merito di aver saputo, per mezzo di efficaci immagini, svolgere il concetto o i concetti appena enunciati dagli altri, e coordinarli, in modo assai naturale, con la chiusa, ch’è tutta sua e bellissima.
Morte, che se’ tu mai? Primo dei danni
L’alma vile e la rea ti crede e teme;
E vendetta del ciel scendi ai tiranni,
Che il vigile tuo braccio incalza e preme.
5Ma l'infelice, a cui de’ lunghi affanni
Grave è l’incarco, e morta in cuor la speme,
Quel ferro implora troncator degli anni,
E ride all’appressar dell’ore estreme.
Fra la polve di Marte e le vicende
10Ti sfida il forte che ne’ rischi indura;
E il saggio senza impallidir ti attende.
Morte, che se’ tu dunque? Un’ombra oscura,
Un bene, un male, che diversa prende
Dagli affetti dell’uom forma e natura.