Sotto il velame/Il passaggio dell'Acheronte/IV

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Il passaggio dell'Acheronte - IV

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Il passaggio dell'Acheronte - IV
Il passaggio dell'Acheronte - III Il passaggio dell'Acheronte - V
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IV.


Avanti la porta Dante esita. II Maestro, che s’è accorto che il discepolo è stato ripreso dalla viltà la [p. 90 modifica]quale già l'aveva preso al solo pensiero dell'alto passo, il Maestro, l'ombra del magnanimo, gli dice solennemente:1

               ogni viltà convien che qui sia morta.

Sotto il senso più generale d’un’esortazione vigorosa nel primo momento dell'impresa e nel primo ingresso dell' oltremondo, vive un senso più particolare. Di vero, Virgilio non continua spiegando il qui ripetuto “Qui si convien lasciare ogni sospetto, ogni viltà convien che qui sia morta„, con la menzione di tutto l'inferno, sì con queste parole:2

               Noi siam venuti al loco ov'io t'ho detto,
               che tu vedrai le genti dolorose,
               c'hanno perduto il ben dell'intelletto.

Ciò che Virgilio aveva detto, ecco, è questo:3

                                     per loco eterno
               
               ove udirai le disperate strida,
               vedrai gli antichi spiriti dolenti,
               che la seconda morte ciascun grida;

e questi dolenti che stridono disperatamente e invocano la seconda morte, la quale non possono avere, e che Dante designa a sua volta,4

                         color cui tu fai cotanto mesti,

sono gli sciaurati, uomini ed angeli, neutrali del vestibolo. E sono quindi una cosa, con costoro cotanto mesti e dolenti, anche “le genti dolorose„. E si dice di loro “c'hanno perduto il ben dell'intelletto„; non si dice generalmente di tutti i dannati. Perchè, a [p. 91 modifica]parer mio, di loro si può, se d’altri mai, di loro in modo tipico si può dire, ch’hanno perduto quel bene. In vero, qual è quel bene? È il bene che scevera gli uomini dai bruti; cui chi non ha o perde, non vive: secondo ciò che Dante afferma:5 “...vivere è l’essere delli viventi; e perciocchè vivere è per molti modi, siccome nelle piante vegetare, negli animali vegetare e sentire e muovere, negli uomini vegetare, sentire, muovere e ragionare, ovvero intendere (alcuni testi hanno intelligere); e le cose si deono denominare dalla più nobile parte; manifesto è, che vivere negli animali è sentire, animali dico bruti, vivere nell’uomo è ragione usare.„6 Or qui Dante ha nel pensiero appunto questo ragionamento conviviale, che lo conduceva a dir vile, anzi vilissimo, e bestia, e morto, chi non segue, non potendo essere “da sè guidato„, le vestigie degli altri. E qui Dante tocca di quelli che non usano affatto l’intelletto, quindi non si servono di quello “alcuno lumetto di ragione„ che ci vuole per o discernere da sè o imparar da altri a discernere le vie del cuore. [p. 92 modifica]Ed è naturale che a Dante, uscito allora allora dalla selva e già in cammino, rovinando, per tornarvi; Virgilio parlasse di quelli che dalla selva non uscirono mai; ed è naturalissimo che entrando nel vestibolo dei vili e non mai vivi, che è la stessa cosa, Virgilio parli di viltà, e dica:

               Ogni viltà convien che qui sia morta;

chè viltà è più propriamente, come Virgilio dichiara, quella7

               la qual molte fiate l’uomo ingombra
               sì che d’onrata impresa lo rivolve,
               come falso veder bestia, quand’ombra.

Ora e Dante nella selva e gl’ignavi nella vita questo fecero continuamente, e in questo somigliarono a bestie ombrose, che vedevano ciò che non era e ciò che era non vedevano: onde nulla quelli mai operarono, e nulla avrebbe operato esso, se infine non avesse passato la selva e quetato un poco la paura del cuore, cioè l’irresolutezza dell’appetito che fugge e caccia. Ben altrimenti si condusse quell’Enea, che Dante dice di non essere: “Io non Enea...„. Quegli, esempio di nobiltà, cioè di non viltà,8 per quello spronare dell’animo, “sostenne solo con Sibilla a entrare nello Inferno„. Ma Dante per le parole e per il lieto viso di Virgilio si conforta. La viltà muore. Egli entra nel vestibolo dove è la viltà assoluta. Il maestro gli aveva detto:9

               non ragioniam di lor ma guarda e passa.

[p. 93 modifica]Questa è come la catarsi del suo errore nella selva. Egli guarda e passa, tra persone delle quali alcune riconosce e non nomina, alle quali sarebbe stato simile se nella selva fosse rimasto. E vede e conosce l’ombra d’uno che fece un rifiuto grande quale egli avrebbe fatto, se per i conforti del maestro non avesse cacciata dal cuore e non avesse uccisa, mortificata, la viltà.

Giunge, guardando e passando, all’Acheronte. Caron lo respinge, e prima sembra confonderlo con gli sciaurati del vestibolo che, essendo ancora misticamente vivi della loro cieca vita, egli non può prendere nella sua nave. Poi, vedendo che non si allontanava, che non si partiva, che non andava tra gli esclusi dalla seconda morte, vedendo forse in ciò un segno insolito di nobiltà (non viltà), comprende che la sua vita è d’altro genere. E gli dice:

                                 Per altra via, per altri porti
               verrai a piaggia, non qui: per passare,
               più lieve legno convien che ti porti.

Quale sarebbe questo più lieve legno? Come mai a uno, che ha di quel d’Adamo, e perciò ha peso, assai grave per le navi fantastiche dell’oltremondo, e perciò fa sembrare carca di sè la nave piccoletta di Flegias, a uno vivente Caron assegnerebbe nave più lieve? E quale questa via e questi porti diversi dai consueti? Noi possiamo dire che in verità egli non approdò al medesimo porto, che gli altri imbarcati da Caron, e non tenne quindi la medesima via: il poeta ci avrebbe detto qualcosa dello sbarco, come ci ha parlato dell’imbarco. Or egli lo sbarco non vide, come vide l’imbarco. Ma il fatto è che [p. 94 modifica]meglio noi comprendiamo qui il senso mistico che il reale e poetico. L’altra via è quella che non è la morte, gli altri porti sono quelli che non sono la perdizione; e il poeta parla di più porti, perchè le sedi a cui vanno a finire quelli che Caron imbarca sono più d’uno; sono tanti quanti i cerchi. Caron ha compreso che Dante non viene a prendere posto tra i dannati; tanto è vero che Virgilio non altro gli soggiunge se non: “Vuolsi così„: così, come hai capito.

In verità, ripeto, Dante per passare morrà, ma alla morte morrà; conseguirà, cioè, quella natività seconda, che conduce alla vita. Il che è raffigurato nel battesimo. Nè si opponga che il battesimo Dante l’aveva già avuto. Sì; ma era quasi come non l’avesse avuto; poichè la libertà del volere era come non l’avesse. Or l’ha racquistata; e il passaggio dell’Acheronte raffigura per lui come la sanzione di questo racquisto.

Il battesimo è raffigurato misticamente e nel camminare di Gesù sulle acque e nel passaggio del mar rosso e anche in altro.10 Gesù11 era solo sul monte, e la navicella era trabalzata dai flutti nel mezzo del mare. Chè il vento era contrario. Or nella quarta vigilia della notte, venne ai discepoli camminando sopra il mare. E vedendolo camminare sul mare, si turbarono dicendo: È un fantasma. E per [p. 95 modifica]timore gridarono. E subito Gesù parlò a loro dicendo: Abbiate fiducia: son io: non temete. E rispondendo Pietro disse: Signore, se sei tu, comanda che io venga a te sulle acque. Ed egli disse: Vieni. E Pietro discendendo dalla navicella, camminava sull’acqua, per venire a Gesù. Ma vedendo il vento forte, temè, e cominciando ad affondare, gridò dicendo: Signore, fammi salvo! E incontanente Gesù stendendo la mano, lo prese e gli disse: O di piccola fede, perchè hai dubitato? Ed essendo montati sulla navicella, il vento cessò.

In questa narrazione, in cui, secondo gli interpreti, è adombrato il battesimo, c’è il vento forte e lo spavento. E nella narrazione di Dante c’è l’uno e l’altro:12

                                   dello spavento
               la mente di sudore ancor mi bagna,

               La terra lagrimosa diede vento...

E c’è nel racconto di Matteo anche il buio, poichè era la quarta vigilia della notte, quando Gesù camminava sul mare; e c’è nel racconto di Dante il buio della campagna. E la notte era già cominciata da qualche tempo.13 Ma più espressa menzione ha delle tenebre il vangelo di Giovanni.14 “Salito sur una nave, vennero di là del mare a Capharnaum; e già erano venute le tenebre; e Gesù non era venuto a loro. E il mare, soffiando un gran vento, si gonfiava. Avendo, dunque, vogato per quasi venticinque o trenta stadi, vedono Gesù che camminava sopra il mare e si faceva presso la nave, e temerono„. E [p. 96 modifica]qui il racconto comincia con “l’aer bruno„, come quello di Dante. Forse dunque Dante volle che si pensasse a un suo camminare sulle acque. Altra volta egli passa15 “un bel fiumicello... come terra dura„. Ma qui è caduto, ma qui è come morto, qui, anzi, muore.

Oh! se fosse lecito penetrare nella mente del poeta, in quella mente, e cercarvi le parole che non disse e le imagini che non espresse, e che egli portò con sè nell’eterno silenzio, come Michelangelo le statue che vide nelle rupi e non vi scoperse! Se fosse lecito! Una nuova schiera s’aduna già nella ripa, venendo dalla prima morte, per passare alla seconda. Il ramo mette a ogni battito di polso, nuove foglie. Le foglie secche, rifiuto della vita e della morte, mulinano nel vestibolo che ha aperta la porta, donde viene un fioco lume. La barca di Caron vanisce via per l’onda bruna. Ed ecco colui, che, al soffio del vento e al lampo vermiglio, è caduto, si rialza con gli occhi chiusi e, insieme all’ombra del poeta morto, scivola sull’ombra e passa. I dannati che aspettano la barca e gli altri che desiderano invano di passare, si volgono, battendo i denti e anelando tra la corsa, a lui, e dicono certo quello che i discepoli di Gesù: È un fantasma! E il fantasma si trova di là. È dritto levato. Riapre gli occhi, che trova riposati dal breve sonno che fu una morte; guarda. Nulla. Non discerne nulla. È sulla proda della valle d’abisso, donde sale un tuono infinito.

Ma forse noi dobbiamo ricorrere all’altra sacra narrazione; quella del Phase. Faraone,16 che [p. 97 modifica]insegue il popolo ebreo, è in Phihahiroth contra Beelsephon. Gli ebrei hanno il Mar rosso davanti, e alle spalle i carri e i cavalieri d’Egitto. Grande è il loro timore. Nella notte l’angelo che li precedeva, si mette dietro loro e con lui è la colonna di nube; ed era “una nube tenebrosa e che illuminava la notte„. E Moisè stende la mano sul mare, e il Signore toglie via il mare, al soffio d’un vento forte e bruciante per tutta la notte (flante vento vehementi et urente tota nocte); e l’acqua si divide.

Qui è la buia campagna, vicino a una spiaggia. Soffia un vento che brucia. Non l’interpretò Dante come luce vermiglia cui balena il vento? Dunque l’Acheronte si divise per lui? Il fatto è che questa divisione delle acque è simbolo del battesimo, il simbolo di quella via, per la quale si va nella terra promessa, fuggendo dalla lunga schiavitù, giungendo alla patria abbandonata, al porto della salute, a Dio. Questo ebbe in mente il poeta?

E allora come traversò? Qual’è il più lieve legno che lo portò? Poichè Dante non ozia con le parole. Il nostro battesimo è nella morte del Cristo. Per questo si ha il segno della croce sull’acqua lustrale; e lo stendere17, che fa Moisè, la mano sopra il mare, cui Dio toglie via, è appunto figurazione della croce. E l’arca, per la quale il genere umano si salvò dalla sommersione nelle acque del diluvio, anche l’arca è imagine della croce. E la croce è detta il “legno„ o il “legno della croce„; e questo “legno„, dice e ripete S. Agostino, è la nave per passare il mare di questo secolo, e questa croce si [p. 98 modifica]deve abbracciare per non essere presi e inghiottiti dal gorgo di questo mondo. Udite, e basti per tanti altri, questo passo: “Tu eri buttato là lontano da quella patria. Dai flutti di questo secolo è interrotta la via, e non c’è per dove passare in patria, se non vi sei portato dal legno (nisi ligno porteris). Esso (Gesù) divenne via, e ciò per il mare; quindi camminò nel mare, per mostrare che vi era via nel mare. Ma tu, che non puoi come esso, camminar sul mare, làsciati portar per nave, portar dal legno: credi nel crocifisso e potrai arrivare„.18

Che il più lieve legno sia la croce? Caron poteva dire: più lieve burchio, più lieve nave, vasel più lieve: ma dice più generalmente, legno. E dice più lieve, come a dire, che galleggi anche qua, sull’onda morta; come l’arca sul diluvio. È la croce, il legno della croce: non si può dubitare.

Ma il poeta, sempre coerente, non spiega il mistero, che, con la spiegazione, non sarebbe mistero; non ci narra quello che egli essendo come morto, non potè vedere e quindi non può narrare. Non ci dice come materialmente con la croce o sulla croce passasse, al modo che non ci dirà come nel limbo ci sia il lume e non ci sia, ci siano tenebre e non ci siano. Certo quel passo dell’Acheronte è la morte mistica e la figurazione del battesimo, ed è con le circostanze del camminare di Gesù sopra le acque e con quelle del Phase degli ebrei, col vento forte e con la notte e col lampeggiare e con le acque. E c’è la terra che trema, come tremò alla morte del [p. 99 modifica]Redentore: e la terra si mosse e le pietre si spezzarono e i sepolcri si apersero:19 e c’è la croce su cui si traversa il mare del secolo e del mondo e delle tenebre e del peccato e della morte.

Note

  1. Inf. III 15.
  2. ib. 16 segg.
  3. ib. I 114 segg.
  4. ib. I 135.
  5. Conv. IV 7.
  6. Benvenuto infatti spiega: «perdettero l’intelletto, che è il più gran bene, e che distingue l’uomo dalle bestie...» Il bene dell’intelletto è il vero (Arist. Eth. 2, 6, citato in Summa 1a 94, 4). Adamo peccò rinnegandolo, misconoscendolo; peccò, non ostante che egli vedesse il vero: non fu ingannato. E così corruppe quel primo stato umano, in cui l’inganno non era possibile. Gli sciaurati quel primo stato, in cui il vero si vede, lo riebbero dal Cristo; ma il vero lo videro invano; lo trascurarono, lo gittarono, l’hanno perduto. Vedi quell’articolo della Summa sopra citato. Vedi anche nel Conv. II 14: la verità speculare... è l’ultima perfezione nostra, siccome dice il Filosofo nel sesto dell’Etica, quando dice che ’l vero è il bene dell’intelletto.
  7. Inf. II 46 segg.
  8. Conv. IV 26.
  9. Inf. III 51.
  10. Aur. Aug. passim: per es. In Iohann. ep. I, 2, 3; «I pargoli nella nave stessa di Cristo sono condotti etc.». ib. 4 «Egli stesso si fece via, e ciò per il mare: quindi camminò nel mare, per mostrare che c’è una via nel mare». Anche l’arca di Noè raffigura il battesimo. Ciò in De Cat. Rud., 32, e altrove.
  11. Matth. XIV. Cfr. Marc. VI.
  12. Inf. III 131 segg.
  13. Inf. II 1 segg.
  14. Ioann. VI.
  15. Inf. IV 108 seg.
  16. Exod. XIV.
  17. Aug. De Trin. IV 20.
  18. id. In Iohann. E. cap. I tr. II 4. Vedi En. in Psalm. LXXII 5. E altrove.
  19. Matth. XXVII. Cfr. Luc. XXIII (dove sono anche le tenebre).