Sotto il velame/La selva oscura/II

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La Selva Oscura - II

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La selva oscura - I La selva oscura - III
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II.


Nel punto proprio che Dante abbandonò la verace via, egli avrebbe forse detto di sè, che adolescente era; ma certo nella seconda età era entrato e s’era inoltrato, quando nella selva oscura si ritrovò. Egli era allora:

               nel mezzo del cammin di nostra vita,

cioè a metà della seconda “delle quattro etadi„ in cui “la umana vita si parte„, a metà della “Gioventude„, al “colmo del nostro arco„ che “è nelli trentacinque„1. Se volse i passi suoi per via non vera, quando Beatrice era sulla soglia della gioventù, [p. 9 modifica]quando poi ascoltava le sirene e si lasciava tirare a terra da pargolette o altre vanità, non era più adolescente. Invero Beatrice esclama ver lui:2

               Alza la barba,
               e prenderai più doglia riguardando!

Ed egli ben conosce “il velen dell’argomento„ che era in quel dir barba invece di viso. Non era più in età da potere scusare con essa i suoi traviamenti. Certo; ma dunque i traviamenti erano di quelli che si scusano con la età. E se tali erano quelli per i quali seguiva sirene e pargolette e vanità, tanto più era scusabile con l’eta il deviar primo, quando egli si tolse a Beatrice e si diede altrui. In verità non solo Lucia dice di lui a lei: Quei che t’amò tanto; ma ella stessa a Virgilio parla non senza lagrime e chiama questo traviato,3

               l’amico mio e non della ventura.

Niente dunque di grave. O come? Così. In Dante aveva errato l’animo o cuore o appetito; e nel modo che e nel Convivo e nella Comedia dice che può errare, per sua semplicità. L’anima semplicetta che sa nulla4

               di picciol bene in pria sente sapore;
               quivi s’inganna, e retro ad esso corre;

e questo picciol bene è tutt’uno con le blande dilettazioni sopra dette, tanto è vero che sì per via di [p. 10 modifica]quelle c’è bisogno della guida imperiale; sì per questo ingannarsi dell’anima e correre dietro al bene che ha assaporato,

                         convenne legge per fren porre;
                         convenne rege aver...

Tutto il concetto è anche nel Convivio:5 “Siccome peregrino che va per una via per la quale mai non fu, che ogni casa che da lungi vede, crede sia l’albergo... così l’anima nostra, incontanente che nel nuovo e mai non fatto cammino di questa vita entra, dirizza gli occhi al termine del suo sommo bene, e poi qualunque cosa vede, che paia aver in sè alcun bene, crede che sia esso... Onde vedemo li parvoli desiderare massimamente un pomo; e poi più oltre procedendo, desiderare uno uccellino; e poi più oltre desiderare bello vestimento, e poi il cavallo, e poi una donna, e poi ricchezza non grande, e poi più grande, e poi più„. Or ciò che, nel pargolo e nell’uomo, spinge a questa corsa verso un bene a mano a mano più grande, è appunto l'appetito o cuore o animo, che vuol essere pago; come s’intende, e da tutta la lezione sull’amor d’animo,6 e, per essere brevi, dal terzetto:

          ciascun confusamente un bene apprende,
          nel qual si queti l’animo, e disira:
          perchè di giugner lui ciascun contende.

L’animo dunque di Dante s’ingannava. Vediamo, come.

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Era passato più d’un anno da che Beatrice era fatta dei cittadini di vita eterna. Egli molto stava pensoso, e i suoi pensamenti erano di dolore. E levò gli occhi per vedere se altri lo vedesse: allora vide una gentile donna giovane e bella molto, la quale da una finestra lo riguardava pietosamente. Ed egli disse tra sè medesimo: “E’ non puote essere, che con quella pietosa donna non sia nobilissimo amore„. Poi, rivedendola ancora e sempre pietosa in vista, e d’un colore pallido, quasi come d’amore, egli si ricordava della sua nobilissima donna, che di simile colore si mostrava tuttavia. E infine venne a tanto per la vista di questa donna, che i suoi occhi si cominciarono a dilettare troppo di vederla, e la vista di lei lo recò in sì nova condizione, che molte volte ne pensava sì come di persona che troppo gli piacesse; e così avvenne un contrasto tra “il cuore ciò è l’appetito„ e “l’anima ciò è la ragione„. L’avversario della ragione, cioè il cuore, fu poi vinto dalla forte imaginazione nella quale a Dante parve vedere Beatrice con le stesse vestimenta sanguigne con le quali gli apparve la prima volta. Il cuore o animo o appetito si era ingannato.

Aggiungo che s’era ingannato, facendo che a Dante ricordasse, nel veder la donna gentile, dell’altra gentilissima.7 Or così appunto il peregrino del Convivio “ogni casa che da lungi vede, crede sia l’albergo„; “dirizza gli occhi al termine del suo sommo bene (cioè Dio), e poi qualunque cosa vede, che paia avere in sè alcun bene, crede sia esso„. Nè si dica che nel Convivio si tratta di Dio e nella [p. 12 modifica]Vita Nuova della donna amata: la Comedia si accorda con l’uno e con l’altra. Chè Beatrice chiede:8

               Per entro i miei disiri
               che ti menavano ad amar lo bene,
               di là dal qual non è a che si aspiri,
               
               quai fossi attraversati, o quai catene
               trovasti, per che del passare innanzi
               dovessiti così spogliar la spene?

Il che vuol dire: nel seguire me che ti conducevo a Dio, quali ostacoli trovasti per la via? Or Dante s’era ingannato credendo di veder Beatrice e perciò Dio, dove non era nè Dio nè Beatrice.

Ond’ella pur rimproverando, di presenza, il suo amatore, come infedele, dice, quand’egli non è lì ad ascoltare:

               l’amico mio e non della ventura.

Nella qual parola ventura sono da comprendere, a parer mio, tutti i beni che non fanno il vero bene; sicchè Beatrice viene a significare: checchè paia, me ama, e non altri nè altro.

Pure, di presenza, così acerbamente lo rimprovera, che non è meraviglia se gl’interpreti imaginano di Dante più gravi peccati che egli non confessi. Ma noi, prima di tutto, nei rimproveri della donna gentilissima, dobbiamo sceverare quelli che si riferiscono allo stato di Dante, dopo che egli ebbe incontrate le tre fiere, da quelli che si rapportano al suo errar nella selva. E poi dobbiamo considerare che i suoi sono rimproveri di chi ama a chi ama; e poi [p. 13 modifica]dobbiamo riconoscere che molte cose aggravano la pur piccola colpa di Dante.

Queste: Dante era nella vita nuova virtualmente capace d’ogni bella opera e per benigne disposizioni di stelle e per larghezza di grazie divine; poi aveva avuto per guida gli occhi giovinetti di Beatrice; poi aveva sperimentata la vanità delle cose umane, con la morte di Beatrice; poi si era trovato a scegliere non tra due beni quasi equivalenti, ma tra Beatrice la gentilissima, salita da carne a spirito e più bella e virtuosa che mai, e altri beni, sirene, vanità, pargolette non degne certo di essere paragonate a Beatrice viva non che a Beatrice morta. Ora il peregrino del Convivio merita ben più scusa. In vero all’anima “perchè la sua conoscenza prima è imperfetta, per non essere sperta, nè dottrinata, piccioli beni le paiono grandi...„ Ma la conoscenza di Dante era dottrinata e per gli abiti destri che già facevano prova in lui e per la luce di quelli occhi giovinetti; e per lo sparir d’essi oh! era anche sperta! Eppure piccioli beni a lui parevano grandi, poichè seguiva imagini di bene

               che nulla promession rendono intera;

poichè si lasciava chiamare a terra, come uccellino invano ammaestrato da un primo strale dell’uccellatore, da

                                        o pargoletta
             o altra vanità con sì breve uso.

Ma, pur con questi gravami, di cui l’ultimo è da Beatrice significato con l’ironico, Alza la barba! [p. 14 modifica]pur con questi, Dante non è detto (per ciò, almeno, che si riferisce alla selva e allo smarrimento) reo, sì ingannato. Ricordiamo:9

               Ben ti dovevi, per lo primo strale
               delle cose fallaci, levar suso
               di retro a me che non era più tale.
               
               Non ti dovean gravar le penne in giuso
               ad aspettar più colpi, o pargoletta
               o altra vanità con sì breve uso.

Beatrice non era più cosa fallace; dunque era stata. Di lei era stato breve uso; dunque anche ella era stata una vanità. Dunque tra le cose fallaci, tra le vanità, tra le false imagini di bene, tra le presenti cose piene di falso piacere, ella poneva pur sè; sè viva; e pargoletta è da lei detto in memoria forse di quando ella apparve a Dante nella sua giovanissima età. Ella dice: una pargoletta come me, una vanità qual era io. Pure quella pargoletta conduceva Dante in dritta parte volto; e le altre no, non lo condussero; come si vide. Bene: ma qual grande peccato era di Dante, se nelle altre egli credeva vedere il bene che in quella pargoletta bella e nuova, il cui viso si era nascosto e i cui occhi giovinetti non lucevano più? Non dice egli che per dieci anni fu assetato di lei? Ferito dallo strale delle cose fallaci, correva qua e là, dove vedeva balenare uno specchio d’acqua, senza trovarlo mai, sì che la sete e’ non la potè disbramare che quando di nuovo ella gli apparve sul santo monte.10