Specchio di vera penitenza/Trattato della vanagloria/Capitolo terzo

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Trattato della vanagloria - Capitolo terzo

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Trattato della vanagloria - Capitolo terzo
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CAPITOLO TERZO.


Dove si dimostra come la gente è inchinevole al vizio della vanagloria e come agevolmente e in più modi vi s'offende.


La terza cosa che diremo della vanagloria, si è come la gente è inchinevole e cupida di questo vizio, e come agevolmente e in più modi ci s'offende e pecca. Della quale dice quel savio Valerio Massimo, che non è niuna sì grande umilità che non sia tocca dalla dolcezza di questa gloria. Onde conta di quel savio Temistocle, che andando egli al teatro, dove si raccontavano con canto e con loda1 l’opere virtuose di prodezza, di scienza e d'arte; ed essendo domandato qual voce o 'l cui canto più gli piacerebbe, rispose: Quella che meglio loderà l’arte mia. E santo Agostino, nel libro della Città di Dio, recitando i gran fatti de’ Romani, dice che l’amore della gloria e dell’umana loda2 tutte quelle cose maravigliose fece fare; per la cui cupidità i Romani volevano vivere,3 e non dubitavano di morire: come pone di ciò molti essempli in tutto il quinto libro; e tra gli altri, recita di quel Bruto ch'uccise i figliuoli e per l'amore della patria e per la cupidità della [p. 268 modifica]gloria umana; del quale4 disse Vergilio: Vincit amor patrioe, laudumque immensa cupido; e quello che séguita. Ed è tanta questa cupidità e la voglia della gloria, che gli uomini la vanno cercando per vie distorte e per lo suo contrario. Onde dice Valerio, che molti si truovano che volendola acquistare, la spregiano e di fatto5 e con parole; del cui dispregio essendone lodati e nominati, hanno acquistata loda col suo spregio.6 E non solamente con buone opere e con virtù s’ingegnano le genti d’avere gloria, ma eziandio si truovano di quegli che con opere ree e con malificii la vanno cercando: come narra Valerio di quello Pausania, che domandando egli un altro come potesse essere di subito nominato e conosciuto, fugli risposto che ciò potrebbe intervenire s’egli uccidesse uno uomo glorioso e di grande stato. Andò costui, e uccise il re Filippo, padre d’Alessandro; e per questo tutto il mondo parlò di lui, e scrissesi nelle storie e nelle croniche colui che prima era oscuro e scognosciuto. Simile racconta di colui che, per farsi nominare, misse fuoco in quello ricco e magnifico tempio della dea Diana in Efeso; il quale poi preso e posto alla colla, confessò che per essere nominato e famoso l’avea fatto, con ciò fosse cosa che non avesse in sé altra bontà per la quale potesse farsi nominare. Ed è bene mente perversa quella di coloro che si gloriano del male; de’ quali dice Seneca: E’ si trovano di quegli che si gloriano de’ vizi loro; onde David profeta diceva: Quid gloriaris in malitia, qui potens es in iniquitate? perché ti glorii tu nella malizia, il quale se’ possente nella iniquitade? quasi dica: Non è cosa d’averne loda né gloria, ma d’averne biasimo e infamia. Onde dicea quella santa donna Ester: Tu nosti quod oderim gloriam iniquorum: Tu sai, Signore, ch’io ebbi sempre in odio la gloria degli [p. 269 modifica]uomini iniqui. E 'l Salmista, parendogli male della gloria de' peccatori, dicea: Usquequo peccatores, Domine, usquequo peccatores gloriabuntur? Di qui a quanto, Signore, di qui a quanto si glorieranno i peccatori?

Note

  1. Con grecula dottrina il Salviati pensò di doversi qui scrivere: e con l'oda.
  2. Nel Testo: e l'umana loda.
  3. Ivi, per facile scambio: vincere.
  4. Il Manoscritto: della quale.
  5. Ediz. 95 e 85: volendo acquistar gloria, l'hanno dispregiata et di facti ec.
  6. Le stesse: hanno acquistato gloria col loro (85: suo) dispregio.