Storia della geografia e delle scoperte geografiche (parte seconda)/Capitolo II/Colonizzazione dell'Islanda

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Capitolo II Capitolo II - Scoperta della Groenlandia


[p. 30 modifica]9. Colonizzazione dell’Islanda. Mentre l’Europa settentrionale, dilaniata e sconvolta da sterili ed insensate guerre, distruggeva le sue più antiche tradizioni, queste erano raccolte e conservate con religiosa cura in un paese situato verso la estremità del mondo abitabile, in quell’isola formata di lave e di ghiacci, di neve e di solfo, di crateri e di ghiacciai, che detta dal norvegese Naddod (anno 861) Snaeland, cioè Terra di neve, mantiene ancora in oggi il nome di Islanda (Iceland, cioè Terra del ghiaccio), che le veniva dato pochi anni più tardi dal pilota Floki Rafna.

I Norvegesi non furono però i primi scopritori dell’Islanda. Prescindendo dal marsigliese Pitea, la cui isola di Thule è da alcuni autori identificata con quell’isola dell’Atlantico boreale1, sappiamo dal trattato De mensura orbis terrae, composto nell’anno 825 dal monaco irlandese Dicuil, e dal commento fattone dal Letronne2, che le Färoer, popolate già da 100 anni da monaci provenienti dalla Scotia (Scotorum Insula, chè così chiamossi l’Irlanda sino ai tempi del Re Malcolm II), [p. 31 modifica]erano state abbandonate da quei primi missionari e colonizzatori nell’anno 725, in cui cade la prima irruzione dei Normanni nelle isole Britanniche, e che, andando in cerca di nuove sedi che fossero meglio acconcie a proteggerli contro quei pirati del nord, gli Irlandesi approdarono in Islanda nell’anno 795.

A Naddod, che nell’anno 861, mentre navigava dalla Norvegia alle Färoer, era stato gettato da una forte burrasca sulle coste dell’Islanda, tenne dietro, nell’anno 864, la spedizione di Gardar, diretta alla ricerca della terra nuovamente scoperta. Il Gardar la circumnavigò per intero, ne determinò lo sviluppo costiero in 168 leghe (circa 1250 chilometri), e le diede il nome di Gardarsholm (Isola di Gardar). A lui succedette Floki Rafna, il quale soggiornò nell’isola per quasi due anni, esplorandone le coste ed anche un buon tratto dell’interno. La descrizione che egli ne fece al suo ritorno in Norvegia (anno 872) non fu tale da invogliare altri a stabilirsi. L’isola era, secondo lui, sconvolta da fuochi sotterranei; agitata, senza posa, da terribili convulsioni; coperta, in gran parte, di nevi eterne, e, nel medesimo tempo, squarciata, in mille luoghi, da abissi, donde zampillavano con violenza fontane di acqua bollente. Alcuni dei suoi compagni però dipingevano l’isola sotto ben altri colori. Thorolf, tra essi, diceva che quella terra del nord era un paese ben soleggiato, smaltato di fiori e fecondissimo, un paese benedetto dagli dei, nel quale l’uomo avrebbe potuto vivere libero dalla tirannide dei re e dei Signori3.

La favorevole descrizione di Thorolf indusse altri Norvegesi a recarsi in Islanda, sotto la condotta di Ingulf. Ciò avvenne nell’anno 874. E quando, nell’anno seguente, colla memorabile vittoria di Hafursfiord (o Stavanger), Harald Haarfager riuscì a rendersi signore di tutta la Norvegia, molte furono le famiglie nobili che, non reggendo al despotismo di quel principe, abbandonarono spontaneamente il paese natìo, e si stabilirono [p. 32 modifica]nelle Ebridi, nelle Orcadi, nelle Shetland, nelle Färoer, ma specialmente nell’Islanda, di cui, nel frattempo, Ingulf aveva recato in Europa liete notizie. Secondo alcuni cronacisti, le emigrazioni verso quell’isola furono anzi tanto numerose e frequenti da far temere un rapido spopolamento della Norvegia, e da indurre il re Harald ad imporre un’ammenda a chi abbandonasse il regno per recarsi in Islanda. Ciò nondimeno già nell’anno 920, e così nel breve spazio di 45 anni, i deserti di lava e di ghiaccio di quel lontano paese erano convertiti in una colonia popolata e fiorente. Nella quale la forma del governo repubblicano durò per circa quattro secoli, cioè sino all’anno 1265, in cui l’isola fu annessa alla Norvegia, per passare, nel 1387, sotto il dominio della Danimarca.

L’Islanda tiene un posto eminente nella storia delle lingue nordiche dell’Europa. È difatti in quell’isola che si conservò in tutta la sua primitiva originalità l’antica lingua dei popoli Scandinavi, designata da principio col nome di Dönsk tunga, cioè lingua danese. Della letteratura islandese sono preziosi monumenti le due raccolte conosciute col nome di Edde. La più antica, l’Edda di Semondo Sigfusson (1056-1133) è una raccolta di poemi mitologici e storici. La seconda, l’Edda prosaica, fu composta da Snorri Sturluson (1178-1241), e contiene parecchi trattati, gli uni destinati a rendere più intelligibile e più popolare la mitologia degli antichi Scandinavi, gli altri diretti alla spiegazione dei passi più difficili degli antichi scrittori. Alle Edde si aggiungono le Sagas (tradizioni verbali o racconti fatti a viva voce), nelle quali si hanno i principali fatti storici relativi all’Islanda ed agli altri paesi del Nord.

Note

  1. V. Parte prima, pag. 30.
  2. Recherches géographiques et critiques sur le livre De Mensura orbis terrae, pag. 129-146.
  3. Gravier, Découverte de l’Amérique par les Normands au Xe siècle, pag. 23; Marinelli, La Geografia e i Padri della Chiesa, pag. 12.