Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. III)/Ai leggitori
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Traduzione dal tedesco di Carlo Fea (1783)
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C A R L O F E A
ai leggitori.
Fra le altre cose, che l’Autore prese ad illustrare, vi sono anche le fabbriche della città di Posidonia, detta poi Pesto, nel golfo di Salerno, delle quali scrisse ciò, che gli parve di aver osservato sulla faccia del luogo, forse in fretta, o notando in carta poco attentamente. Io ho avuto il vantaggio pregiabilissimo di potermi approfittare dell’opera magnifica del ch. Padre Paoli intorno a quelle ammirabili fabbriche, da cui ho potuto ricavare notizie più sicure, e precise della forma degli edifizj, che ho accennate in piè di pagina; ed anche le stampe in rame, che si danno in fine. Ma siccome il sentimento del dottissimo scrittore di quell’opera è diverso da quello di Winkelmann riguardo all’ordine dell’Architettura, credendole questi lavoro di greci artisti, e quegli opera di etruschi in tempi antichissimi; pensai di accennare nelle note quella nuova opinione; ma nel tempo stesso motivai all’Autore di essa alcuni dubbj, che allora mi si affacciarono alla mente, per rispondere ai quali egli si compiacque di scrivere una lettera a me diretta, che ho inserita nel Tomo. Oltre l’essere quella scritta con quella facondia propria di lui, viene a supplire in varie cose la storia per ciò, che s’appartiene ai popoli orientali, agli Ebrei in ispecie, e agli Egiziani; e vi sono sparse delle buone erudizioni, e qualche nuova opinione plausibile. Il punto principale della controversia però non mi è paruto a segno deciso da dovermi rimuovere dalle proposte difficoltà; che anzi avendo in seguito trovato nuove prove di fatto per gli edifizj, e nuovi lumi di storia, con quel rispetto, che può compatire l’amicizia contraposta alla verità, e il merito dello scrittore lodatissimo per tante opere, ho potuto ampiamente sostenere il sentimento di Winkelmann, che è il comune, compendiando una nuova storia della città di Pesto; a norma della quale intendo, che debba interpretarsi tutto ciò, che ho scritto in altri luoghi riguardo all’essere opera degli Etruschi.
Precedono a questa lettera le Osservazioni di Winkelmann sopra i due tempj, della Concordia, cosi detto volgarmente, e di Giove Olimpico, amendue a Girgenti, da lui stese sulla relazione del sig. Roberto Mylne, come avvisa in principio di esse, le quali possono considerarsi come un compimento della materia d’Architettura. Ho dovuto contentarmi di tradurle sulla versione francese inserita in fine delle suddette Osservazioni sull’Architettura, e in fine della prima parte delle sue lettere pubblicate in francese dallo stesso editore; perchè non mi è riuscito di trovare quel Tomo della Biblioteca delle Scienze, e Belle Arti stampata in Lipsia in lingua tedesca, nel quale Winkelmann le avea fatte divulgare. Ciò non ostante si troverà, che la mia traduzione è più uniforme alla mente dell’Autore, perchè fatta secondo i termini dell’arte sovente non osservati, o confusi dal traduttor francese: e vi ho aggiunta inoltre una descrizione assai più minuta, e interessante della fabbrica del primo Tempio, colle sue Tavole in rame, che può vedersi in fine di questo Tomo al numero di esse.
Le lettere sulle scoperte d’Ercolano, e di altri luoghi, che furono promesse nella prefazione al primo Tomo, tengono qui il quarto luogo. Winkelmann le scrisse in italiano da Roma al consigl. Bianconi, autore delle lettere sopra Cornelio Celso, mentre stava in Dresda, affinchè partecipasse le notizie antiquarie, che vi andava dando, al Principe reale Federico Cristiano, e all’augusta sua sposa Maria Antonia Valburga. Venuto a Roma il Bianconi, le fece pubblicare nell’Antologia Romana l’anno 1779., toltane prima quella parte, che non interessava il pubblico, o troppo offendeva qualche letterato, ed altri; e messe insieme tutte le cose sparse in varie lettere, che potevano ridurli a certi articoli. Dall’italiano furono tradotte in tedesco dal signor Dassdorf custode della biblioteca Elettorale di Dresda; e dal tedesco in francese. Non posso dir cosa alcuna della prima traduzione, che non ho veduta; ma da quanto rilevo dalla seconda, il signor Dassdorf vi ha commessi molti errori, ed ha saputo far sue quasi tutte le notarelle, che vi erano siate poste nell’Antologia. Dell’editore, e traduttor francese poi, che diremo? Che egli vi ha moltiplicati gli errori, e le storpiature; e che per farsi un merito singolare vanta nella sua prefazione di darle tutte intiere per la prima volta: mentita solenne, che si palesa da per sè stessa con una semplice occhiata a quelle date nell’Antologia, nelle quali non vi è una parola di meno. E certamente le avrebbe date assai diverse, e più lunghe, se le avesse date tutte intiere. Gli originali stessi dell’Autore gli ho veduti io per cortesia del ch. signor abate Amaduzzi, il quale ebbe parte nel pubblicarle nell’Antologia, e vi fece le note, che accennai. Io solo dunque posso assicurare con verità il leggitore di averle attentamente collazionate colle stampate in quel giornale. Con quello mezzo ho potuto reintegrare qualche parola, e qualche passo confuso dall’editore, o lasciato per inavvertenza; come vi ho emendate anche molte parole, o nomi scorrettamente scritti dallo stesso Winkelmann, o cangiati con altri. Nelle note ho corretta qualche sua opinione: altre ne ho rischiarate, o confermate; e vi ho supplite molte notizie per dare il più che si poteva d’interessante in quella materia. Si noti peraltro, che le notizie date in elle da Winkelmann, non sono tutte nuove tra le sue opere; avendone inferite egli stesso alcune, variate in piccole cose, nella Storia dell’Arte; quali sono quelle fra le altre, che riguardano i bronzi, e le pitture del museo Ercolanese.
Poco dirò della mia dissertazione sulle rovine di Roma, che viene appresso alle lettere; essendomi nel principio di essa spiegato abbastanza intorno al motivo di farla. Non ho inteso di dare un’opera voluminosi, e compita, come avrei potuto; ma un cenno soltanto della storia della città, e delle sue fabbriche, e d’altri antichi monumenti dell’arte nella ferie di tanti secoli sino al presente, delle quali si è sinora generalmente restati al bujo; e di abbattere tanti pregiudizj ripetuti inconsideratamente anche dai più accreditati libri d’antiquaria, e molto più dal volgo.
Nell’indice dei rami assai copioso ho cercato di unire insieme tutto ciò, che se ne è detto nell’opera, e di supplire di altre riflessioni, alcune delle quali servono per correggere, o per meglio spiegare ciò, che si è scritto in altri luoghi meno esattamente. Sopra tutto ho avuto in mira di far nuove osservazioni sopra le tanto vantate arti, e fabbriche degli Etruschi nell’Etruria, in Roma, e altrove; e di far vedere, che erano opere de’ Greci, o che dai Greci aveano imparato gli Etruschi. I rami sono aggiunti, fuorché la Tavola XVI. data da Winkelmann, sebbene per un fine, che mi sembra insussistente.
Seguono a quello varj altri indici: dei monumenti illustrati, o nominati nell’opera, molti de’ quali di nuovo ho rincontrati per maggior sicurezza, secondo l’ordine dei luoghi ove sono, o dove erano nel tempo, che si è fatta l’edizione, a comodo principalmente dei viaggiatori, e degli arditi, coll’aggiunta di qualche correzione: degli autori lodati, spiegati, criticati, o difesi: delle edizioni più interessanti usate; e in fine delle materie, che ho procurato di testere il più, che ho saputo, copioso, ragionato, e comodo agli artisti, e ai letterati; combinandolo anche in maniera da togliere qualche equivoco tra i varj luoghi, ove lì è parlato della stessa cosa.
Mi veniva suggerito di dare in ultimo un saggio delle traduzioni degli altri editori sì italiani, che francesi tanto delle opere inferite in quello Tomo, quanto della Storia dell’Arte, per rendere al paragone più apertamente convinti della loro inesattezza, e trascuraggine. A prima villa non pare inutile il consiglio: a rifletter però, che nulla ne farebbe importato ai leggitori di questa edizione; e che se taluno dubita delle mie asserzioni può facilmente avverarle con un leggiero rincontro, fatto già da taluno per privato impiego quali generale; ho deliberato di sbrigarmene col ripetere animosamente ciò, che diceva s. Girolamo al suo proposito2: veterem editionem nostræ translationi compara; et liquido pervidebis quantum distet inter veritatem, et mendacium. Sarà piuttosto utile l’aggiunta; che vi ho posta, delle mie sviste; delle cose, che di nuovo ho notate nell’opera dell’Autore; e di qualche nuova erudizione, che mi si è presentata dopo la stampa: lusingandomi, che per altri errori, che vi siano trascorsi, vorrà il cortese lettore o emendarli da sè, o condonarli in una edizione intrigatissima, e per tante cose difficilissima a rendersi pienamente esatta; quantunque siasi nell’angustia del tempo praticata ogni diligenza, e non siasi risparmiata fatica, e spesa per farla non una semplice traduzione, ma un originale.
Dopo tutto ciò io resto col vivo desiderio di poterla migliorare sempre più, di rivederla da capo a sondo nuovamente, e di poterne dare con maggior comodo una nuova edizione, che per quanto farà possibile soddisfi a me, al pubblico, e alla dignità dell’argomento.
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