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Storia di Reggio di Calabria (Spanò Bolani)/Annotazioni/Libro terzo

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Annotazioni - Libro terzo

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LIBRO TERZO

CAPO PRIMO. §. II. L’Imperatore Costante in Reggio. Dice Anastasio: «Sub pontificatu S. Vitaliani Constans Imperator dum Roma Constantinopolim rediret, terrestri itinere Calabriam Rhegium usque adeo vastavit, ut uxores a viris, filiosque a parentibus separaret».


§. VI. Ducato di Benevento. — Delle provincie, di che oggi si compone il Regno di Napoli, nove erano comprese nel Ducato di Benevento, cioè Terra di lavoro, Uolise, Abruzzo citeriore, Capitanata, Terra di Bari, Basilicata, Calabria citeriore, ed i due Principati. Questa parte del Ducato per la sua estensione fu chiamata dagli scrittori bizantini e latini Italia cistiberina. Ma i Bizantini l’appellarono altresì Longobardia minore per distinguerla dalla maggiore, che restava di qua e di là dal Po: ed era la Gallia cisalpina de’ Romani, oggi Lombardia.


§. VII. Origine del nome di Gerace. — Il nome Gerace venne da Sanctae Chiriacae; chè così la chiamavano i Bizantini. La qual parola, pronunziando il ch con suono schiacciato, veniva a suonare Hiriacae, donde agevolmente si trasse Jerace, Gerace.


CAPO SECONDO. §. II. Eufemio. — L’Anonimo Salernitano racconta la cosa in altro modo. Egli dice che Eufemio avea contratto nozze con Omoniza donzella di meravigliosa bellezza; è che il Pretore di Sicilia, corrotto con danaro, gliel’avesse levata, e data in moglie ad un altro. Per il quale affronto infuriato Eufemio ne avesse giurato vendetta, e passato in Affrica avesse indotti i Saracini alla conquista della Sicilia. Io ho creduto non dipartirmi dalla narrazione di Cedreno Monaco e di Giovanni Diacono scrittore sincrono; la quale fu anche preferita dal dotto ed esattissimo Muratori, e da altri storici.


§. V. Significazione speciale del nome Italia sotto i Bizantini ed i Normanni. — A dimostrare quel che fosse Reggio, dopo essere stata prescelta a residenza del Duca sotto i Bizantini, è assai importante un passo [p. 315 modifica]di Giovanni Scilitze, uno degli scrittori della storia Bizantina. Ecco le sue parole: «Robertus adbibita celeritate Regium capii, urbem magnam et illustrem, ubi consueverat Dux Italiae commorari; quod ibi essent et magnificae domus, et eorum quae ad victum necessaria sunt, copia multa». Donde si vede ancora che il nome d’Italia sotto gli ultimi tempi del dominio bizantino (quando la Puglia era quasi tutta occupata da’ Longobardi) tornò ad avere presso i Greci quella stessa angusta e speciale significazione che aveva presso gli antichi. Passò poi questo nome colla conquista di Reggio al Normanno, il quale si compiacque di continuare ad intitolarsi Duca di Calabria o d’Italia. E quel ch’è più, anche i re Svevi ed Angioini tra i loro titoli conservarono quello di re d’Italia; titolo che porse loro protesto di aspirare al dominio della vera Italia, come fece più di tutti, e con molto successo, re Roberto.


CAPO TERZO. §. V. Quando le Chiese di Calabria furono restituite alla Sede Apostolica. — Secondo Cristiano Lupo le chiese di Calabria e di Puglia non furono restituite diffinitivamente al Pontefice che da re Guglielmo II ne’ Concordati con papa Adriano IV: «Normanni tandem invasore utramque Siciliam, Episcoposque subtraxerunt Constantinopolitano. Sedi autem apostolieae nunquam reddiderunt usque ad Adrianum IV Pontificem et Guillielmum II Siciliae Regem, de quibus in supplemento Sigiberti Gemblacensis Robertus Montensis». Ciò però è oppugnato e contradetto da altri storici, non meno degni di fede che il Lupo.


Sulla Chiesa Greca di Reggio. — Mi piace trascrivere le parole del dotto Assemani (de rebus neap. et sicul.): «Certe in Rhegiensi Ecclesia Latina Cathedralis et Graeca reperitur, atque ideireo graeca ibi Ecclesia adpellatur usque in hodiernnm diem Catholica, quia Cathedralis Metropolitana fuerat, antequam Latina per Nortmannos erigeretur. Ed il Morisani (de Protopapis): Rhegii itaque, inducto latino Archiepiscopo, quum tanquam in urbe Calabriae principe, et Ducis Graecorum sede, tum ejus ritus Presbyterorum, quum vero et illius gentis hominum copia esset, illud opportune provisum, ut omnes Presbyteri Graeci uni Ecclesiae addicerentur; in qua, non modo esset, qui Graecorum omnium, sive permanentium, sive adventantium, sive succedentium curam haberet, veruni etiam ritus et succcssio servaretur in gente, constituto communi corpore sive Collegio, cui Protopapas omnium Curator praeesset, non sine Deutereo suo, qui ejus vices suppicret».


§. VII. Racanello e non Bassanello o Busento. — Dicendo io Racanello e non Bassanello o Busento come si legge comunemente ne’ cronisti seguo le osservazioni di Tommaso Aceti nelle note al Barrio: e son queste: «Bassanellum flumen ignoratur, Busentum prope Consentiam scapham non patitur, praesertim mense julio quando pugnatnm est; ideireo fluvium hunc Racanellum fuisse, Cylistarnum olim dictum, in tractu Rossanensi ac Thurino, Tarentinoque finitimo, ad manus conserendas aptissimo, credendum est».


CAPO QUARTO. §. II. Andronico. — Questo Andronico da Lupo Protospata è chiamato il Despota Nico; Basilio Bugiano è chiamato Catapano [p. 316 modifica]Vulcano. E dice inoltre con tutta serietà il Protospata che allora Reggio andò in rovina «ob civium peccata». E continuando a confondere i nomi ed i tempi, dice che queste cose avvennero sotto l’imperatore Basilio; e che questi sia morto l’anno susseguente alla presa di Reggio. E soggiunge che l’imperator Basilio, ancor vivente, rinunzìò l’impero a Romano suo genero per Zoe. Ne’ quali due luoghi il Protospata doveva scrivere non Basilio, ma Costantino, come dimostrano Camillo Pellegrino, il Muratori, il Saint-Marc, ed il Moisè.


CAPO QUINTO. §. II. Calabresi alla Crociata. — Quando Goffredo Buglione a’ quindici di agosto 1096 mosse all’espugnazione di Gerusalemme con dodici migliaja di Crociati, vi andarono molti Calabresi guidati da Arnolfo Arcivescovo di Cosenza, fra i quali narrasi esservi stati i reggini Tommaso e Riccardo Ferrante.


§. IV. Arte della seta in Calabria. — Dice Procopio che il baco da seta fu introdotto fra noi dalle Indie sotto Giustiniano. E Giulio Scaligero (citato dall’Aceti ne’ Prolegomeni al Barrio), assicura «vidisse se in Calabria neglectos in arboribus vermiculos sine cura cultuque sericum facere, e quibus detrahunt incolae». Se questo era vero presso i nostri avi, (il che non inclino a credere) bisognerebbe ammettere che la stagione, propria a tale industria, corresse allora assai più clemente e benevola che oggi non è, o che questo animaluzzo fosse a que’ tempi assai meno meticoloso e cagionevole dell’odierno.